Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4533 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. II, 19/02/2021, (ud. 14/12/2020, dep. 19/02/2021), n.4533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7766-2020 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO

XI 13, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LIGUORI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il

07/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli il ricorrente proponeva opposizione avverso il decreto emesso dalla medesima Corte d’Appello, in composizione monocratica, che aveva rigettato la richiesta di condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole durata di un procedimento civile svoltosi prima presso la medesima Corte d’Appello, poi presso la Corte di Cassazione e poi di nuovo presso la Corte d’Appello, a seguito di annullamento con rinvio, procedimento definito con sentenza n. 2196 del 15 maggio 2018.

La ragione del rigetto risiedeva nel fatto che il ricorrente pur invitato ad integrare la documentazione a norma dell’art. 640 c.p.c., comma 2, non aveva provveduto all’adempimento nel termine fissato.

2. La Corte d’Appello con decreto del 07/02/2020, accoglieva l’opposizione e in riforma del decreto opposto accoglieva la domanda di equa riparazione e condannava il ministero della giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 2500 oltre alle spese liquidate in Euro 585.

La Corte evidenziava che dagli atti prodotti risultava che, con appello notificato il 23 novembre 2007, B.A. aveva impugnato una sentenza di primo grado di rigetto di una domanda di risarcimento del danno. Il giudizio di appello si era concluso con sentenza n. 2529 depositata il 7 luglio 2011 di accoglimento dell’appello con condanna della controparte al pagamento di Euro 200.000.

La durata del primo giudizio di appello, dunque, era stata di 3 anni, 7 mesi e 14 giorni. La Corte d’Appello conteggiava anche la fase relativa alla correzione dell’errore materiale della sentenza di secondo grado a partire dal 13 giugno 2012 al 23 agosto 2012. La successiva fase di cassazione a seguito del ricorso presentato dalla controparte durava dal 21 novembre 2012, data di notifica del ricorso, al 18 febbraio 2016, data di deposito della sentenza di accoglimento e di cassazione con rinvio. Dunque, la fase del giudizio di cassazione era durata 3 anni, 4 mesi e 28 giorni.

Il giudizio di rinvio era riassunto con citazione notificata il 23 marzo 2016 e definito con sentenza depositata il 15 maggio 2018 poi passata in giudicato. La fase relativa al giudizio di rinvio era durata 2 anni, un mese e 2 giorni. Il giudizio presupposto a partire dalla fase di appello, pertanto, aveva avuto una durata complessiva di anni 9, mesi 3, giorni 7. Per la fase di primo grado, infatti, il ricorrente aveva già avuto riconosciuto dalla Corte d’Appello di Roma l’equo indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole.

La durata ragionevole del giudizio era di 4 anni (2 per il secondo grado, 1 anno per il giudizio di cassazione e 1 anno per il giudizio di rinvio), sicchè il periodo eccedente la durata ragionevole doveva essere conteggiato in anni 5, mesi 3, giorni 7.

Valutato il grado di complessità della causa, l’oggetto del procedimento, il comportamento della parte, la Corte d’Appello riconosceva un danno non patrimoniale per l’importo di Euro 500 per ogni anno o frazione di anno superiore a 6 mesi, pari ad un importo complessivo di Euro 2500.

3. B.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di 13 motivi.

4 Il Ministero della giustizia si è costituito con controricorso.

5. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; omesso esame dei fatti rilevanti dell’accertamento dell’effettiva durata del giudizio presupposto di secondo grado relativi al tempo intercorrente tra il deposito della sentenza di secondo grado e la data di comunicazione da parte del cancelliere dell’avvenuto deposito della sentenza mediante biglietto di cancelleria.

A parere del ricorrente nel conto della durata ragionevole andava calcolato anche il periodo intercorso tra il deposito della sentenza e la comunicazione con biglietto di cancelleria, ovvero il periodo dal 7 luglio 2011 al 23 settembre 2011. Sicchè poichè andavano calcolato anche l’estrazione di anno superiore a sei mesi il suddetto periodo comportava un ulteriore periodo da liquidare. In tal caso, infatti, il giudizio doveva calcolarsi come durato nove anni e sette mesi.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione in relazione all’accertamento dell’effettiva durata del giudizio presupposto di secondo grado delle norme L. n. 89 del 2001, ex art. 2, comma 2, 2 bis, 2 quater, art. 2 bis, comma 1, art. 133 c.p.c. e art. 12 preleggi, comma 2, ultima ipotesi.

