Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4531 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. I, 24/02/2010, (ud. 24/11/2009, dep. 24/02/2010), n.4531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso l’avvocato DE BELVIS

ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE

STEFANO ANNALISA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.G.F., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 109, presso l’avvocato

D’ANDREA LUCIANO, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA depositato

l’11/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/11/2009 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Z.G.F., con ricorso al tribunale di Roma depositato il 10 settembre 2003, chiese la modifica delle condizioni della separazione consensuale dal marito, A.F., diplomatico, omologata in data 21 novembre 2002, nella quale era stato stabilito a carico del marito un assegno di Euro 1500,00 mensili per il mantenimento di essa ricorrente e delle due figlie minori a lei affidate. Dedusse che le condizioni economiche del marito erano migliorate, essendo stato trasferito presso l’ONU, in New York (ed essendo la sua remunerazione passata da Euro 2.600,00 mensili, percepite al momento della separazione, ad un importo molto maggiore, tenuto conto dell’indennità di servizio estero di Euro 15.723,64 mensili e dell’indennità di rappresentanza di Euro 1.786,78 mensili. Il tribunale, con decreto in data 9 luglio 2004, aumentò l’assegno su detto ad Euro 4.200,00 mensili, di cui Euro 1.200,00 per la moglie, con conferma delle altre condizioni economiche della separazione (e cioè il pagamento da parte dell’ A. del canone di locazione della casa coniugale e del 50% delle spese mediche straordinarie e ricreative delle figlie).

L’ A. propose reclamo, negando che, alla stregua della legislazione al riguardo, le indennità sopra indicate avessero natura retributiva e deducendo che il Ministero degli Esteri corrispondeva alla Z., a titolo di maggiorazione in relazione all’incarico all’estero di esso deducente, Euro 1199,00 mensili.

Chiese che l’assegno per le figlie fosse quantificato nella misura di Euro 1.250,00 mensili e quello per la moglie nella misura di Euro 500,00, ponendo a carico di entrambi i genitori, per il 50%, le spese relative a quattro viaggi l’anno Roma-New York per le figlie. La Corte di appello, nel contraddittorio fra le parti, con decreto in data 11 gennaio 2006, notificato il 3 febbraio 2006 alla Z., determinò in Euro 1000,00 mensili, dalla domanda di modifica, l’assegno per la moglie, in Euro 3000,00 quello per le figlie, pose a carico della Z. metà delle spese di viaggio Roma-New York per due viaggi all’anno, pose a carico del padre il 50% delle spese mediche e ricreative straordinarie delle figlie, ferme le altre obbligazioni l’ A. ha proposto ricorso avverso tale decreto, con atto notificato il 3 aprile 2004 alla Z., formulando due motivi. La Z. resiste con controricorso notificato il 12 maggio 2006 alla controparte ed alla procura generale presso la Corte di appello.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale va rigettata l’eccezione della controricorrente d’inammissibilità del ricorso per non essere il decreto della Corte di appello impugnabile.

Detto decreto, pronunciato dalla Corte d’appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione dei coniugi, concernenti il mantenimento della moglie e dei figli, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., avendo natura sostanziale di sentenza, in quanto incidente su diritti soggettivi, essendo emesso a conclusione di un procedimento contenzioso, essendo caratterizzato dagli elementi della decisorietà e definitività ed essendo idoneo a dar luogo alla formazione di un giudicato “rebus sic stantibus” ancorchè suscettibile di revisione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 155 cod. civ. (ex multis Cass. 16 maggio 2005, n. 10229; 4 febbraio 2005, n. 2348).

