Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4526 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2022, (ud. 10/02/2022, dep. 11/02/2022), n.4526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 22798/2015 R.G. proposto da:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al

ricorso dall’Avv. Addolorata D’errico, elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’Avv. Roberto Diddoro, in Roma, via Permuda, n.

1/A;

– ricorrente –

contro

D.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Angelo Pisani, in

virtù di procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Catone n 15, presso lo

studio dell’Avv. Giuseppe Mazzucchiello;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 1640/49/2015, depositata il 18 febbraio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio

2022 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. I fatti di causa e lo svolgimento del processo

1.1. I fatti di causa possono essere riassunti nel modo seguente; il contribuente D.P. è venuto a conoscenza in modo del tutto occasionale delle iscrizioni a ruolo, oltre che delle cartelle di pagamento, delle intimazione di pagamento e dell’iscrizione ipotecaria n. 140839/1971, in relazione all’anno di imposta 2001. Pertanto, asserendo di non avere mai avuto conoscenza di tali atti tributari, mediante rituale notifica, ma soltanto in via occasionale attraverso la consegna da parte dell’Amministrazione di estratti di ruolo, ha provveduto ad impugnare il ruolo, le cartelle di pagamento, l’intimazione di pagamento e l’iscrizione ipotecaria, evidenziando, per quest’ultima, la mancata notifica dell’avviso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, collegato con il medesimo D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, comma 2-bis. In particolare, tra i motivi di ricorso del contribuente si rinvenivano: la declaratoria di nullità dell’iscrizione ipotecaria perché non comunicata; la nullità delle cartelle di pagamento in essa elencate poiché non notificate; l’omessa notifica degli avvisi di intimazione; la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, e la conseguente illegittimità dell’iscrizione ipotecaria in quanto, pur essendo trascorso un anno dalla notifica di ciascuna cartella, gli avvisi di intimazione non erano stati notificati prima di procedere all’iscrizione ipotecaria.

1.2. La Commissione tributaria provinciale di Napoli (sentenza n. 599/24/2011) ha accolto il ricorso, evidenziando l’impugnabilità dell’estratto di ruolo e ravvisando la tempestività del ricorso, in quanto Equitalia Sud s.p.a. non aveva dimostrato la rituale notificazione delle cartelle, né il loro effettivo contenuto, essendosi limitata a depositare le copie delle relative “scritture”, che però non rilevavano ai fini della prova dell’avvenuta notifica. Inoltre, benché invitata dalla ricorrente a esibire i titoli esecutivi legittimanti l’iscrizione ipotecaria, non vi aveva provveduto, così come non aveva dimostrato di aver notificato, o inviato per raccomandata, la comunicazione dell’avvenuta iscrizione ipotecaria.

1.3.La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto da Equitalia Sud, avendo proceduto il contribuente all’impugnazione degli estratti di ruolo di cui era venuto a conoscenza solo con la notifica dell’iscrizione ipotecaria. Il giudice d’appello, dunque, ha evidenziato che gli estratti di ruolo erano impugnabili, in quanto costituenti una parziale riproduzione del ruolo, ossia di uno degli atti considerati impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Inoltre, ha aggiunto che la domanda di dichiarazione della nullità della iscrizione ipotecaria era fondata, in quanto non preceduta da preventivo avviso di adempimento. L’iscrizione ipotecaria era nulla perché il concessionario per la riscossione non aveva comunicato, con raccomandata, al contribuente l’iscrizione del vincolo sull’immobile, anche prima della riforma di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, comma 2-bis, introdotto con il D.L. n. 70 del 2011, che imponeva che, prima di iscrivere ipoteca, si dovesse darne comunicazione al contribuente, con concessione a quest’ultimo di un termine per l’esercizio del proprio diritto di difesa. L’iscrizione non era stata preceduta da preventiva comunicazione anteriore all’iscrizione stessa.

1.4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Equitalia Sud s.p.a..

1.5. Il contribuente ha resistito con controricorso.

2. I motivi di ricorso per cassazione.

2.1. Con il primo motivo di impugnazione Equitalia Sud s.p.a. deduce che “la sentenza 1640/49/15 è da cassare perché nulla per la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – motivazione illogica ed apparente”. La motivazione della sentenza d’appello sarebbe apparente in quanto non avrebbe affrontato l’eccezione di difetto di giurisdizione in ordine alle cartelle aventi ad oggetto sanzioni amministrative o contributi previdenziali. Inoltre, la Commissione regionale non avrebbe fornito spiegazioni in ordine alla documentazione prodotta dal concessionario; non avrebbe motivato sull’eccezione di indeterminatezza della domanda. Infine, l’Agenzia ha affermato che era stato dimostrato documentalmente che gli estratti di ruolo impugnati erano di due categorie, di cui sei relativi a cartelle di pagamento, che si assumevano mai notificate, e quindi impugnati come semplici estratti di ruolo; altri 26 estratti di ruolo erano relativi ad altrettante cartelle sottese all’iscrizione ipotecaria.

2.2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento alla affermata impugnabilità dell’estratto di ruolo, atto non compreso nell’elenco tassativo di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1”. Nella specie, l’estratto di ruolo era un mero atto interno all’Amministrazione finanziaria, sicché gli eventuali vizi potevano essere contestati solo in presenza di un vero e proprio atto impositivo che era rappresentato dalla cartella di pagamento dove il ruolo veniva trasfuso. In mancanza della notifica di un vero e proprio atto impositivo non sussisterebbe in capo al contribuente un interesse concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., a proporre un giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, non essendo ammissibile richiedere l’accertamento negativo del credito.

2.3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “illegittimità della sentenza n. 1640/49/2015 della Commissione tributaria regionale di Napoli, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio quale la produzione da parte di Equitalia Sud s.p.a. della documentazione comprovante la regolare notifica delle cartelle di pagamento”. Il contribuente ha impugnato solo dei semplici estratti di ruolo in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, mentre gli atti precedenti che egli assumeva non aver mai ricevuto erano stati, invece, tutti notificati. Il giudice d’appello ha ritenuto che erano state prodotte solo copie delle notifiche delle cartelle, mentre quella prodotte in giudizio non erano semplicemente fotocopie, ma erano delle vere e proprie prove documentali di cui Equitalia assumeva la paternità, mediante il richiamo della normativa di riferimento in tema di tenuta degli archivi informatici da parte degli enti.