La censura attiene nuovamente all’erroneità della sentenza nella parte in cui la Corte d’Appello ha omesso di conteggiare nel calcolo di durata del giudizio presupposto di secondo grado il tempo intercorrente dal deposito della sentenza alla data di comunicazione da parte del cancelliere dell’avvenuto deposito mediante biglietto di cancelleria. Il ricorrente richiama il principio della tutela dell’affidamento del terzo in buona fede ed evidenzia che fino alla comunicazione del cancelliere di avvenuto deposito del provvedimento giudiziale non aveva avuto conoscenza della fine del procedimento e, dunque, anche le sue sofferenze dovute alla durata dello stesso erano continuate. Pertanto, a suo parere dovrebbe essere conteggiato nel calcolo di durata del giudizio presupposto il tempo intercorrente dal deposito della sentenza a quello del biglietto di cancelleria, sicchè, essendo il giudizio presupposto iniziato il 23 novembre 2007 doveva ritenersi terminato il 23 settembre 2011 con la comunicazione del biglietto della cancelleria. Pertanto, la sua durata non poteva essere 3 anni, 7 mesi e 14 giorni come erroneamente ritenuto dal giudice dell’opposizione, bensì 3 anni e 10 mesi.

La durata complessiva, pertanto era di 9 anni e 7 mesi e la durata irragionevole era di anni 6 e mesi 7 arrotondabili ex lege a 7 anni.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione – in relazione all’accertamento della durata ragionevole del giudizio presupposto, di secondo grado, di correzione di errore materiale, di legittimità e di rinvio in 4 anni anzichè in 3 – della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, 2 bis e 2 ter.

A parere del ricorrente il periodo del giudizio di rinvio non poteva essere calcolato come durata ragionevole nella misura di un anno in quanto il tempo complessivo del giudizio è di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno per il giudizio di legittimità. Il giudizio di rinvio è la prosecuzione del giudizio di legittimità e non può essere considerato come un ulteriore grado di giudizio. Dunque, anche in base all’interpretazione letterale della L. n. 89, art. 2, comma 2 bis, il periodo oltre il sesto anno andava comunque calcolato.

Peraltro, il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto considerare che con una corretta decisione d’appello il processo poteva essere definito nel termine ragionevole di due anni e, dunque, il tempo si è irragionevolmente protratto per il comportamento poco diligente dei giudici. Dunque, il processo che ha avuto una durata complessiva di 9 anni e 7 mesi, come indicato nei primi motivi, avrebbe avuto una durata irragionevole di 6 anni e 7 mesi arrotondabili a 7 anni.

3.1 I primi tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Il ricorrente richiede che, ai fini del calcolo della durata irragionevole del processo, venga incluso anche il periodo decorrente dal deposito della sentenza d’appello fino alla comunicazione dell’avvenuto deposito a mezzo biglietto di cancelleria. Tale periodo non è computabile in virtù della previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater, che esclude espressamente dal periodo di durata irragionevole il tempo in cui il processo è sospeso e quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa. Poichè il termine per proporre impugnazione ex art. 327 c.p.c. decorre dal deposito della sentenza in cancelleria non assuma alcun rilievo la successiva comunicazione del deposito effettuata a mezzo biglietto di cancelleria, comunicazione non idonea neanche a far decorrere il termine breve per impugnare.

Inoltre, con altra censura, il ricorrente ritiene che il periodo di durata ragionevole del processo, anche nel caso in cui il giudizio presupposto si sia svolto in più di tre fasi, debba essere calcolato sempre in 6 anni di (tre anni per il primo grado, due anni per il secondo e 1 per il giudizio di legittimità) comprensivi, pertanto, anche della fase relativa all’eventuale giudizio di rinvio, mera prosecuzione del giudizio di legittimità.