2.1. Con il primo motivo del ricorso si denuncia la violazione del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 171, per avere la Corte di appello ricompreso fra i redditi del ricorrente dei quali ha tenuto conto al fine di quantificare l’assegno di mantenimento per la moglie separata e le figlie l’indennità di servizio estero. Si deduce al riguardo che la stessa Corte riconosce che detta indennità è destinata a fare fronte a spese di rappresentanza e che l’art. 171 citato, su detto prevede che essa sia commisurata agli oneri derivanti dal servizio all’estero, cosicchè non ne potrebbe essere distolta per fare fronte agli assegni in questione. Si deduce ancora che l’art. 171 citato, esclude la natura retributiva di detta indennità, avente carattere transitorio in relazione al servizio all’estero, mentre arbitrariamente la Corte di appello avrebbe ritenuto tale esclusione limitata ai fini contributivi e fiscali.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 6, artt. 147 e 156 cod. civ.. Si deduce al riguardo che la Corte di appello ha applicato in via analogica principi stabiliti da alcune pronunce giurisprudenziali in materia di divorzio, mentre se ne contesta l’applicabilità all’assegno di separazione, stante la natura diversa da quella dell’assegno di divorzio. Parimenti, l’indennità di servizio estero, secondo il ricorrente, non potrebbe essere presa in considerazione, ai fini della quantificazione dell’assegno per i figli, in quanto a ciò è già destinata espressamente la maggiorazione prevista dalla legge in caso di servizio all’estero.

2.2. I motivi vanno esaminati congiuntamente e rigettati.

Questa Corte, con giurisprudenza consolidata (Cass. 19 dicembre 2003, n. 19527; 16 giugno 1997, n. 5380; 21 luglio 1992, n. 8793; 25 febbraio 1987, n. 1882) ha affermato il principio che ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio deve essere considerata anche l’indennità di servizio all’estero, attribuita ai diplomatici a norma del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 171, come modificato dal D.Lgs. n. 62 del 1998, art. 5, ancorchè non abbia natura retributiva dal punto di vista contributivo e fiscale. Infatti assume rilievo, ai fini in questione, che tale indennità costituisca un’entrata patrimoniale idonea a determinare migliori condizioni di vita sul piano economico, cosicchè da essa non può prescindersi nell’ambito delle valutazioni da compiersi ai sensi dell’art. 5 della legge sul divorzio.

In proposito va precisato che la su detta indennità va nettamente distinta dall'”assegno per oneri di rappresentanza” attribuito mensilmente, per il servizio all’estero, dall’art. 171 bis (inserito nella L. n. 18 del 1967 dal D.Lgs. n. 62 del 1998), ai diplomatici, “quale contributo forfettario per lo svolgimento delle attività di rappresentanza”, inteso “come mezzo per stabilire e intrattenere relazioni personali con le autorità, il corpo diplomatico e gli ambienti locali, per sviluppare iniziative e contatti di natura politica, economico-commerciale e culturale, per accedere a determinate fonti d’informazione e per assicurare un’efficace tutela delle collettività italiane all’estero”.

L’indennità prevista dall’art. 171 – a differenza dell’assegno su detto non soggetta agli obblighi di rendiconto ed eventuale restituzione previsti dall’art. 171 bis, u.c., per l’assegno di rappresentanza – non è fissa ma correlata a vari parametri, riferiti non solo al costo della vita e degli alloggi nella sede di destinazione (nel qual caso assumerebbe natura di un rimborso spese forfettario), ma anche “agli oneri della vita all’estero determinati in relazione al tenore di vita ed al decoro connesso con gli obblighi derivanti dalle funzioni esercitate”. Essa, ai sensi dell’art. 173, è aumentata in una misura frazionale per ogni figlio a carico, nonchè per il coniuge a carico non divorziato o separato (di regola solo ove risiedano stabilmente nella sede del titolare dell’indennità) mentre è diminuita (art. 171, comma 6), ove analoga indennità spetti al coniuge che presti servizio nella stessa sede all’estero.

Dal complesso di tale normativa emerge che la “ratio” per la quale la su detta indennità viene attribuita è quella di consentire al funzionario destinato all’estero e alla sua famiglia un tenore di vita particolare, che si ritiene necessario attribuirgli in relazione alle funzioni esercitate. Non essendovi obbligo di rendiconto, l’indennità, in concreto, rappresenta per il titolare un cospicuo incremento delle entrate che egli, pur dovendo assicurare il decoro connesso con le sue funzioni, gestisce del tutto autonomamente e che concorre a determinare la situazione economica sua e del suo nucleo familiare.

