Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4532 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2022, (ud. 09/09/2020, dep. 11/02/2022), n.4532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 248-2020 proposto da:

B.I.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA CANNATA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 8971/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 27/11/2019 r.g.n. 17506/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa LEO GIUSEPPINA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato in data 27.11.2019, ha rigettato il ricorso proposto da B.I.O., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno-Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Salerno il 22.11.2018, notificato il 20.5.2018, con il quale erano state disattese le domande del richiedente, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. il Tribunale ha osservato che le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno dell’espatrio non integrano i presupposti previsti normativamente per ottenere quanto richiesto, non sussistendo il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiose, razziali o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, secondo quanto dispone il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, ed essendo le predette ragioni del tutto generiche, sfornite di qualunque supporto probatorio, avendo il ricorrente giustificato l’espatrio “per una grave crisi che aveva colpito nel 2014 il villaggio di Mushin, dove viveva” e per i contrasti creatisi all’interno della comunità “a causa della nascita di diverse bande criminali che saccheggiano e distruggono i negozi della città”, senza ulteriore specificazione;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, i giudici di merito hanno evidenziato che il ricorrente non ha espresso timori in ordine a possibili conflitti armati interni quali fonti di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio; pertanto, valutata altresì la situazione sociopolitica del Paese di provenienza, hanno ritenuto che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c);

4. infine, i giudici di merito hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere;

5. per la cassazione del decreto ha proposto ricorso B.I.O. articolando tre motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine di “una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3, 5,6 e 14; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il Tribunale erroneamente reputato non credibile la storia narrata da esso ricorrente, senza valutarla alla luce di riscontri oggettivi relativi alla situazione generale del Pese di provenienza;

2. con il secondo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “per la violazione dei criteri legali per il riconoscimento della protezione umanitaria”, avendo la Corte di merito erroneamente affermato che non risulta provato che il rimpatrio possa esporre l’appellante, anche in considerazione del luogo di nascita e provenienza, a trattamenti quali quelli contemplati nella normativa di riferimento, senza tuttavia addurre alcuna motivazione alla base del suo ragionamento se non quella del “non particolare inserimento sociale o lavorativo, tale da giustificare di per sé il riconoscimento della protezione umanitaria”;

3. con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il Tribunale erroneamente considerato che la Nigeria non presentasse particolari problematiche;

4. il primo motivo è inammissibile, in quanto lo stesso difetta del requisito di specificità (o autosufficienza), non essendo stato precisato nel ricorso quali fossero gli elementi ulteriori rispetto a quelli già esaminati dal Tribunale e dalla Commissione Territoriale, idonei a far valutare diversamente le dichiarazioni che l’appellante ha reso nell’ambito dell’istruttoria amministrativa, posto che, nel ricorso, si fa espresso riferimento a presupposti di fatto che riguardano la credibilità del racconto fornito dal richiedente, espressamente negata dai giudici di merito, con un apprezzamento che non può essere rivisitato in sede di legittimità in mancanza di censure appropriate (cfr., tra le molte, Cass. nn. 8020/2020; 29279/2019). E, peraltro, le vicende addotte a sostegno della pretesa, delle quali si è fatto cenno in narrativa, sono del tutto generiche e, rispetto ad esse, il ricorrente non ha fornito alcun elemento da cui si possa evincere l’impossibilità di ottenere tutela dalle autorità dello Stato (v. Cass. n. 14680/2020);

5. egualmente inammissibili, per difetto di specificità, devono considerarsi gli altri due mezzi di impugnazione – da trattare congiuntamente perché connessi -, poiché il ricorrente non ha chiarito nel ricorso dove e quando, nel corso del processo, avrebbe fornito elementi delibatori a sostegno della circostanza del proprio inserimento, anche lavorativo, in Italia, o di particolari situazioni afferenti a beni primari dello stesso ovvero di una situazione di particolare vulnerabilità, anche di carattere temporaneo, da tutelare (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 25311/2020; 7831/2019);

6. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

7. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, poiché l’Avvocatura dello Stato ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

8. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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