In proposito questa Corte ha già avuto modo di chiarire con la sentenza n. 19769 del 2015, che ai fini dell’accertamento della violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, detto termine va determinato, di regola, in tre anni per il primo grado, due per il secondo ed uno per ciascuna fase successiva, e la durata ragionevole del giudizio di rinvio – tanto quello disposto dalla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., quanto quello disposto dal giudice d’appello, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, – va individuata, trattandosi di prosecuzione del processo originario, nella misura di un anno (vedi anche Sez. 2, Ord. n. 22975 del 2017 in motivaz.).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto del procedimento; anomalia motivazionale – in relazione alla liquidazione del danno non patrimoniale per la violazione del termine ragionevole del giudizio presupposto – per motivazione apparente, motivazione tautologica, motivazione incomprensibile; violazione e falsa applicazione delle norme ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. Att. C.p.c. e art. 111 Cost..

La censura attiene alla quantificazione del moltiplicatore annuo in Euro 500 tenuto conto del grado di complessità della causa dell’oggetto del procedimento del comportamento delle parti, del giudice e degli interessi coinvolti e del valore della causa e del relativo esito.

Secondo il ricorrente la complessità della causa e l’oggetto del procedimento presupposto non rientrano nei criteri indicati nell’art. 2 bis, comma 2, al fine di determinare l’importo da liquidare a titolo di equa riparazione. Il richiamo al testo dell’art. 2 bis, comma 2, non consentirebbe di ritenere soddisfatto l’onere motivazionale sulle ragioni che hanno determinato la Corte d’Appello a liquidare al ricorrente l’importo di soli Euro 500 anzichè 800.

Risulterebbe violato anche l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e l’art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost. per la mancanza di motivazione.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione – in relazione alla liquidazione del danno non patrimoniale per la violazione del termine ragionevole del giudizio presupposto – delle norme ex art. 1226,2056,2059 c.c., art. disp. att. c.c., L. n. 89 del 2001, art. 1 bis, 2 bis art. 117 Cost., artt. 6, 13, 34 e 35 Convenzione Europea.

La censura ripropone quella di cui al quarto motivo relativa alla quantificazione dell’indirizzo ed è formulata in relazione alla rilevanza della posta in gioco sia al parametro posto dall’art. 13 della CEDU, circa l’effettività della protezione.

Il ricorrente dopo aver ripercorso le varie fasi processuali del giudizio presupposto evidenzia che per l’importanza della controversia avrebbe dovuto applicarsi il valore massimo previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1, prima parte.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; omesso esame dei fatti rilevanti della liquidazione del danno non patrimoniale per la violazione del termine ragionevole del giudizio presupposto relativi all’irragionevole durata del giudizio di primo grado già accertata.

Il giudizio di primo grado era già stato oggetto di un giudizio di durata irragionevole (otto anni) come allegato nella parte in fatto del ricorso dunque la Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto, ai fini della quantificazione dell’importo annuo di Euro 500, anche del fatto che la somma liquidata può essere incrementata fino al 20% per gli anni successivi al terzo e fino al 40% per gli anni successivi al settimo. In conclusione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare il complessivo periodo di durata del giudizio presupposto eccedente il settimo anno, tenendo conto della durata del giudizio di primo grado.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione – in relazione alla liquidazione del danno non patrimoniale per la violazione del termine ragionevole del giudizio presupposto – degli artt. 1226,2056,2059 c.c. e L. n. 89 del 2001, art. 2 bis.

La censura è ripetitiva di quella proposta con il sesto motivo e attiene al mancato incremento fino al 20% per ogni anno successivo al terzo e fino al 40% per ogni anno successivo al settimo, tenuto conto della durata del procedimento di primo grado oltre che della lentezza dell’intero procedimento durato oltre 22 anni con aggravamento del danno. Risulterebbero violati, quindi, il criterio equitativo di cui all’art. 1227 e 2056 c.c. e il principio di integrale risarcimento del danno e i principi affermati dalla Corte Europea oltre che il disposto di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1.

7.1 I motivi dal quarto al settimo, che stante la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

In proposito deve richiamarsi la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale: “In tema di equa riparazione, la L. n. 89 del 2001, art. 2 bis (anche nella formulazione, applicabile ratione temporis, derivante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015), relativo alla misura ed ai criteri di determinazione dell’indennizzo per l’irragionevole durata del processo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito – sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il “quantum” della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 dell’art. 2 bis citato, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico” (Sez. 6-2, Ord. n. 3157 del 2019).

