Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4530 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. I, 24/02/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 24/02/2010), n.4530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. SHCIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21166/2004 proposto da:

M.F. (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ALTAMURA (P.I. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE GIULIO CESARE 71,

presso l’avvocato NANNA VITO, rappresentato e difeso dagli avvocati

SPAGNOLO ATTILIO, TRAGNI LUCIA, giusta procura speciale per Notaio

Dott. STIGLIANO CLEMENTE di ALTAMURA – Rep. n. 58880 del 02/11/09;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25 0/2 004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato LUIGI ZINGARELLI, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato SPAGNOLO ATTILIO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 agosto 1983 il signor M.G. conveniva dinanzi al Tribunale di Bari il comune di Altamura per sentirlo condannare al risarcimento del danno conseguito all’occupazione appropriativa di un’area di sua proprietà di metri quadri 8800, a seguito della sua trasformazione irreversibile per l’ampliamento del cimitero adiacente.

Instauratosi il contraddittorio, l’adito tribunale con sentenza 10 giugno 1986 condannava il comune al pagamento della somma di L. 107.624.000 oltre interessi e rivalutazione monetaria per la perdita del terreno della minore superficie di metri quadri 7052.

Il successivo gravame dell’amministrazione comunale era respinto dalla Corte d’appello di Bari con sentenza 28 marzo 1988, in cui veniva riaffermata la natura edificatoria del suolo, nonostante fosse situato nella fascia di rispetto cimiteriale, in considerazione della vicinanza alla periferia dell’abitato che ne escludeva la vocazione agricola.

In accoglimento dell’appello incidentale, liquidava l’ulteriore danno da svalutazione monetaria, nella misura del 6%.

Proposto ricorso per cassazione in due motivi dal comune di Altamura, questa Corte, con sentenza 21 ottobre 1991 accoglieva il primo motivo, statuendo che l’intera area occupata non aveva vocazione edificatoria, bensì agricola, stante il vincolo imposto, quale fascia di rispetto cimiteriale, ai sensi della L. 17 ottobre 1957, n. 983, (Modifica del Testo Unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 338).

Con atto notificato il 2 dicembre 1992, il M. procedeva alla riassunzione del giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Bari, chiedendo la condanna al risarcimento del danno da occupazione illegittima del terreno. Anche il comune di Altamura provvedeva alla riassunzione con atto notificato il 3 dicembre 1992, chiedendo l’accertamento dell’inedificabilità del suolo.

Disposta la riunione dei due giudizi e la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, la corte territoriale con sentenza 23 novembre 1999, ritenuto che il fondo poteva avere una sua concreta utilizzazione, diversa da quella agricola, pur senza raggiungere il livello della piena edificabilità, confermava in L. 12.000 il valore dell’area al metro quadro, così come stimato dal giudice di primo grado. Respingeva quindi il gravame del comune, confermando la sentenza del Tribunale di Bari.

Avverso detta sentenza il comune di Altamura proponeva ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resisteva il M..

Con sentenza 25 giugno 2002 questa Corte, in accoglimento del terzo motivo, cassava con rinvio la decisione, statuendo che l’area in questione doveva essere qualificata in base ai nuovi criteri introdotti dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, – entrata in vigore nel corso del giudizio di rinvio ed espressamente applicabile ai processi in corso, anche in materia di occupazione appropriativa – che aveva escluso la configurabilità di figure intermedie tra i terreni agricoli e quelli edificabili.

Con atto di citazione ex art. 389 c.p.c., il comune di Altamura conveniva dinanzi alla Corte d’appello di Bari gli eredi di M.G., deceduto nelle more, per ottenere la restituzione della somma di Euro 15.651,18 corrisposta al de cuius a titolo di rifusione delle spese processuali liquidate nelle due sentenze di merito cassate.

Nella contumacia dei convenuti, la Corte d’appello di Bari condannava questi ultimi alla restituzione, pro quota hereditaria, della predetta somma, oltre gli interessi legali dalla data di percezione della somma e la rifusione delle spese di giudizio, a titolo di ripetizione di indebito per effetto del venir meno del titolo esecutivo, a prescindere dal rapporto sostanziale ancora sub judice.

Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione gli eredi di M.G. con atto notificato l’8 ottobre 2004.

Deducevano:

1) la violazione degli artt. 350, 352 e 158 c.p.c., e la nullità del processo e della sentenza per vizio di costituzione del giudice, dal momento che l’atto di citazione nel grado di rinvio introduceva un nuovo giudizio, rispetto a quello originario, che era soggetto a trattazione collegiale, secondo il rito novellato dalla L. 26 novembre 1990, n.53.

2) la falsa applicazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., e dell’art. 24 Cost., per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, in conseguenza della mancata fissazione dell’udienza di trattazione e dei termini perentori per proporre eccezioni pregiudiziali e di merito non rilevabili d’ufficio;

3) l’inesistenza, o la nullità, o l’inefficacia della sentenza nei confronti degli eredi di M.A., per inesistenza o nullità dell’atto di citazione ex art. 389 c.p.c., e della relativa notifica e per irregolare integrazione del contraddittorio in assenza di autorizzazione del giudice, nonchè per violazione dei termini a comparire e del diritto di difesa;

4) la violazione degli artt. 40, 273 e 274 c.p.c., perchè le domande avanzate dal comune di Altamura nei confronti degli eredi M. erano già state proposte dinanzi alla medesima Corte d’appello di Bari nell’atto di citazione in riassunzione, ex art. 392 c.p.c., del 16 giugno 2003;

5) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel non rilevare il giudicato formatosi sulla pronunzia della corte d’appello di Bari n.943/99, reiettiva della richiesta di restituire le somme già corrisposte a titolo di spese processuali;

6) la violazione di legge e l’insufficiente motivazione in tema di mora del debitore – giacchè erano stati illegittimamente riconosciuti gli interessi legali sulle somme sborsate, maturati per il colpevole ritardo del comune di Altamura nel dare esecuzione alle sentenze – nonchè le spese di registrazione delle sentenze e di precetto.

Resisteva con controricorso il comune di Altamura.

Entrambe le parti depositavano memoria nel termine di cui all’art. 378 c.p.c..

All’udienza del 18 novembre 2009 il P.G. e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 350, 352 e 158 c.p.c., e la nullità del processo e della sentenza per vizio di costituzione del giudice.

Al riguardo, si osserva che l’art. 389 c.p.c., secondo cui la domanda di restituzione conseguente alla sentenza di cassazione si propone al giudice del rinvio, è norma sulla competenza e non sul rito. L’autonomia dell’azione ripristinatoria sul piano sostanziale e processuale rispetto alla controversia principale destinata a proseguire in sede di rinvio comporta che la trattazione congiunta sia possibile, ma non necessaria; dal momento che il titolo per la restituzione risiede unicamente nell’annullamento della sentenza di merito in forza della quale sono avvenuti gli adempimenti, volontari o forzati (Cass., sez. unite, 2 luglio 2004, n.12.190). Se quindi essa venga proposta separatamente dalla riassunzione del processo principale, integra un nuovo giudizio, soggetto alla disciplina processuale vigente ratione temporis.

E’ quindi esatto che, nella specie, il rito applicabile fosse quello introdotto con la novella 26 novembre 1990, n.353. Tuttavia, tale affermazione in punto di diritto non comporta, di per sè, la nullità della sentenza impugnata, in carenza di alcuna concreta lesione al diritto di difesa della parte ricorrente.

Per esplicito dettato normativo (art. 50 quater c.p.c.) le disposizioni di cui agli artt. 50 bis e 50 ter c.p.c., non si considerano attinenti alla costituzione del giudice; e le nullità contestualmente previste – da far valere con motivo di gravame secondo quanto dispone l’art. 161 c.p.c., comma 1, ivi richiamato – attengono precipuamente al momento decisorio. Solo in caso di sentenza emessa in violazione della regola di collegialità (o monocraticità) si integra, quindi, una nullità assoluta (senza che peraltro questa comporti la nullità degli atti che l’hanno preceduta: Cass., sez. unite, 25 novembre 2008, n.28.040): ipotesi cui può essere assimilato l’esercizio da parte di giudice in composizione monocratica, difforme da quella rituale, di attività istruttoria pregnante ai fini probatori, pur se su delega del collegio (Cass., sez. 2^, 18 aprile 2005, n. 8070).