3. L’oggetto della controversia.

3.1. La questione che è stata sottoposta alla delibazione di questa Corte attiene alla possibilità per il contribuente, che assuma di non aver ricevuto la rituale notifica dei provvedimenti impositivi (cartella, intimazione di pagamento, avviso di iscrizione ipotecaria), e che scopra “occasionalmente” la sussistenza di iscrizioni a ruolo, come pure delle cartella di pagamento e dell’iscrizione ipotecaria, di impugnare “in via diretta” tali atti tributari, con tutela “anticipata”, quindi prima della loro rituale notificazione nei suoi confronti. Nella specie, il contribuente ha affermato di essere venuto a conoscenza della iscrizione ipotecaria, delle cartelle di pagamento e del ruolo, solo a seguito della comunicazione degli estratti di ruolo.

3.2. La questione, risolta da questa Corte, con pronuncia a sezioni unite n. 19704 del 2015, deve ora essere affrontata alla luce del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, art. 3-bis, convertito in L. 17 dicembre 2021, n. 215, avente ad oggetto la “non impugnabilità dell’estratto di ruolo e limiti all’impugnabilità del ruolo”. In particolare, deve verificarsi se lo ius superveniens suindicato abbia o meno valore retroattivo, con eventuale applicabilità anche ai giudizi tributari in corso e, quindi, anche alla controversia in esame.

4. Per la chiarezza di idee: la sentenza delle Sezioni Unite n. 19740 del 2015 (ruolo, cartella, estratto di ruolo)

4.1.11 punto di partenza, dunque, non può che essere quello della pronuncia “manifesto” di cui alla sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 2 ottobre 2015, n. 19704.

4.2. Si e’, infatti, affermato che, in caso di mancata conoscenza delle cartelle di pagamento, per vizi della notifica, possono essere impugnate dinanzi al giudice tributario le cartelle di pagamento conosciute attraverso gli estratti di ruolo. Infatti, il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell’invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l’ultima parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione (Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704).

4.3. E’ necessario chiarire il contenuto e la natura del ruolo, della cartella di pagamento e dell’estratto di ruolo, come scolpiti dalla sentenza di questa Corte a sezioni unite (Cass., 19704/2015 cit.).

4.4.11 ruolo, dunque, che è compreso tra gli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, è l’elenco complessivo dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’Ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10, lett. b), recante l’indicazione di imposte, sanzioni e interessi; con la sottoscrizione del titolare dell’ufficio il ruolo diviene “titolo esecutivo”, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 49, comma 1 (Cass., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822), senza necessità a tal fine di alcuna comunicazione o notificazione al debitore (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021). Il ruolo e’, quindi, un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di altre entrate) proprio dell’ente impositore. Il ruolo, una volta formato ed esecutivo, viene consegnato al concessionario alla riscossione, che redige, in conformità al modello approvato, la “cartella di pagamento” (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2), che contiene “l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”.

4.5. La cartella, che è la stampa del ruolo, “pro capite”, in unico originale alle parti (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021, cit.), contiene anche l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo, ed è notificata dal concessionario al contribuente ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973 art. 26. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, prevede che “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”. La notifica della cartella costituisce attività prodromica necessaria al pignoramento, eseguito in una delle varie modalità stabilite dalla legislazione speciale (mobile, immobile, crediti). Tale notifica assolve uno actu le funzioni che nella espropriazione forzata codicistica sono svolte dalla notificazione del titolo esecutivo ex art. 479 c.p.c. e dalla notificazione del precetto (Cass., sez.un., 14 aprile 2020, n. 7822). Il ruolo e la cartella sono entrambi ricompresi tra gli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 2, lett. d. Il contribuente, dunque, può impugnare nel termine di sessanta giorni dalla notificazione contemporaneamente sia il ruolo che la cartella oppure uno solo dei due.

4.6. L’estratto di ruolo, invece, è l’atto del concessionario, relativo al singolo contribuente, che non contiene però alcuna pretesa impositiva, ma non è specificamente previsto da alcuna disposizione di legge; si tratta di un elaborato informatico formato dal concessionario della riscossione, contenente gli elementi della cartella, e quindi anche gli elementi del ruolo afferenti a quella cartella, privo di pretesa impositiva. L’estratto di ruolo, allora, non è atto impugnabile, per la carenza di interesse del debitore, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., ad ottenere il suo annullamento giurisdizionale “non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato”. L’avviso di pagamento di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, quando viene notificato dopo il decorso del termine entro il quale poteva procedersi ad esecuzione a seguito della notifica della cartella, a sua volta assolve alla funzione di “nuovo precetto” (Cass., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822 cit.). Va anche ricordato, però, che l’estratto di ruolo è ritenuto documento sufficiente per consentire l’ammissione al passivo fallimentare del credito vantato dal concessionario alla riscossione, come ribadito anche recentemente da questa Corte, a sezioni unite (Cass., sez.un., 11 novembre 2021, n. 333408), con riferimento all’avviso di accertamento “impo-esattivo” ai sensi del D.L. n. 78 del 2010, art. 29 e 30, convertito in L. 30 luglio 2010, n. 122. L’avviso di accertamento di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 29 e l’avviso di addebito, di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 30, “sostituiscono”, seppure solo con riferimento a determinati tributi, il ruolo e, quindi, escludono la notificazione della cartella, che pur sempre dal ruolo scaturisce e dipende. Inoltre, poiché contengono l’intimazione ad adempiere, fungono, oltre che da titolo esecutivo, anche da precetto, in vista dell’esecuzione forzata. L’avviso “impoesattivo” diventa, come suggerito dalla dottrina, “uno e trino” (atto impositivo, titolo esecutivo e precetto).

