Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4529 del 22/02/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4529 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 31757 – 2007 proposto da:
STOMEO ANNA MARIA, STOMEO DANTE, STOMEO BRUNO, STOMEO
ENRICO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA
MANTECAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato GARDIN
LUIGI, rappresentati e difesi dagli avvocati FERRANTE
MASSIMO, RUGGIERI FAZZI PAOLA giusta delega a
2012

margine;
– ricorrenti –

2648
contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona

Data pubblicazione: 22/02/2013

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende
ope legis;
controricorrenti

la

sentenza

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.

n.
di

LECCE,

176/2006

della

depositata

il

26/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/12/2012 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito per il controricorrente l’Avvocato GUIDA che ha
chiesto

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso in subordine
accoglimento.

avverso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Antonio Stomeo, titolare di un’impresa edilizia artigiana,
ha impugnato l’avviso di accertamento, con cui era stato

all’anno 1984, in base ai dati desunti dagli studi di settore. La
CTP di Lecce ha parzialmente accolto il ricorso, determinando il
reddito in conformità con quello nelle more dichiarato dal
contribuente, ex artt. 14 e 19 del DL n. 69 del 1989. L’appello
dell’Ufficio è stato integralmente accolto con sentenza n.
176/23/06, depositata il 26.10.2006, dalla CTR della Puglia, sez
distaccata di Lecce, che ha ritenuto maggiormente credibile il
reddito accertato rispetto a quello dichiarato dal contribuente.
Per la cassazione della sentenza, ricorrono gli eredi del
contribuente, con due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, deducendo omessa e/o insufficiente
motivazione in relazione all’art. 360, 1° co, n. 5 cpc, i ricorrenti
rilevano che l’Ufficio ha proceduto ad accertare in via presuntiva
il maggior reddito d’impresa ed a rettificare i ricavi, sul
presupposto che l’incidenza del costo della manodopera e dei
beni impiegati era pari a due terzi dei ricavi stessi; tale
percentuale, probabilmente desunta da qualche media del settore
edilizio, di cui non era però stata indicata la fonte, né l’anno di
riferimento né lo specifico ambito al quale era riferita, non

rettificato il reddito d’impresa, ai fini IRPEG ed ILOR per

poteva, però, costituire un fatto noto, né poteva essere applicata
alla generalità delle imprese edili. Il motivo è inammissibile,
perché carente del c.d. quesito di fatto di cui all’art. 366 bis cpc,

quando, come nella specie, venga dedotto il motivo di cui al n. 5
dell’art. 360 cpc, è richiesta l’esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume,
rispettivamente, omessa, contraddittoria, o inidonea a giustificare
la decisione. L’indicazione di tale fatto deve poi avvenire, pur
senza rigidità formali, in una parte del motivo a ciò deputata, non
essendo sufficiente che il fatto stesso sia rilevabile dal
complesso della censura proposta (cfr. Cass. n 24255 del 2011)
atteso che la peculiarità dell’art. 366 bis cpc consiste proprio
nell’imposizione dell’onere, a carico del ricorrente, della
formulazione del c.d. momento di sintesi, onde consentire alla
Corte di comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamente commesso dal giudice di merito.
Col secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione
e/o falsa applicazione dell’ad. 39, 1° co, lett. d) del dPR n. 600
del 1973, evidenziando che, anche a voler ritenere il parametro
applicato scaturente da una media statistica del settore di
appartenenza, tale media è, comunque, insufficiente a dare
fondamento alla prova presuntiva. In conclusione, i ricorrenti
formulano il seguente quesito di diritto: “la percentuale di
ricarico, indicata nell’avviso di accertamento dall’Ufficio

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applicabile ratione temporis. Questa Corte ha affermato che

impositore, come parametro di riferimento (senza peraltro citare
la inedia di settore da cui è estrapolata), può costituire un fatto
noto storicamente verificato e, quindi, un elemento che,

contribuente è idoneo a fornire da solo la prova presuntiva, ai
sensi dell’ari 39, primo comma DPR 29 settembre 1973 n. 600,
della esistenza di ricavi non dichiarati dallo stesso
contribuente?” Anche questo motivo è inammissibile.
L’impugnata sentenza ha, infatti, accolto l’appello dell’Ufficio
affermando che, in presenza di un comportamento poco chiaro e
di incerte indicazioni contabili e fiscali, da parte del contribuente
-che aveva contestato l’atto impositivo, facendo ricorso a
ricostruzioni parametriche, ed aveva presentato una
dichiarazione integrativa, elevando di poco il reddito, su un
calcolo basato, nuovamente, sugli studi di settore- meritava
“maggiore credibilità la ricostruzione effettuata dagli accertatori
e quindi i redditi accertati”. Tale ratio decidendi, basata sulla
comparazione tra reddito dichiarato e reddito accertato e sulla
ritenuta maggiore attendibilità del secondo, non è scalfita dalla
doglianza in esame, incentrata sulla diversa questione
dell’idoneità degli standards ad integrare, da soli, la prova
presuntiva, richiesta dalla legge per la rettifica del reddito
d’impresa. La censura non rispetta, dunque, il principio secondo
cui il motivo del ricorso per cassazione, oltre ad avere i caratteri
di specificità e completezza, deve esser riferibile alla decisione

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confrontato con la percentuale di ricarico applicata dal

impugnata, il che implica, come necessario presupposto, che la
portata della pronunzia impugnata sia esattamente individuata e
che siano, quindi, esposte le ragioni per le quali si afferma che la

decidendi che la sorregge, ne sia proposta un’altra alternativa e
di segno opposto.
Il ricorso va, in conclusione, respinto, ed i ricorrenti vanno
condannati al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese liquidate in € 8.000,00, oltre a spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2012.

stessa violi norme o principi di diritto, in modo che alla ratio

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