Nella specie, peraltro, non può dirsi che la motivazione della quantificazione dell’indennizzo sia apparente, in quanto dalla stessa è possibile verificare l’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da rientrare nella soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. Infatti, la Corte d’Appello di Napoli, nel provvedimento impugnato, preliminarmente dà atto dell’oggetto del giudizio presupposto relativo alla causa di risarcimento danno proposta dal ricorrente per la morte della madre, analizza la scansione temporale delle varie fasi del giudizio e, infine, ritiene equo un indennizzo pari ad Euro 500 per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi, per un importo complessivo pari a Euro 2500.

Infine, la censura relativa all’erronea quantificazione dell’indennizzo per il mancato incremento del 20 per cento per gli anni successivi al terzo e del 40 per cento per gli anni successivi al settimo è inammissibile.

La sollecitazione, contenuta nei motivi in esame, a rivalutare la congruità dell’indennizzo accordato, in relazione al valore della causa, non considera che il giudice dell’equa riparazione deve fare riferimento, da un lato, ai valori minimi e massimi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis comma 1 – nel testo novellato dalla L. n. 208 del 2015, applicabile “ratione temporis” -, e dall’altro ai parametri elencati al medesimo art. 2-bis, comma 2. Rimane, tuttavia, preclusa alla Corte di cassazione la verifica sulla concreta determinazione del quantum dell’indennizzo operata dal giudice di merito, trattandosi di valutazione di fatto, così come la verifica dell’applicazione dell’incremento di cui allo stesso art. 2 bis, comma 1, in quanto esplicazione di potere discrezionale il cui esercizio è rimesso al predetto giudice di merito.

8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione – in relazione alla liquidazione dei compensi del procedimento monitorio – dell’art. 10 c.p.c. dell’art. 2233 c.c. del R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 57 e 58 della L. n. 794 del 1942, art. 24, del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 2, della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, del D.M. n. 55 del 2014, art. 2, commi 1, 3, 4 e 5, e tabella 12 del medesimo D.M. n. 55 del 2014.

La censura attiene alla liquidazione delle spese di lite calcolate sulla base della tabella prevista per il procedimento monitorio e non su quelli dei giudizi aventi natura contenziosa. I compensi del procedimento monitorio, inoltre, andavano liquidati sulla scorta dei valori medi previsti dalla tabella 12.

Lo scaglione di valore della controversia era quello compreso tra Euro 5200 ed Euro 26000. I compensi andavano quindi liquidati per le tre fasi in concreto espletate: fase di studio valore pari a Euro 1080, fase introduttiva del giudizio Euro 877, fase decisionale Euro 1820 per un totale di Euro 3777 oltre le maggiorazioni di legge quale il 30% per la redazione degli atti depositati mediante modalità telematiche ed informatiche idonee ad agevolarne la consultazione, il 15% per le spese generali, il 22% per l’IVA e 4% per C.A.

I suddetti valori potevano essere diminuiti non oltre il 50% fino a Euro 1888,50.

9. Il nono motivo di ricorso è così rubricato violazione falsa applicazione in relazione alla liquidazione dei compensi del procedimento monitorio.

Il motivo è proposto in via subordinata e condizionata alla mancata liquidazione di un importo per danno non patrimoniale superiore a Euro 5200 e alla conseguente mancata liquidazione per effetto dell’operatività del cosiddetto effetto espansivo interno previsto dall’art. 336 c.p.c. dei compensi del procedimento monitorio.

9.1 I motivi ottavo e nono sono infondati.

Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di giudizio di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la liquidazione delle spese della fase destinata a svolgersi dinanzi al consigliere designato deve avvenire sulla base della tabella n. 8, rubricata “procedimenti monitori”, allegata al D.M. n. 55 del 2014, per quanto si sia al cospetto di un procedimento monitorio destinato a celebrarsi dinanzi alla corte d’appello, con caratteri di “atipicità” rispetto a quello di cui agli artt. 633 c.p.p. e ss., rilevando, ai fini dell’applicazione di tale tabella, oltre che l’identica veste formale decreto – del provvedimento conclusivo della prima fase di entrambi i procedimenti, anche l’iniziale assenza di contraddittorio e la differita operatività della regola cardine “audiatur et altera pars”, che appieno accomunano il primo sviluppo del procedimento “ex lege” Pinto e l’ordinario procedimento d’ingiunzione” (Sez. 2, Sent. n. 16512 del 2020).