5.11 dies a quo per l’impugnazione decorre dalla notificazione 5.1.Per meglio comprendere la portata della norma innovativa è necessario chiarire che il termine di impugnazione degli atti tributari indicati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, è individuato dalla data di notificazione degli stessi al contribuente. E’ chiaro che, nel caso in cui si consente l’impugnazione “diretta” avverso il ruolo e le cartelle, ed anche contro l’iscrizione ipotecaria eventualmente non notificata, sulla base di quanto conosciuto dall’estratto di ruolo, deve individuarsi il dies a quo, dal quale calcolare il termine di 60 giorni. Infatti, questa Corte ha precisato che è indiscutibile la possibilità per il contribuente di far valere l’invalidità della notifica di una cartella della quale (a causa di detta invalidità) sia venuto a conoscenza oltre i previsti termini di impugnazione. La natura recettizia dell’atto tributario lo rende però impugnabile solo a seguito di notifica al contribuente (Cass., sez. un., n. 19740 del 2015); in conformità con l’art. 1334 c.c. si è affermato che la notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, sicché il vizio della notificazione è irrilevante se l’atto ha raggiunto lo scopo per avere il destinatario impugnato in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo (Cass., sez.un., 5 ottobre 2004, n. 19854; Cass., sez. un., 17 dicembre 2021, n. 40454). La natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione. Pertanto, l’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile. La conoscenza dell’atto deve derivare “dall’avvenuto espletamento del procedimento all’uopo previsto dalla legge”. L’ammissibilità di tutela “anticipata” non comporta l’onere ma solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto ” tipico”, la pretesa della quale il contribuente si è venuta a conoscenza, eventualmente attraverso un atto ” atipico “.

6. La tutela “anticipata” e l’interpretazione costituzionalmente orientata.

6.1. Si e’, inoltre, chiarito che una lettura costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente, non notificato unitamente all’atto successivo notificato, ivi prevista, non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza; non può essere esclusa allora la facoltà del contribuente di far valere, appena avutane conoscenza, tale invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con il relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.

6.2. L’accesso immediato alla tutela giurisdizionale consentito al contribuente costituisce, dunque, un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra Amministrazione e contribuente. Se, infatti, il contribuente dovesse attendere, per proporre impugnazione, il successivo atto impositivo, il procedimento proseguirebbe “indisturbato” fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione senza che il contribuente abbia mai avuto modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione. Ciò è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, contribuendo l’accesso immediato alla tutela giurisdizionale ad evitare i costi di una procedura esecutiva “malinstaurata”.

6.3. La tutela “anticipata” e “facoltativa”, peraltro, era stata già affermata da questa Corte con riferimento agli atti non autoritativi (Cass., sez. 5, 6 novembre 2013, n. 24916); pertanto, superando la lettura del D.Lgs. n. 456 del 1992, art. 19, quale elencazione tassativa di provvedimenti impugnabili, questa Corte ha considerato idonei a realizzare un interesse ad agire, e dunque impugnabili in via autonoma, anche gli atti non autoritativi finalizzati a far conoscere al contribuente i presupposti fattuali e le ragioni di diritto alla base della pretesa fiscale; ciò in ossequio alla certezza dei rapporti tributari e al rispetto del buon andamento della pubblica amministrazione e dell’effettività del diritto di difesa del cittadino, quali principi costituzionali. Sono stati così considerati impugnabili l’invito al pagamento (Cass., 8 ottobre 2007, n. 21045); l’avviso bonario di riscossione (Cass., sez. 6-5, 19 febbraio 2016, n. 3315); le fatture per la riscossione della tariffa rifiuti (Cass., sez. 5, 9 agosto 2007, n. 17526); la comunicazione di irregolarità prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3 (Cass., sez. 6-5, 28 novembre 2014, n. 25297; Cass., sez. 5, 11 maggio 2012, n. 7344). Trattandosi di impugnazione “facoltativa” di atti non autoritativi, questa Corte ha affermato che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19 (Cass., sez. 65-, 2 novembre 2017, n. 26129; Cass., sez. 6-5, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., sez. 5, 11 febbraio 2015, n. 2616; Cass., sez. 5, 25 febbraio 2009, n. 4513); in tal modo, il contribuente, dinanzi alla notifica di un atto non autoritativo può assumere diverse condotte: tentare una soluzione concordata con l’amministrazione; impugnare immediatamente l’atto dinanzi alla Commissione tributaria; attendere il primo atto impositivo o di riscossione rientrante nell’elenco di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19; con l’avvertenza, ovviamente, che essendo l’impugnazione degli atti non lesivi facoltativa, il contribuente, dopo aver impugnato uno tra questi atti, deve impugnare anche il successivo atto a lui notificato. Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con la pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine all’atto adottato all’ente impositore e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale (Cass., 8 ottobre 2007, n. 21045).

7. La giurisprudenza di legittimità dopo le Sezioni Unite 19740/2015.

7.1.. La giurisprudenza di legittimità successiva si è posta nel solco della pronuncia di questa Corte a sezioni unite (n. 19704/2015), con l’affermazione della possibilità per il contribuente di impugnare la cartella non notificata, ma conosciuta tramite l’estratto di ruolo (Cass., sez. 6-5, 21 gennaio 2022, n. 1971; Cass., sez. 6-5, 11 gennaio 2012, n. 587; Cass., sez. 5, 24 dicembre 2021, n. 41508; Cass., sez. 5, 10 dicembre 2021, n. 39282; Cass., sez. 5, 7 dicembre 2021, n. 38964; Cass., sez. 5, 22 novembre 2021, n. 36013; Cass., sez. 6-5, 5 ottobre 2020, n. 21289; Cass., sez. 5, 17 settembre 2019, n. 23076; Cass., sez. 6-5, 9 settembre 2019, n. 22507; Cass., sez. 6-L, 25 febbraio 2019, n. 5443; Cass., 1 giugno 2016, n. 11439; in senso contrario Cass., sez. 6-5, 22 settembre 2017, n. 22184, che esclude, senza menzionare la pronuncia a sezioni unite 19704/2015, la sussistenza di un interesse concreto e attuale, ex art. 100 c.p.c., ad instaurare una lite tributaria, che non ammette azioni di accertamento negativo del tributo); sicché, in base a una interpretazione estensiva del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (Cass., sez. 5, 21 gennaio 2020, n. 1230; Corte Cost., 6 dicembre 1985, n. 313, in ordine all’impugnabilità del diniego di condono), in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), si è consentita l’impugnazione anche del certificato dei carichi pendenti, nel termine di 60 giorni per l’impugnazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 (Cass., sez. 5, 31 ottobre 2018, n. 27799), che non può però decorrere dalla “piena conoscenza” dell’atto (Cass., sez. 5, 2 luglio 2020, n. 13536). L’acquisizione da parte del contribuente di una copia dell’estratto di ruolo, riportante l’indicazione di avvenuta iscrizione a ruolo, ha il valore di una mera informazione di un fatto verificatosi, e non può assurgere a prova della piena conoscenza dell’atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21; potendo legittimare appunto, al più, l’impugnazione, peraltro facoltativa, del solo estratto di ruolo (Cass., sez. 5-6, 9 settembre 2019, n. 909). Pare discostarsi dalla pronuncia di questa Corte a sezioni unite, altra decisione con cui si è ritenuto inammissibile il ricorso contro l’iscrizione di ipoteca legale e la prodromica cartella di pagamento, in quanto proposto oltre il termine di 60 giorni dalla data nella quale il contribuente aveva avuto contezza della pretesa tributaria a suo carico mediante rilascio di estratto di ruolo (Cass., sez. 5, 30 maggio 2017, n. 13584). Se, poi, la cartella è invalidamente notificata, ma l’iscrizione ipotecaria successiva è ritualmente notificata, il dies a quo per l’impugnazione della cartella è di 60 giorni dalla notificazione dell’iscrizione ipotecaria (Cass., sez. 5, 18 ottobre 2021, n. 28722);