Fuori di tali evenienze, allorchè l’attività processuale abbia mero rilievo ordinatorio, si verte in tema di nullità relativa, la cui eccezione è soggetta al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c.. Nella specie, la sentenza è stata regolarmente emessa, dal giudice collegiale (Corte d’appello di Bari) e nessun pregiudizio è derivato dallo svolgimento di due udienze di trattazione, in cui non è stata svolta alcuna concreta attività istruttoria rilevante ai fini decisori, dinanzi al consigliere istruttore, nella contumacia dei sigg. M..

Con il secondo motivo si censura la violazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., e dell’art. 24 Cost..

Il motivo è infondato per ragioni analoghe a quelle sopra esposte.

Anche se si debba ritenere obbligatoria la concessione di un termine perentorio di giorni 20 – secondo il testo all’epoca vigente dell’art. 180 c.p.c., comma 2, – pur in caso di contumacia del convenuto, si osserva come tale dilazione sia espressamente finalizzata, dalla norma, alla proposizione di eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Ancora una volta, i ricorrenti non hanno però allegato alcuna lesione concreta al loro diritto di difesa che sia derivata dall’omessa concessione del termine invocato, tradottasi nell’impossibilità di opporre eccezioni in senso stretto. Non senza aggiungere che, comunque, la doglianza non è neppure astrattamente prospettabile da parti diverse dagli eredi della signora O.M.G. (la cui citazione era stata omessa per la prima udienza), dato che nei loro confronti il rinvio di udienza concesso dal presidente istruttore per provvedere alla rinnovazione della notifica ineseguita, di durata superiore a giorni 20, era idoneo a sanare la formale omissione del termine ex art. 180 c.p.c., comma 2, (Cass., sez. 1^, 6 luglio 2004, n. 12.314; Cass., sez. 3^, 29 ottobre 2001, n. 13.414).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono l’inesistenza, nullità o inefficacia della sentenza nei confronti degli eredi M.A., per vizio dell’atto di citazione ex art. 389 c.p.c., e della relativa notifica e per inesistenza o nullità dell’integrazione del contraddittorio in assenza di autorizzazione del giudice, nonchè per violazione dei termini a comparire.

Il motivo è infondato.

E’ esatto che la notifica effettuata in forma impersonale e collettiva presso l’ultimo domicilio del defunto M.A. non è valida fuori dell’ipotesi in cui essa è prevista dall’art. 303 c.p.c., comma 2, in tema di riassunzione del processo interrotto, entro un anno dalla morte della parte. Data la sua natura eccezionale, tale modalità semplificata e agevolata non trova applicazione oltre il grado di giudizio in cui si è verificato l’evento interruttivo. Con la conseguenza che l’atto di impugnazione e l’atto di riassunzione a seguito di cassazione con rinvio, ex art. 392 c.p.c., non possono giovarsene: come del resto si evince testualmente dalla dizione dell’art. 392 c.p.c., e art. 144 disp. att. c.p.c., (forma della domanda di restituzione o di riduzione in pristino), che concordemente prescrivono la notifica personale alla parte a norma dell’art. 137 c.p.c. e segg., senza menzionare anche la forma impersonale e collettiva.