Risulta infondata, pertanto, la censura proposta dal ricorrente secondo la quale, anche per la prima fase di svolgimento del procedimento per equa riparazione dinanzi al consigliere designato per la liquidazione dei compensi professionali, debba applicarsi la tabella 12 propria dei giudizi aventi natura contenziosa dinanzi la Corte d’Appello.

L’ulteriore censura relativa all’importo liquidato e allo scaglione di riferimento è espressamente subordinata all’accoglimento dei primi motivi di ricorso e, pertanto, al loro rigetto segue l’inammissibilità della stessa.

10. Il decimo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto e del procedimento in relazione al primo motivo di opposizione relativo alla non indispensabilità della documentazione integrativa richiesta dal primo giudice in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato tantum devolutum quantum appellatum, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.

Il ricorrente evidenzia che sin dall’introduzione del giudizio aveva offerto in comunicazione, con deposito con modalità telematiche, tutta la documentazione necessaria e nonostante questo la Corte d’Appello in composizione monocratica aveva invitato il ricorrente a provvedere all’integrazione documentale L. n. 89 del 2001, ex art. 3, comma 3. Il ricorrente, con istanza integrativa depositata con modalità telematiche aveva allegato in fatto di aver depositato tutti gli atti di parte e cautelativamente aveva depositato nuovamente la medesima documentazione. La Corte d’Appello di Napoli in composizione monocratica aveva rigettato il ricorso.

Con il ricorso in opposizione il ricorrente aveva lamentato l’erroneità di tale decisione (nel ricorso per cassazione è riportato il primo motivo del ricorso in opposizione). Inoltre, aveva depositato unitamente al ricorso in opposizione gli altri atti del giudizio presupposto non depositati nel procedimento monitorio in quanto ritenuti superflui e indicati specificamente.

La Corte d’Appello di Napoli, invece, ha ritenuto di compensare le spese di lite del procedimento di opposizione per il ritardo della produzione degli atti integrativi pur richiesti. In tal modo la Corte d’Appello non ha esaminato tutta la domanda del ricorrente e non si è pronunciata sul primo motivo di opposizione relativo all’accertamento della non indispensabilità della documentazione integrativa richiesta dal primo giudice. In tal modo avrebbe violato gli artt. 112 e 345 c.p.c. con conseguente omessa pronuncia sul motivo di opposizione.

La Corte d’Appello prima di compensare le spese di lite avrebbe dovuto accertare, rispondendo allo specifico motivo di opposizione, se la documentazione richiesta dal primo giudice fosse necessaria ed indispensabile.

11. L’undicesimo motivo è così rubricato: Nullità del decreto e del procedimento; violazione – in relazione al secondo motivo di opposizione relativa al difetto di motivazione del provvedimento integrativo del primo giudice e della violazione del diritto di difesa – del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del tantum devolutum quantum appellatum; violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.

Il ricorrente con il secondo motivo di opposizione aveva dedotto l’erroneità della richiesta del primo giudice di integrazione della documentazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3 integrazione che cautelativamente il ricorrente aveva provveduto a depositare. Il Ricorrente, dunque, aveva dedotto l’errore del primo giudice che avrebbe dovuto indicare espressamente gli atti mancanti e rilevanti per la decisione.

La Corte d’Appello nell’accogliere l’opposizione ha ritenuto ammissibile l’integrazione documentale ma non si è pronunciata sul merito del secondo e ultimo motivo di opposizione, compensando le spese per la tardiva produzione degli atti integrativi. In tal modo non si è pronunciata sulla loro indispensabilità in violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.

12. Il dodicesimo motivo è così rubricato: nullità del decreto e del procedimento, anomalia motivazionale in relazione alla compensazione delle spese di lite del procedimento di opposizione per mancanza di motivazione sotto l’aspetto materiale grafico motivazione apparente, motivazione perplessa, motivazione incomprensibile, violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost.

La censura è ripetitiva di quelle proposte con i due motivi precedenti, sotto il profilo della violazione del minimo costituzionale per la motivazione del provvedimento sulla necessità dell’integrazione documentale richiesta dal primo giudice.

13. Il tredicesimo motivo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto e del procedimento; violazione e falsa applicazione – in relazione alla compensazione delle spese di lite del procedimento di opposizione degli artt. 91,92 c.p.c. 24 e art. 111 Cost.