analogamente se si è in presenza di una intimazione di pagamento regolarmente notificata e non opposta nei termini di legge, è inammissibile l’impugnazione dell’estratto di ruolo successivamente conseguito, volta a far valere l’invalidità dell’intimazione per l’omessa notifica delle prodromica cartella di pagamento, in quanto l’estratto di ruolo non è un atto autonomamente impugnabile (Cass., sez. 5, 29 novembre 2019, n. 31240).

7.2. In talune decisioni si è poi evidenziata la sussistenza dell’interesse ad agire del contribuente, ex art. 100 c.p.c., in via “anticipata” avverso la cartella di pagamento non notificata, indipendentemente dalla notifica di un atto successivo, facendo valere l’invalidità della notifica dell’atto di riscossione, allo scopo di vedere accertata l’insussistenza per prescrizione della pretesa erariale già iscritta a ruolo (Cass., sez. 5, 13 marzo 2020, n. 7228; Cass., sez. 5-6, 3 marzo 2016, che ravvisa l’interesse giuridico all’impugnazione anticipata nella declaratoria di inefficacia della cartella, perché mai notificata).

8. La novella del D.L. n. 146 del 2021, ex art. 3-bis.

8.1. Tuttavia, nonostante la giurisprudenza di legittimità si sia mostrata sostanzialmente conforme alla pronuncia di questa Corte a sezioni unite del 2015 n. 19704, deve tenersi conto dell’impatto sulla controversia dello ius superveniens costituito dal D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, art. 3-bis, convertito in L. 17 dicembre 2021, n. 215 (non impugnabilità dell’estratto di ruolo e limiti all’impugnabilità del ruolo).

8.2. Tale norma prevede che “l’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Il D.L. n. 146 del 2021, art. 3-bis è stato inserito dopo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4.

8.3. La prima parte del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 4-bis, come modificato dal D.L. n. 146 del 2021, art. 3-bis, non pone alcun problema; si sancisce in modo cristallino che “l’estratto di ruolo non è impugnabile “, proseguendo nel percorso di “chiarezza di idee” iniziato dalla sentenza “manifesto” delle sezioni unite n. 19704 del 2015.

9. L’interesse ad agire “qualificato” per l’impugnazione “diretta”.

9.1. La questione si fa più delicata nella seconda parte della norma, ove si prevede che “il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dalla iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio(…)”, pregiudizio “qualificato” poi specificato esclusivamente nei rapporti con la pubblica amministrazione.

9.2. La fattispecie è quindi proprio quella della possibile tutela giurisdizionale “anticipata”, che, sino ad ora, era consentita al contribuente che avesse “scoperto” una iscrizione a ruolo nei propri confronti o una cartella di pagamento, non notificata o non ritualmente notificata, di impugnare tali atti conosciuti tramite l’estratto di ruolo. L’intento del legislatore pare quello di limitare la tutela giurisdizionale anticipata del contribuente ai casi tassativamente previsti dalla norma: a) pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto pubblico; b) pregiudizio per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici, per il pagamento di importi superiori ad Euro 5.000 (dal 1 gennaio 2018, prima Euro 10.000,00);c) pregiudizio per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

9.3. La norma trae la propria linfa vitale dalla relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria del 30 giugno 2021, ove si è proposta la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, che non costituisce un atto di riscossione e non contiene una pretesa impositiva, né è direttamente lesivo della sfera patrimoniale del debitore. La Commissione aveva evidenziato che la soluzione adottata da questa Corte a sezioni unite n. 19704 del 2015, avesse comportato la possibilità per il contribuente di “far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esso sottese, e perfino nei casi in cui avesse rinunciato anche nell’esercizio della tutela”.

Prima di affrontare la questione relativa alla efficacia retroattiva o meno della norma, è necessario però dedicarsi all’esame della nuova disposizione, anche per verificare se trattasi di norma sostanziale (con efficacia ex nunc), che attiene al presupposto impositivo, oppure procedimentale oppure processuale, con evidenti differenze e ricadute sull’ambito applicativo temporale.

10. Impugnazione “diretta” e “qualificata” facoltativa o obbligatoria?.

10.1. La prima questione, di particolare rilevanza, sollevata dalla dottrina, riguarda l’obbligatorietà o la facoltatività per il contribuente che abbia timore di subire pregiudizi nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione, nelle tre ipotesi sopra menzionate, di accedere in via “anticipata” alla tutela giurisdizionale “diretta” avverso il ruolo e la cartella, conosciuti “occasionalmente” attraverso la comunicazione dell’estratto di ruolo.

Per questa Corte, infatti, la tutela “anticipata”, in qualche misura d’urgenza, costituiva un percorso alternativo rispetto alla impugnazione “differita”, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, u.p., la quale prevede che la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.

La nuova formulazione, invece, prevede la tutela “anticipata”, limitatamente alle ipotesi indicate nella disposizione, facendo riferimento ad atti (ruolo e cartella) “suscettibili di diretta impugnazione”.

10.2. Pertanto, per un primo orientamento dottrinale, il ruolo e la cartella conosciuti “in via occasionale” devono essere impugnati immediatamente ed entro un termine perentorio, a pena di decadenza, non potendosi attendere l’ulteriore atto tributario successivo, anche di natura esecutiva, per un eventuale impugnazione contestuale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3. Del resto, solo la giurisprudenza ha creato ipotesi di impugnazione facoltativa, mentre le disposizioni legislative depongono per la necessità dell’impugnazione. Si leggerebbe nella nuova norma una sorta di divieto espresso a qualsiasi forma di tutela “differita”. Si tratta, poi, di stabilire il dies a quo per il computo del termine per presentare ricorso “anticipato”, tenendo conto che ci si troverà dinanzi all’avvio di un procedimento amministrativo da parte della pubblica amministrazione condizionato dalla regolarità fiscale del contribuente. Una volta esaurito tale procedimento, non sussiste più alcun interesse del contribuente a presentare ricorso contro il ruolo della cartella di pagamento.

