Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4532 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 24/02/2011), n.4532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Gavorrano n. 12, presso lo studio dell’Avv. Mario Giannarini,

rappresentato e difeso, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti

Andolina Italo Augusto e Salvatore Maceri del foro di Catania come da

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI LODI S.p.A., (avente causa dalla Banca Popolare

Italiana scarl, già Banca Popolare di Lodi Scarl, a sua volta avente

causa dalla Banca Mercantile Italiana, a sua volta avente causa dalla

Banca Popolare di Belpasso) in persona del suo procuratore speciale

Avv. M.R., elettivamente domiciliata in Roma, Virgilio

n. 8, presso lo studio dell’Avv. Ciccotti Enrico, che la rappresenta

e difende, anche in via disgiunta, con l’avv. Andrea Fortunat del

foro di Milano e l’Avv. Lucio Ricca del foro di Catania giusta

procura speciale unita al controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 947/08 della Corte di Appello di

Catania del 25.09.2008/25.10.2008 nella causa iscritta al 647 R.G.

dell’anno 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27.01.2011 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Salvatore Maugeri per il ricorrente e l’Avv. Enrico

Ciccotti per la controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. BASILE

Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, per

il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Catania con sentenza n. 2419 del 2005 rigettava il ricorso proposto da M.M. nei confronti della Banca Popolare di Belpasso (cui era subentrata la Banca Mercantile Italiana), volto ad ottenere declaratoria di illegittimità del licenziamento, intimatogli con lettera del 30.07.1998, nonchè ad ottenere riconoscimento di inquadramento nel quarto livello e compenso per lavoro straordinario. Al M. erano state addebitate alcune irregolarità riguardanti la gestione del deposito a risparmio n. 1840 e un mandato di tesoreria del Comune di Mascali.

Tale decisione, appellata dal M., è stata confermata dalla Corte di Appello di Catania con sentenza n. 947 del 2008, che ha disatteso la tesi difensiva dell’appellante, tesa a sminuire la gravità dei fatti a lui contestati, valorizzando la confessione dallo stesso resa , come si evince dalla lettera 24.07.1998. Su tale base la Corte ha ritenuto che fosse vento meno il rapporto fiduciario della banca con il suo dipendente.

La stessa Corte ha osservato che le mansioni disimpegnate dal M. (in particolare quelle riguardanti i rapporti con l’autorità giudiziaria) non erano riconducibili ad inquadramento superiore, in quanto l’organigramma aziendale non prevedeva un ufficio dei rapporti con l’autorità giudiziaria e una figura di responsabile, tanto più che tali mansioni erano state svolte in precedenza da altri dipendenti con qualifica inferiore a quella di funzionario. Neppure, secondo la Corte, l’appellante aveva provato lo svolgimento di lavoro straordinario, come risultava dai tabulati, essendo generiche le affermazioni del teste A.M..

Il M. ricorre per cassazione con quattro motivi. Resiste con controricorso la Banca Polare di Lodi nella indicata qualità.

Entrambe le parti hanno depositato rispettiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 35 della Costituzione, degli artt. 2104, 2105, 2106, 2119, 2730 e 2732 cod. civ.; della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 2 e 5 della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dell’art. 124, lett. d) del contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale delle aree professionali dipendenti a banche stipulato il 19.2.1994, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’omesso accoglimento dell’impugnativa del licenziamento in tronco intimato al ricorrente.

In particolare censura la sentenza impugnata per avere poggiato il fondamento della legittimità del licenziamento sulla lettera del 29.07.1998, contenente asserita confessione, poi revocata, nonchè sulla relazione ispettiva, senza procedere ad ulteriore verifica della sussistenza delle mancanze addebitate.

Il M. aggiunge che la stessa sentenza non ha tenuto nella debita considerazione la dichiarazione in data 1.04.2004 di G. A.M..

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione con riferimento al fatto decisivo, costituito dalla commissione delle mancanze addebitate al lavoratore e della gravità delle stesse, nonchè con riferimento all’erronea pronunzia di rigetto dell’impugnativa di licenziamento contenuta nella sentenza impugnata.

Il M. sostiene che la decisione di appello non ha accertato l’effettiva incidenza dei fatti sul più che ventennale rapporto di lavoro, tanto più che contenuti della lettera di contestazione della banca erano stati smentiti dalla richiamata dichiarazione della G.. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente state la loro intima connessione, sono infondati. L’apprezzamento, effettuato dai giudici di merito, rientra nell’ambito dell’esercizio del potere di valutazione del materiale probatorio e delle risultanze documentali, in particolare del contenuto della lettera in data 29.07.1998 del M., a cui è stato riconosciuto innegabile valore confessorio, anche in base al riscontro con le dichiarazioni rese dai testi P. e G..

A tale apprezzamento di gravità degli addebiti contestati al lavoratore, sostenuti da congrua e coerente motivazione, il ricorrente si è limitato ad opporre una diversa valutazione, con particolare riguardo al contenuto dell’anzidetta lettera, di cui ha negato il valore confessorio attribuito dai giudici di merito, valutazione che non è consentita in sede di legittimità e che comunque non scalfisce le puntuali argomentazioni del giudice di appello.

Nè sulla ricostruzione dei fatti incide la dichiarazione di G.A.M., atteso che i giudici di appello si sono avvalsi delle riferite risultanze istruttorie, ritenendo, come già detto, provati i fatti addebitati e comunque di tale gravità, anche con riguardo ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale, da incidere sul rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro.

2. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della qualifica superiore e delle differenze retributive, ponendo in rilievo di essere stato adibito a curare i rapporti con l’autorità giudiziaria, mansioni comportanti – alla stregua delle disposizioni contrattuali di carattere collettivo – l’attribuzione del quarto livello retributivo della terza area professionale ovvero nel primo – secondo livello retributivo – della quarta area.

Con il quarto motivo il ricorrente ribadisce, sotto il profilo di vizio di motivazione, quanto dedotto nel terzo motivo con riferimento al mancato riconoscimento della superiore qualifica rivendicata.

Gli esposti motivi, da esaminarsi congiuntamente riguardando la stessa questione, sono privi di pregio e vanno disattesi. Il giudice di appello ha fornito sul punto adeguata ed esauriente risposta, precisando che non poteva essere riconosciuto il richiesto inquadramento, giacchè le mansioni, riguardanti i rapporti con l’autorità giudiziaria, non erano riconducibili ad inquadramento superiore, in quanto l’organigramma aziendale non prevedeva un ufficio dei rapporti con l’autorità giudiziaria e una figura di responsabile, tanto più che tali mansioni erano state svolte in precedenza da altri dipendenti con qualifica inferiore a quella di funzionario.

Trattasi anche in relazione a tali censure di diverso e non consentito apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quello dei giudici di merito, che sul punto, come già detto, hanno ampiamente motivato.

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 29,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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