Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4529 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4529 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 1677-2008 proposto da:
MARE.VI . DI VIOLANO MICHELE E C. S.A.S., in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA MONTECERVIALTO 165, presso

Data pubblicazione: 26/02/2014

la dott.ssa MASTROMARINO NICOLETTA, rappresentata e
difesa dall’avvocato MASTROMARINO CLAUDIO, giusta
2014

procura a margine del ricorso; .C..1(:),(81/1g -.5(A■ 4 4
– ricorrente –

137

contro

APICELLA

VINCENZO

(c.f.

PCLVCN41D28A509Q),

1

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 79,
presso lo STUDIO MORANDINI, rappresentato e difeso
dall’avvocato TRULIO ANTONIO, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 3577/2006 della CORTE

2

Svolgimento del processo
1.- Con la sentenza impugnata (depositata il 23.11.2006)
la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione
di primo grado con la quale era stata accolta la domanda
proposta da Apicella Vincenzo contro la s.a.s. “MARE.VI .”
di Violano Michele e C. diretta ad ottenere il pagamento

della somma di euro 35.893,75 a titolo di restituzione di
finanziamento soci fruttifero eseguito per consentire alla
società di acquisire un capannone industriale dalla s.p.a.
Meridionale Lamiere.
Contro la sentenza di appello la s.a.s. “MARE.VI .” di
Violano Michele e C. ha proposto ricorso per cassazione
affidato a due motivi.
Ha resistito con controricorso Apicella Vincenzo.
Motivi della decisione
2.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 2253 e
2697 c.c. e formula, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.,
applicabile ratione temporis, il seguente quesito: «posto
che in tema di qualificazione giuridica della fattispecie
concreta, restando la stessa compito esclusivo del giudice
(iura novit curia), non assumono rilevanza la terminologia
usata

dalle

parti,

nella

redazione

del bilancio

societario, nella inclusione tra le passività delle
ripetute anticipazioni, né la immutazione del capitale
nominale, né l’espressione (anticipazioni fatte) adottata
al riguardo dall’amministratore nella lettera dell’8.7.97,
3

né le dichiarazioni testimoniali, la Ecc.ma Corte adita
accerti e dichiari che la volontà negoziale delle parti
relativa al versamento dell’importo di lire 67.500.000,
alla luce di tutti gli elementi raccolti nella deputata
fase istruttoria e sopra indicati, sia da interpretare nel
senso di aver richiesto (dalla società) ed effettuato da

parte di Apicella Vincenzo un conferimento in conto
capitale, non già di aver concluso un mutuo; e che
conseguentemente quest’ultimo, non avendo provato la causa
del mutuo, non ha diritto alla restituzione della somma
pretesa in quanto erogata a titolo di conferimento in
conto capitale».
2.2.- Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c,
1362, 1813, 2253 e 2697 c.c. nonché vizio di motivazione e
formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c.: «la Ecc.ma Corte adita accerti e dichiari che la
somma da restituire ad Apicella Vincenzo, ove se ne sia
definitivamente ritenuta la natura di prestito,
corrisponda a lire 42.832.000 pari ad euro 22.120,88 in
conformità alla connessa iscrizione nell’allegato

B del

bilancio societario del 31.12.1991».
3.- Alla stregua dei principi enunciati in materia da
questa Sezione, l’erogazione di somme, che a vario titolo
i soci effettuano alle società da loro partecipate, può
avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per
la società di restituire la somma ricevuta ad una
4

determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad
essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in
apposita riserva “in conto capitale”, o altre simili
denominazioni, il quale dunque non dà luogo ad un credito
esigibile, se non per effetto dello scioglimento della
società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di

liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a
quello di credito, connotandosi proprio per la
postergazione della sua restituzione al soddisfacimento
dei creditori sociali e per la posizione del socio quale
“residual claimant”. La qualificazione, nell’uno o
nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà
negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova,
di cui è onerato il socio attore in restituzione, non
tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle
scritture contabili della società, quanto dal modo in cui
il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità
pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi
che vi sono sottesi (Sez. 1, Sentenza n. 2758 del
23/02/2012).
Alla luce di tali principi le censure formulate da parte
ricorrente si rivelano inammissibili.
Con esse, infatti, si prospetta una diversa lettura del
materiale probatorio mentre non è adeguatamente censurata
la logica e congrua motivazione della sentenza impugnata
con la quale la Corte di merito ha evidenziato che contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellante
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- gli elementi acquisiti consentivano di affermare che la
somma reclamata dall’attore fosse stata erogata a titolo
di prestito e non in conto capitale, posto che le somme
versate dai soci erano state appostate nei bilanci nel
passivo, unitamente ai relativi interessi. Deponevano per
tale conclusione anche le risultanze della prova

testimoniale e il contenuto di una lettera spedita dalla
società al socio Rega, nella quale si faceva riferimento
ad anticipazioni dei soci per lire 271.000.000 e al debito
per i relativi interessi per gli anni 1991-1996 per lire
262.885.984.
Inoltre, era infondato l’assunto dell’appellante secondo
cui la somma spettante all’attore ammontava a lire
42.832.000, come risultante dall’allegato B del bilancio
al 31.12.1991, dovendosi tenere conto della parziale
cessione della quota sociale da parte dell’Apicella, posto
che la somma anticipata da quest’ultimo ammontava a lire
69.500.000 e il relativo diritto alla restituzione non era
stato ceduto con la quota, trattandosi di diritto non
accedente alla quota sociale.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità liquidate in euro 6.200,00 di cui euro
200,00 per esborsi.
6

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20

gennaio 2014

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