10.3. Per altra interpretazione, invece, trattasi comunque di tutela “anticipata”, ma “facoltativa”, restando possibile per il contribuente, anche nei tre casi tassativamente indicati, impugnare la cartella non notificata unitamente all’atto successivo correttamente notificato; si fa applicazione, quindi, dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato per cui in caso di omessa notifica di un atto presupposto che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato, tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria (Cass., sez.un., 4 marzo 2008, n. 5791;Cass., 18 maggio 2021, n. 13314; Cass., 21 maggio 2019, n. 13641; Cass., 30 novembre 2018, n. 31070; Cass., sez. 5, 18 gennaio 2018, n. 1144).

10.4. Altra questione attiene, appunto, all’individuazione del dies a quo per proporre ricorso giurisdizionale; da un lato, si potrebbe sostenere che il termine decorra dal rilascio dell’estratto di ruolo da parte dell’Amministrazione anche se, si è osservato, che in quel momento potrebbero non essersi ancora verificati gli eventi disegnati dal legislatore per legittimare l’impugnazione; ed il contribuente dovrà dimostrare la sussistenza di tali eventi per l’ammissibilità del primo ricorso.

Altrimenti, dovrebbe essere valorizzata la parte della norma in cui si fa riferimento al possibile pregiudizio per il contribuente C’…. Il debitore che agisce in giudizio dimostri che l’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio…”). Poiché tale pregiudizio è inerente ai rapporti con la pubblica amministrazione, il termine di 60 giorni per proporre ricorso giurisdizionale deve muovere dal “contatto qualificato” con una pubblica amministrazione e, quindi va individuato nel momento di partecipazione ad una gara per l’affidamento di commesse pubbliche, oppure all’atto di una richiesta di rimborso o di pagamento dalla pubblica amministrazione o dall’istanza presentata per conseguire un vantaggio o per scongiurare la perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione. E’ chiaro, però, che in tal modo il provvedimento giudiziale potrebbe essere tardivo rispetto al procedimento amministrativo ormai instaurato.

10.5. La dizione, poi, di ruolo e cartella di pagamento “invalidamente notificata” dovrebbe comportare l’applicabilità della disposizione sia alle ipotesi di notifica invalida, sia quelle di mancata notifica, o di notifica è inesistente.

10.6. La questione, però, più delicata è quella che tenta di dare una risposta all’interrogativo se la novella abbia efficacia retroattiva o meno.

11. La tesi della efficacia retroattiva della nuova norma: l’interesse ad agire quale condizione dell’azione.

11.1. Va premesso che l’innovazione legislativa non prevede alcuna disciplina transitoria, sicché deve decidersi se la novella concerna o meno i giudizi attualmente pendenti.

11.2. Secondo una prima impostazione teorica la nuova disposizione, avendo carattere processuale e non sostanziale, opera anche per i processi pendenti, in base alla regola “tempus regit actum”, seppure con particolare focalizzazione sulla sussistenza dell’interesse ad agire.

Invero, pur considerandosi la peculiarità del processo tributario rispetto al processo civile ed a quello amministrativo, comunque si reputa che l’interesse ad agire, rectius a “ricorrere”, trattandosi di processo impugnatorio, sia ben presente anche nel processo tributario. Nel processo civile l’art. 100 c.p.c. demanda al giudice di constatare la presenza di un interesse ad agire concreto ed attuale, anche se definito da autorevole dottrina come “quinta ruota del carro”; nel processo amministrativo, caratterizzato dalla natura provvedimentale dell’atto impugnato, proprio la natura discrezionale del provvedimento, che non può essere incanalato in precisi inquadramenti tipologici, lascia al giudice l’individuazione dell’interesse ad agire o meglio a ricorrere. Nel processo tributario, invece, vi è una predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, sicché per gli atti “tipici” l’interesse a ricorrere è in re ipsa, in quanto già insito nella natura potenzialmente pregiudizievole degli atti tributari notificati; in questo caso, però a differenza che nel processo amministrativo, in cui i vizi dall’atto sono tipizzati (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere), vi è ampio spazio per una illimitata prospettiva di motivi deducibili. E’ questa la ragione per cui nel processo tributario l’interesse ad agire scolora rispetto alla tipicità dei provvedimenti impugnabili. Tuttavia, si potrebbe giungere a diversa soluzione con riferimento all’impugnazione del ruolo e della cartella, non notificati o irregolarmente notificati, di cui il contribuente viene a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo; in questa ipotesi, il legislatore della novella ha inteso innescare un peculiare interesse ad agire e ad impugnare, selezionando i pregiudizi “qualificati”.

In sostanza, come sottolineato dalla dottrina, il legislatore ha individuato “un interesse qualificato” alla impugnazione immediata da proporre avverso il ruolo e la cartella di pagamento invalidamente notificata, fermo restando l’esclusione tout court dell’impugnazione contro l’estratto di ruolo; sicché, la nuova normativa produce l’inammissibilità sopravvenuta in tutti i casi di ricorsi proposti al di fuori delle ipotesi tassative di cui al nuovo D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4-bis, del aggiunto dal D.L. n. 146 del 2021, art. 3-bis, convertito in L. n. 215 del 2021.

11.3. Non v’e’ dubbio che l’interesse ad agire, unitamente alla legittimazione ad agire, costituiscano condizioni dell’azione. Per la dottrina, a differenza dei presupposti processuali, la cui esistenza è richiesta prima della proposizione della domanda giudiziale, quali la competenza e la legittimazione processuale, le condizioni dell’azione costituiscono requisiti intrinseci della domanda che possono sopraggiungere anche nel corso del processo e prima della decisione giurisdizionale. L’interesse ad agire, allora, pur dovendo anch’esso esistere all’atto della presentazione della domanda giudiziale, può sopraggiungere nel corso del giudizio, purché sussista al momento della decisione. Se mancano le condizioni dell’azione il processo non può essere proseguito fino alla pronuncia sul merito, ma deve arrestarsi per dare atto, con una pronuncia “sul processo”, di quella mancanza. Sono aspetti che attengono alla “ipotetica accoglibilità” della domanda. Tale interesse non attiene tanto al bene della vita, ma all’ulteriore diverso bene rappresentato dalla tutela giurisdizionale ovvero al “bisogno di tutela giurisdizionale”. Mancando l’interesse ad agire, il giudice non giungerà ad affrontare il merito del ricorso, ma dovrà dichiarare il difetto di interesse e, quindi, il difetto di azione. L’interesse ad agire serve dunque ad evitare che si scenda all’esame del merito, quando la domanda o la difesa possono anche essere fondate, ma il loro accoglimento non produce alcun effetto utile nella sfera giuridica di chi le ha proposte. L’interesse ad agire, come pure l’interesse a ricorrere, per una parte della dottrina, e’, quindi, strettamente connesso al principio di economia processuale, perché serve ad evitare attività processuali correlate a domande o difese fondate, ma inutili.