La ragione della compensazione delle spese di lite fondata sul ritardo nella produzione dei documenti integrativi violerebbe l’art. 91, comma 1, in relazione al principio della soccombenza e l’art. 92, comma 2, (attualmente vigente ed applicabile nei procedimenti introdotti dopo il 10 dicembre 2014 come quello di specie) che prevede la compensazione delle spese solo se vi è soccombenza reciproca o nel caso di novità della questione trattata o nel caso di mutamento della giurisprudenza.

La Corte Costituzionale ha aggiunto anche la possibilità di compensare le spese in presenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere esplicitamente indicate nella motivazione. Le motivazioni poste a base della decisione non costituiscono tali eccezionali e gravi ragioni.

14. I motivi dal decimo al tredicesimo sono fondati.

In particolare, sono fondate le censure formulate dal ricorrente di integrale mancanza di motivazione sulle ragioni del rigetto del motivo di opposizione relativo alla non necessità di integrazione della documentazione richiesta dal primo giudice e di erronea applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

La Corte d’Appello, infatti, ha omesso del tutto di motivare sulle ragioni del rigetto del motivo relativo alla erronea richiesta di integrazione documentale, ritenendolo implicitamente rigettato o assorbito in virtù della ritenuta ammissibilità della documentazione anche nel giudizio di opposizione e del conseguente accoglimento della domanda. La mancata integrazione, tuttavia, è stata posta dalla Corte d’Appello a base della decisione di compensare le spese di lite del giudizio svoltosi dinanzi al collegio, sicchè per tale aspetto vi era un onere di motivazione circa la legittimità dell’ordine di integrare la documentazione posta a base del primo motivo di opposizione.

In ogni caso, deve evidenziarsi che la tardiva integrazione della documentazione non è motivo sufficiente ad integrare i presupposti applicativi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, e tale questione ha carattere assorbente.

L’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorchè concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce – difatti – una clausola generale da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, le cui conclusioni sono censurabili in sede di legittimità (Cass. s.u. 2572/2012). Occorre precisare che la Corte costituzionale, con sentenza 77/2018, ha dichiarato illegittimo l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dal D.L. n. 132 del 2014, convertito con L. n. 162 del 2014 (ove non prevedeva la possibilità di compensare le spese processuali anche in presenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, diverse dall’assoluta novità della questione o dal mutamento di giurisprudenza), ritenendo lesivo del canone di ragionevolezza “l’aver il legislatore del 2014 tenuto fuori dalle fattispecie nominate, che facoltizzano il giudice a compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale, le analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata”.

Secondo il Giudice delle leggi, “la rigidità di tale tassatività ridonda anche in violazione del canone del giusto processo (art. 111 Cost., comma 1) e del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost., comma 1) perchè la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite anche in qualsiasi situazione del tutto imprevista ed imprevedibile per la parte che agisce o resiste in giudizio, può costituire una remora ingiustificata a far valere i propri diritti”.

La compensazione, quindi, in base alla disciplina vigente, può essere disposta, oltre che nelle ipotesi di soccombenza reciproca, di assoluta novità, delle questioni trattate e di mutamento della giurisprudenza su questioni dirimenti, solo quando le specifiche circostanze prese in considerazione dal giudice di merito presentino connotazioni tali renderle assimilabili alle altre ipotesi previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2. Difatti, come ha chiarito la Corte costituzionale, “le ipotesi illegittimamente non considerate dalla disposizione censurata possono identificarsi in quelle che siano riconducibili a tale clausola generale e che siano analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità. Le quali ultime quindi – l'”assoluta novità della questione trattata” ed il “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” – hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale” (cfr. Corte Cost. 77/2018).

Nella specie la stessa ammissibilità della documentazione nella fase di opposizione rende evidente che la mancata integrazione della stessa nella fase monitoria non è motivo sufficiente ad integrare un’ipotesi di gravità ed eccezionalità tale da giustificare la compensazione delle spese.

15. In conclusione la Corte accoglie i motivi dal decimo al tredicesimo, rigetta i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione che dovrà procedere ad una nuova decisione in ordine alle spese di lite anche in relazione a quelle relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi dal decimo al tredicesimo, rigetta i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 14 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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