Nel caso di specie, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, il ricorrente, oltre ad uno stipendio metropolitano netto di Euro 2.512,90 mensili, per effetto della destinazione all’estero è venuto a godere, con l’attribuzione di detta indennità, di un ulteriore introito di Euro 15.387,41 mensili netti, oltre a una ulteriore maggiorazione di Euro 1.199, 00 netti per le due figlie.

Appare evidente che un simile incremento è idoneo a determinare, nonostante le particolari spese della residenza all’estero (nel caso di specie nella città di New York), un sostanziale miglioramento del tenore di vita.

Tralasciando in questa sede la problematica specifica relativa all’assegno di divorzio – al quale si riferiscono le sentenze sopra citate – ed affrontando quella relativa agli assegni di separazione per il coniuge e di mantenimento per le figlie, ai quali è limitato il “thema decidendum”, va osservato quanto segue.

L’art. 156 cod. civ., stabilisce che “il giudice, pronunciando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri” e che “l’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”. Tale norma è interpretata dalla consolidata- giurisprudenza di questa Corte (ex multis Cass. 27 giugno 2006, n. 14840; 7 febbraio 2006, n. 2626; 3 ottobre 2005, n. 192911/30 marzo 2005, n. 6712/24 dicembre 2002, n. 18327) nel senso che l’assegno di mantenimento per il coniuge separato senza addebito ha lo scopo di consentirgli di usufruire, tendenzialmente, dello stesso tenore di vita che godeva durante la convivenza matrimoniale e che gli sarebbe stato consentito dai miglioramenti degli introiti familiari sopravvenuti nel corso della separazione, e deve essere quantificato tenendo conto della situazione economica familiare complessiva, comprensiva non solo dei redditi veri e propri, ma anche di ogni utilità a disposizione dei coniugi che sia suscettibile di valutazione economica.

Quanto al mantenimento delle figlie, va considerato che anche in regime di separazione dei genitori la prole ha diritto a mantenere un tenore di vita corrispondente alle loro complessive risorse economiche, cosicchè il contributo al suo mantenimento (nel regime, come nel caso di specie, anteriore alla riforma del 2006) in favore del genitore affidatario va a queste ragguagliato (ex multis Cass. 22 marzo 2003, n. 6197; 7 aprile 1997, n. 2993).

Va infatti considerato al riguardo che tanto l’art. 143 c.c., quanto l’art. 148 c.c., rapportano l’obbligo di ciascun coniuga a contribuire ai bisogni della famiglia ed al mantenimento dei figli (previsto dall’art. 147 c.c.) alle sostanze e alle capacità di lavoro di ciascuno di essi, così statuendo che il tenore di vita dei figli deve essere proporzionato alle possibilità economiche della famiglia: tenore di vita che, all’interno di essa, deve essere omogeneo, come si evince anche dalla disposizione dell’art. 324 cod. civ., che destina al mantenimento della famiglia ed all’educazione indistintamente di tutti i figli, persino i frutti dei beni di ciascun figlio fatti oggetto di usufrutto legale dei genitori.

Ne consegue, sulla base di tali principi e considerazioni, che esattamente la Corte di appello ha tenuto conto, al fine di aumentare e quantificare sia l’assegno di mantenimento della moglie, sia il contributo per le figlie minori a lei affidate in sede di separazione consensuale, dell’indennità attribuita al ricorrente – ai sensi dell’art. 171 su menzionato e con la maggiorazione per le figlie di cui all’art. 173 successivamente all’omologazione della separazione, rappresentando essa un cospicuo incremento delle sue entrate che concorre a determinare la situazione economica sua e del suo nucleo familiare, così da dovere essere considerata ai fini su detti, anche se con prudente apprezzamento da parte del giudice ed in modo tale da salvaguardarne la funzione.

Non essendovi censure sotto tale ultimo profilo, il ricorso – pertanto – deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di Euro tremiladuecento, di cui euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge. Dispone che in caso di diffusione del provvedimento siano omesse le generalità di A.F. e Z.G..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

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