11.4. In giurisprudenza si è ritenuto che l’interesse ad agire consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 18 febbraio 2020, n. 3991); si è precisato che l’interesse ad agire è requisito per la trattazione del merito della causa (Cass., sez. 2, 30 giugno 2006, n. 2006) e che il suo accertamento, da compiersi in via preliminare e prescindendo da ogni indagine sul merito della causa e dal suo prevedibile esito (Cass., 29 settembre 2016, n. 19268), va distinto dalla valutazione relativa al diritto sostanziale in giudizio.

11.5. L’interesse ad agire è stato anche valorizzato, da ultimo, nel processo tributario, laddove si è affermato che, nell’ipotesi in cui il contribuente ottenga la sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’avviso di accertamento impugnato, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, sono inibiti, dopo tale pronuncia, alla Amministrazione la formazione del ruolo e la successiva iscrizione “provvisoria”, rispettivamente, del D.P.R. n. 602 del 1973, ex artt. 12 e 15. Ne consegue che sussiste l’interesse ad agire della società che svolge attività di affidamento di commesse pubbliche all’impugnazione della cartella di pagamento successivamente emessa, nonostante la sospensione giudiziale della efficacia dell’avviso di accertamento, per non incorrere nell’esclusione dalle gare pubbliche e nel pagamento di interessi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 30, di importo maggiore rispetto a quello di cui allo stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20 (Cass., sez. 5, 14 dicembre 2021, n. 40047).

11.6. Un esempio di condizione dell’azione è rappresentato dalla produzione in giudizio del decreto di espropriazione nei giudizi di opposizione alla stima, di competenza delle corte d’appello. Si è affermato, infatti, che nel giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, la produzione del decreto di esproprio, che sia intervenuto dopo la definizione del procedimento d’appello o dopo la proposizione del ricorso per cassazione, può essere validamente effettuata nel giudizio di legittimità, non trovando ostacolo nell’art. 372 c.p.c., poiché il provvedimento ablatorio ha natura giuridica di condizione dell’azione, la cui sopravvenienza è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, fino al termine della discussione orale (Cass., sez. 1, 26 febbraio 2016, n. 3817; Cass., sez. 1, 17 giugno 2009, n. 14080; Cass., sez. 1, 12 ottobre 2007, n. 21434, che però consente il deposito del decreto di esproprio solo unitamente al ricorso per cassazione, ma non con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c., potendo essere depositati tardivamente ai soli documenti inerenti l’ammissibilità del ricorso). Sono stati, invece, ritenuti “presupposti processuali”, che devono essere presenti sin dall’inizio del giudizio: il previo esperimento di ricorsi amministrativi, allorché la legge lo richieda come condizione dell’esercizio dell’azione giudiziaria (Cass., sez. un., 7 novembre 1973, n. 2902); il passaggio in giudicato della sentenza di separazione prima della richiesta delle modifiche di cui all’art. 710 c.p.c. (Cass., sez.un., 23 febbraio 1990, n. 1398).

11.7. In assenza di una disciplina transitoria, con riferimento alla sussistenza delle condizioni dell’azione, e segnatamente dell’interesse ad agire e ad impugnare le cartelle di pagamento, invalidamente notificate, ma conosciute tramite gli estratti di ruolo, il giudice deve d’ufficio valutare la sussistenza delle stesse (Cass., 29 settembre 2016, n. 19268), salva la formazione di un giudicato sul punto (Cass., 30 giugno 2006, n. 15084). Del resto, la novella legislativa si innesta, pieno iure, nel filone giurisprudenziale di legittimità che ha riconosciuto, da un lato, la non impugnabilità degli estratti di ruolo, e dall’altro, la possibilità di impugnare, in via anticipata, le cartelle di pagamento non validamente notificate, ma conosciute tramite gli estratti di ruolo (Cass., sez.un., 2 ottobre 2015, n. 19704).

11.8.Questa prima interpretazione è stata fatta propria dall’Agenzia delle entrate in occasione di Telefisco 2022, in cui si è affermato che “il legislatore si è posto nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di cassazione ed è intervenuto per ribadire la non impugnabilità dell’estratto di ruolo e prevedere le casistiche in cui vi è l’interesse del debitore ad impugnare direttamente il ruolo e la cartella di pagamento che si assume validamente notificata, senza attendere la notifica dell’atto successivo “. Viene, dunque, sostenuta la non impugnabilità dell’estratto di ruolo anche prima del 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della nuova norma.

12. Lo ius superveniens come norma di interpretazione autentica.

12.1. Altra ricostruzione teorica, che si muove a supporto della immediata applicazione della nuova normativa anche ai processi in corso, muove dalla natura dello ius superveniens, che costituirebbe una norma di interpretazione autentica.

Parte della giurisprudenza di merito è giunta alla conclusione che la nuova norma, confermando un “consolidato” orientamento di legittimità si applica anche retroattivamente (Commissione tributaria provinciale di Catania n. 357 del 2022; Commissione tributaria provinciale di Latina, n. 53 del 2022; Commissione tributaria provinciale di Siracusa, n. 400 del 2022).

Tuttavia, si rammenta che una norma può essere qualificata come di interpretazione autentica, con valore retroattivo, o se vi è la qualificazione espressa di norma di interpretazione autentica, oppure se sussistono i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l’adozione (Cass., sez. un., 20 marzo 2015, n. 5685, in tema di estensione del privilegio generale sui mobili ai crediti dell’impresa artigiana).