Tuttavia, la conseguenza della sua irrituale adozione è la nullità, e non l’inesistenza giuridica, dato il collegamento comunque esistente con il domicilio del defunto, che rende pur sempre possibile, in astratto, il raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.). Ne discende che la rinnovazione della notifica, eseguita, stavolta, in forma individuale agli eredi di M.A. ha avuto l’effetto di sanare il vizio anzidetto con efficacia retroattiva (art. 291 c.p.c.). Priva di pregio, al riguardo, è l’eccezione di inesistenza o nullità anche del successivo atto di integrazione del contraddittorio notificato a ciascuno degli eredi suindicati, perchè non preceduto della necessaria autorizzazione del consigliere istruttore. L’esempio analogico della chiamata in causa di un terzo (art. 269 c.p.c., commi 2 e 3), argomentativamente addotto dai ricorrenti, non è pertinente, dal momento che la vocatio injus di soggetti rimasti inizialmente estranei al processo è evenienza diversa dalla mera rinnovazione di un atto di notificazione nullo, che ben può essere spontaneamente operata dalla parte interessata anche prima dell’intervento del giudice, di cui costituisce null’altro che un’anticipazione (Cass., sez. unite, 7 marzo 1990, n. 1812).

E’ appena il caso di aggiungere che la dimidiazione dei termini a comparire, concessa dal consigliere istruttore in considerazione della natura urgente della causa, aveva portata generale, dato il suo carattere oggettivo, valido per ogni soggetto destinatario delle notifiche da eseguire: tanto più, nei confronti degli eredi della signora Ostuni (per la quale era stata espressamente disposta la rinnovazione della notifica), subentrati nella medesima situazione della dante causa (art. 110 c.p.c.).

Con il quarto motivo si denunzia la violazione degli artt. 40, 273 e 274 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Premesso che è del tutto improprio il riferimento all’art. 40 c.p.c., che si riferisce a cause connesse pendenti presso uffici giudiziari diversi, si osserva che la riunione dei giudizi proposti dinanzi al medesimo giudice (Corte d’appello di Bari) ex art. 274 c.p.c., era meramente facoltativa e, come tale, rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. sez. 3^, 19 gennaio 2007 n. 1194; Cass., sez. 3^, 15 maggio 2007 n. 11187). Nè era ravvisabile alcuna ipotesi di identità totale o di continenza, tale da rendere necessitata la riunione (art. 273 c.p.c.), dal momento che la domanda di restituzione di quanto pagato in executivis in forza di sentenza poi cassata è del tutto autonoma rispetto a quella di merito, costituente oggetto della causa pendente nel giudizio di rinvio (Cass. sez. unite, 2 luglio 2004, n. 12190; Cass., sez. 2^, 4 maggio 2005, n. 9229).

Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione del giudicato formatosi sulla pronunzia della Corte d’appello di Bari n.943/99, reiettiva della richiesta di restituire le somme già corrisposte a titolo di spese processuali.

Anche questa censura è infondata.

A seguito della sentenza 25 giugno 2002 di questa Corte, che aveva cassato la sentenza della Corte d’appello di Bari emessa il 26 ottobre – 23 novembre 1999, non si è formato alcun giudicato sulle statuizioni di quest’ultima; tanto meno in ordine al regime delle spese processuali, regolato con una statuizione consequenziale destinata a seguire le sorti della pronuncia principale cassata (art. 336 c.p.c., comma 1).

Con l’ultimo motivo i ricorrenti censurano la violazione di legge e l’insufficiente motivazione in punto quantum debeatur, per la ripetizione degli accessori maturati a causa della mora del comune di Altamura.

Il motivo è infondato.

La ripetizione di indebito, ex art. 389 c.p.c., riguarda tutte le somme versate, con gli accessori maturati, in modo da reintegrare la perdita patrimoniale della parte che abbia adempiuto il debito portato da una sentenza poi annullata. E’ quindi irrilevante il preteso stato soggettivo dell’obbligato, data la natura non negoziale del pagamento, che è atto giuridico in senso stretto. Ne consegue che, dopo l’annullamento del titolo esecutivo, dev’essere interamente rimborsata la somma pagata, inclusa la maggiorazione della sorte-capitale per effetto degli interessi legali maturati durante la mora dell’apparente debitore, le spese di registrazione e di precetto (Cass., sez. 2^, 12 maggio 2003, n. 7270).

Il ricorso è dunque infondato e va respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

 

 

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