Del resto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 133 del 2020 (ma già prima con sentenza 525 del 22 novembre 2000) ha ribadito che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative, non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le varie possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (anche Corte Cost., n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994; oltre all’ordinanza n. 480 del 1992). Il tasso di polisemia della prima norma viene sterilizzato, sicché la norma che risulta dalla saldatura della disposizione interpretativa con quella interpretata ha quel contenuto fin dall’origine e in questo può dirsi retroattiva, costituendo un “precetto normativo unitario” (Corte Cost., n. 133 del 2020 e n. 397 del 1994). Vanno valutati, al fine di verificare la sussistenza di un precetto normativo unitario, alcuni parametri spia:il tempo trascorso sino al mutamento;la prevedibilità della modifica retroattiva (Corte Cost., n. 16 del 2017);la proporzionalità (Corte Cost., n. 108 del 2016).

Inoltre, la Corte costituzionale ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali, tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ciò che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice). L’affidamento del cittadino deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscono il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio, secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali (Corte Cost. n. 111 del 1998).

13. L’opposta tesi della efficacia solo ex nunc:tempus regit actum, processum, actionem.

13.1. Secondo una diversa ricostruzione dottrinale, invece, il principio generale di irretroattività della legge comporta che la nuova disciplina sulla impugnabilità limitata degli estratti di ruolo, o meglio delle cartelle non validamente notificate, come pure delle iscrizioni ipotecarie irritualmente notificate, conosciute tramite l’estratto di ruolo, si applichi alle impugnazioni degli estratti di ruolo proposte a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella legislativa, quindi dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione sulla G.U. del 20 dicembre 2021.

13.2. Si è fatto leva anche in questo caso sul principio “tempus regit actum”, questa volta per affermare che il principio cardine delle logiche temporali del processo è quello in base al quale un atto deve seguire le norme vigenti nel momento in cui viene realizzato, andando, dunque, ad applicarsi le regole esistenti nel momento in cui l’atto ha origine. Il processo si articola in fasi processuali, collegate le une alle altre, ma la nuova norma va ad incidere sulla specifica fase processuale in cui si innesta. Si è fatto riferimento, poi, alla giurisprudenza formatasi in ordine al regime di impugnazione di un provvedimento giudiziario.

Si è ritenuto (Cass., sez.3, 12 maggio 2000, n. 6099; Cass., 20 settembre 2006, n. 20414; Cass., sez. 3, 2 ottobre 2008″ n. 24491; Cass., sez. 3, 15 febbraio 2011, n. 3688), che, in difetto di esplicite previsioni contrarie, il principio dell’immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta (nella specie, la L. n. 353 del 1990, art. 68, a mente del quale “la proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione”, norma applicabile ai giudizi pendenti al 1 gennaio 1993 L. n. 534 del 1995, ex art. 9) ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato incidere, pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio del “tempus regit actum”, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere. Un generale principio di “affidamento” legislativo (desumibile dall’art. 11 delle disp. gen.) preclude, difatti, la possibilità di ritenere che gli effetti dell’atto processuale già formato al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione siano da quest’ultima regolati, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo. Nel caso di successione di leggi processuale nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand’anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all’epoca di introduzione del giudizio (Cass., sez. 3, 15 febbraio 2011, n. 3688).

13.3. Si è ritenuto inapplicabile, invece, la diversa regola del “tempus regit processum”, in base alla quale il tempus da prendere in considerazione per l’operare della legge nuova processuale, non si individua nell’atto del processo che ricade temporalmente sotto l’ambito della norma processuale nuova, bensì nel processo in cui quell’atto si inserisce; sicché la norma processuale nuova non può trovare applicazione al processo pendente, sia pure riguardo ad atti del suo svolgimento compiuti successivamente alla sua entrata in vigore.

13.4. In dottrina si è fatto riferimento anche alla regola tempus regit actonem, ove il “procedimento (…) fissa e prenota sin dall’inizio la propria disciplina”, nel senso che il momento determinante per l’individuazione della disciplina applicabile è quello di instaurazione della lite, pur evidenziandosi, però, che spesso tali principi sono piegati alle concrete esigenze di tutela degli interessi in gioco, con buona pace della coerenza di sistema; il giurista, si osserva, non è un Glasperlenspieler (“giocatore di perle di vetro”), ma si confronta con interessi “corposi”.

13.5. Anche recentemente si è affermato (Cass., sez. 2, 28 luglio 2021, n. 21106, con applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile quanto la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo I’11 settembre 2012), che in assenza di una disposizione transitoria, deve trovare applicazione il principio dell’immediata applicabilità della legge processuale, in linea con quanto affermato anche da Corte costituzionale n. 155 del 1990, che, in base alla regola generale posta all’art. 11 preleggi, ha riguardo non solo ai processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche a singoli atti di processi iniziati anteriormente ma compiuti posteriormente a tale momento; non incide, però, su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere (in termini anche Cass., sez. 1, 19 luglio 2021, n. 20629, in tema di protezione internazionale che prevede la ricorribilità per cassazione della decisione del tribunale sul ricorso contro la decisione di inammissibilità della Commissione territoriale, in caso di domanda di protezione presentata durante la vigenza del D.L. n. 13 del 2017; Cass., sez. 1, 27 febbraio 2020, n. 5387; Cass., sez. 1, 24 marzo 2016, n. 5925, in materia di ricorso per cassazione proposto oltre 30 giorni dalla notificazione della sentenza della corte d’appello nei confronti di una sentenza dichiarativa di fallimento depositata in data anteriore al D.Lgs. n. 5 del 2006, dovendosi applicare la normativa sopravvenuta, che riduce il termine di impugnazione, anche ai processi in corso, a nulla rilevando che il fallimento sia stato pronunciato prima della riforma del 2006, né che la sentenza di appello è stata emanata secondo il regime previsto dalla normativa anteriore alla riforma del 20062007).

13.6. Pertanto, poiché il ricorso di prime cure, l’appello ed anche il ricorso per cassazione, compreso il controricorso, sono stati articolati secondo le norme vigenti prima della novella legislativa del dicembre 2021, lo ius superveniens non dovrebbe esplicare alcun effetto retroattivo. Al momento di presentazione del ricorso di prime cure era possibile impugnare la cartella ed il ruolo, tramite l’estratto di ruolo conosciuto “casualmente”, senza la necessaria sussistenza di un interesse “qualificato” del contribuente.

Pertanto, seguendo questo orientamento, l’impugnazione di un atto deve avvenire secondo le regole vigenti al momento in cui esso è emesso. Il nuovo regime di impugnazione dovrebbe operare solo per i ricorsi notificati dal 21 dicembre 2021.

13.7. Parte della giurisprudenza di merito ha preferito tale interpretazione, ritenendo che la norma si applichi solo a decorrere dal 21 dicembre 2021; non può qualificarsi come norma di interpretazione autentica, sia perché non indicata come tale dal legislatore, sia perché dopo l’intervento delle sezioni unite di questa Corte (n. 19704 del 2015), la giurisprudenza si è uniformata ai principi affermati. Si è escluso, quindi, che la norma sia di carattere processuale e quindi applicabile immediatamente, perché non è stato diversamente disciplinata la modalità di introduzione del gravame ovvero della gestione del processo; la norma ha esclusivamente modificato la “platea” degli atti impugnabili agendo sui presupposti e quindi sotto un profilo sostanziale.

Inoltre, la L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2 (statuto del contribuente), prevede che “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”; qualificazione che nella specie mancherebbe.

14. Nel caso si opti per la prima soluzione, il contribuente ovviamente avrebbe diritto a dimostrare la sussistenza dell’interesse ad impugnare tali cartelle di pagamento, anche in sede di legittimità.

14.1. Il termine per la dimostrazione della sussistenza dell’interesse qualificato” potrebbe essere individuato, nelle udienze pubbliche, in quello di cui all’art. 378 c.p.c., quindi non oltre 5 giorni prima dell’udienza, oppure fino all’inizio della relazione orale. Nelle adunanze camerali di cui all’art. 380-bis.1. c.p.c. le parti possono fornire la dimostrazione della sussistenza dell’interesse “qualificato” con documentazione da depositare non oltre 10 giorni prima dell’adunanza.

15.1 dubbi sulla legittimità costituzionale della novella.

15.1. Non si può celare che la dottrina si è mostrata aspramente critica verso l’innovazione legislativa, sollevando plurimi profili di incostituzionalità, sia con riferimento alla lesione del diritto di difesa del contribuente, sotto la lente d’ingrandimento dell’art. 24 Cost., sia in relazione alla diversità di trattamento tra i vari contribuenti, che non trova idonee giustificazioni; si è evidenziato che il pregiudizio che può subire il contribuente dalla eventuale esclusione dalla gara di affidamento di commesse pubbliche ai sensi del D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 80, oppure quale inibizione del pagamento di importi superiori ad Euro 10.000,00, se il beneficiario inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di uno o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo, ai sensi del D.P.R. n. 102 del 1973, art. 48-bis, o ancora dalla possibile perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione, non è molto diverso dal pregiudizio che può subire il contribuente, a seguito della iscrizione a ruolo e della emissione di una cartella, seppure non notificata o irregolarmente notificata, per l’accesso al credito bancario oppure per il pignoramento del proprio conto corrente, fondamentale per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale, o per il fermo del proprio autoveicolo, oppure per la possibilità di essere dichiarato fallito, in assenza di liquidità, ai sensi dell’art. 5 L. Fall..

15.2. Tra l’altro, si rileva che questa Corte ha ripetutamente ribadito che l’Amministrazione finanziaria può essere ammessa al passivo fallimentare esclusivamente sulla base dell’estratto di ruolo, senza che occorra la preventiva notifica della cartella di pagamento (recentemente Cass., sez.un., 11 novembre 2021, n. 33408), avendo quest’ultima solo la funzione di informare il curatore della pretesa erariale, anche se tale funzione è già assolta dal deposito della domanda di ammissione al passivo da parte dell’Amministratore finanziaria; tuttavia, applicando la novella legislativa, se l’Agenzia delle entrate intende insinuarsi al passivo del fallimento del contribuente facendo valere il ruolo o le cartelle erroneamente notificati, ma risultanti dall’estratto di ruolo, mentre le cartelle ed il ruolo sono impugnabili nei “soli casi” evidenziati dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4-bis (rapporti con la P.A.), è evidente che il curatore avrebbe l’interesse “qualificato” all’impugnazione “diretta” di cartelle e ruolo dinanzi alle commissioni tributarie; di qui un vuoto di tutela del tutto incomprensibile, dovendosi consentire anche in questo caso l’impugnabilità diretta del ruolo e della cartella invalidamente notificati.

15.3. Inoltre, la tutela anticipata consentirebbe al contribuente di approntare le proprie difese, in caso di regolare notifica delle cartelle di pagamento, prima di incorrere nell’inizio dell’azione esecutiva, come in caso di pignoramento presso terzi. Il debitore, dunque, dovrebbe attendere l’inizio del procedimento esecutivo, e quindi il pignoramento, ex art. 491 c.p.c., per potersi dolere della erronea notifica delle cartelle di pagamento.

15.4. Senza contare che, in tema di circolazione delle aziende, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, consente al cessionario di avvalersi della certificazione rilasciata dall’Ufficio finanziario per evitare di rispondere delle pretese fiscali relativi al triennio precedente alla cessione dell’azienda; tale fattispecie non è stata presa in considerazione dal legislatore della novella.

16. I possibili profili di contrasto con il diritto Unionale.

16.1. In dottrina, si sono palesate anche possibili violazioni del diritto unionale, e segnatamente dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il quale prevede che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”; il contribuente, dopo la disposizione innovativa, non avrebbe più la possibilità di “ripulire le sue pendenze fiscali”, con conseguente minaccia permanente sui propri beni e pregiudizio al loro godimento. Si è anche invocato l’art. 6 della CEDU sul diritto ad un equo processo, che in questo modo sarebbe impedito, anche se l’applicazione al tema tributario di tale previsione non è pacifica. Si è anche profilata la possibilità della violazione dell’art. 117 Cost., per conflitto della disciplina innovativa con la “norma interposta” integrata dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

17. Conclusioni.

Tirando le file sparse del discorso sin qui condotto, il Collegio considerata la duplice chiave di lettura che può avere la questione sollevata con il secondo motivo di ricorso alla luce dello jus superveniens e tenuto conto della particolare rilevanza dei principi, anche costituzionali, sottesi alla soluzione, con possibili ricadute pure al di fuori del processo tributario, cioè nei processi civili e previdenziali aventi per oggetto cartelle relative ad entrate patrimoniali di natura extrafiscale (D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17,18,24 e 29) – ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, rimettere gli atti al Primo Presidente per le sue determinazioni in ordine alla eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite per questione di massima di particolare importanza.

P.Q.M.

rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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