Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4525 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. II, 19/02/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 19/02/2021), n.4525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33470-2018 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA D’ARACOELI n.

11, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BATTISTA BISOGNI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE n. 91, presso lo

studio dell’avvocato DONATELLA LA LICATA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DONATO MESSINEO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA depositato il

12/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G., nella persona del Sostituto DOTT. SGROI Carmelo, che

ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVAN BATTISTA BISOGNI, per parte ricorrente, che

ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato DONATO MESSINEO, per parte controricorrente, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento n. 54 del 30.1.2013, notificato il 15.2.2013, la Banca d’Italia ha comminato a B.F., ex consigliere di amministrazione di Agos Ducato Spa, intermediario finanziario per il credito al consumo, la sanzione pecuniaria di Euro 30.000 per carenze nell’organizzazione dei controlli interni e nel processo di credito e per mancanza dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 107, comma 2. Il B., nominato membro del consiglio di amministrazione di Agos Ducato come espressione del socio di minoranza Banco Popolare Soc. coop., dopo aver inizialmente aderito alla memoria di controdeduzioni depositata da Agos Ducato, aveva poi depositato ulteriore memoria di controdeduzione, predisposta in seguito a verifica interna avviata da Banco Popolare a seguito delle svalutazioni effettuate nel 2012 dal nuovo management di Agos Ducato, in misura anche superiore a quella indicata dall’organo ispettivo.

Avverso detto provvedimento il B. proponeva ricorso al T.A.R. del Lazio, che veniva dichiarato inammissibile con sentenza n. 5331 del 2015 per difetto di giurisdizione. Il giudizio veniva quindi riassunto innanzi la Corte di Appello di Roma, che con il decreto impugnato, cron. 4576 del 12.4.2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il B., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la Banca d’Italia.

Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta da un lato che la Corte di Appello avrebbe fatto riferimento ad una versione superata ed abrogata delle istruzioni di vigilanza emesse da Banca d’Italia, e dall’altro lato che le condotte che gli sono state ascritte sarebbero assolutamente generiche.

Con il secondo motivo, che merita di essere esaminato congiuntamente al primo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2381 c.c. perchè la Corte capitolina avrebbe utilizzato il compasso aperto di tale norma per sanzionare condotte non previste specificamente come illecito dalle normative di settore.

Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

In particolare, il primo motivo è inammissibile nella parte relativa alla contestata applicazione, da parte della Corte di Appello, di una versione superata delle istruzioni di vigilanza emesse da Banca d’Italia. Il decreto impugnato afferma infatti chiaramente (cfr. pag. 4) che il B. aveva contestato, con il ricorso proposto innanzi il T.A.R. del Lazio, da un lato la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e dei principi di determinatezza e personalità vigenti in tema di sanzioni amministrative, e dall’altro la violazione degli artt. 2381 e 2392 c.c., degli artt. 107 e 144TUB e dei capitoli V e VI delle Istruzioni di Vigilanza per gli intermediari finanziari di cui alla circolare 216 del 1996. Tale circolare contiene le stesse istruzioni cui fa riferimento la Corte di Appello a pag. 18 del decreto impugnato. Poichè l’atto con cui si esercita il diritto all’impugnazione è quello introduttivo del giudizio, che nella specie è rappresentato dal ricorso al T.A.R., essendo stato il giudizio riassunto innanzi la Corte di Appello in seguito alla sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione da parte del Tribunale amministrativo, era quello il momento in cui il ricorrente ha introdotto la questione dell’erronea indicazione della normativa di settore. La censura, quindi, era stata proposta con riferimento alle istruzioni esaminate dalla Corte di Appello, e non a quelle, successive, cui il B. fa riferimento soltanto nel motivo in esame. Ne consegue che, sulla base degli atti, la censura è nuova, nella parte in cui essa denuncia l’applicazione di istruzioni non più in vigore all’epoca dei fatti, poichè tale doglianza non era stata proposta con l’atto introduttivo del giudizio di merito.

Inoltre, il tenore letterale delle due versioni delle istruzioni (rispettivamente, quella contenuta nella circolare 216 del 1996 e quella derivante dalle modifiche approvate con il quinto aggiornamento del 19 febbraio 2002) è sostanzialmente coincidente, posto che entrambe le versioni fanno riferimento al fatto che “… una gestione aziendale sana e prudente dipende anche da una struttura organizzativa adeguata alla vocazione operativa degli intermediari finanziari. A tal fine, è importante che la struttura aziendale risponda a criteri di coerenza con le linee strategiche indicate dagli organi amministrativi”. La sola modifica operata nel 2002 è stata l’inserimento, nella seconda preposizione, della parola “gestionali”, di talchè la norma prevede, oggi, che: “… una gestione aziendale sana e prudente dipende anche da una struttura organizzativa adeguata alla vocazione operativa degli intermediari finanziari. A tal fine, è importante che la struttura aziendale risponda a criteri di coerenza con le linee strategiche gestionali indicate dagli organi amministrativi” (sottolineatura aggiunta).

L’inserimento della parola “gestionali” non vale a snaturare il senso complessivo della norma, nè a limitare il principio di doverosa informazione, e dunque di diligenza, dei membri del consiglio di amministrazione di una società operante come intermediario finanziario. Al contrario, la specificazione aggiunta nel 2002 vale ad ampliare l’ambito della responsabilità dell’organo amministrativo, la cui attività non è limitata al solo tracciamento delle linee strategiche dell’azienda, ma anche all’individuazione dei principi di gestione della stessa. La modifica del 2002, pertanto, non solo non limita, ma – al contrario di quel che ritiene il ricorrente – amplia notevolmente l’area della responsabilità dell’organo amministrativo, e – di conseguenza – il compasso del dovere di agire informato e diligente che grava su ciascun suo componente.

La restante parte del primo motivo e l’intera seconda doglianza, con cui il ricorrente lamenta la genericità delle contestazioni che gli sono state mosse, sono infondati.

Al contrario di quanto dedotto dal B., infatti, la Corte di Appello ha reso una motivazione molto accurata, attribuendo al consigliere di minoranza precise responsabilità. In particolare, il giudice di merito ha dato atto che la fusione tra le due finanziarie Agos e Ducato non era stata accompagnata da un idoneo adeguamento delle strutture organizzative ed aveva causato un aumento dei crediti deteriorati (cfr. pag. 11 del decreto impugnato); che mancava una struttura autonoma di Risk Management, che non c’era stata una incisiva azione dell’internal audit, che il sistema dei controlli svolto dalla funzione “Controlli permanenti” era inadeguato e che la funzione anti-frode era troppo parcellizzata (pag. 12); che la valutazione delle perdite ad andamento anomalo, disciplinata solo dal 2011, era stata poco prudente, e che non erano state applicate adeguate percentuali di svalutazione del portafoglio Ducato (pag. 12); che la rilevazione dei crediti deteriorati al 30.6.2011 era stata poco accurata, perchè talune insolvenze figuravano solo come crediti incagliati e taluni soggetti, debitori sia di Agos che di Ducato, erano stati diversamente classificati dalle due società (pag. 13); che i membri di minoranza del CdA, tra cui il B., non avevano contestato questi fatti (pag. 13), assumendo che al CdA competesse la sola fissazione degli obiettivi, mentre le politiche aziendali fossero di pertinenza del management operativo (pag. 14). La Corte capitolina ha ritenuto che tale ricostruzione fosse erronea, in funzione dell’obbligo di azione informata di cui all’art. 2381 c.c., gravante su tutti gli amministratori della società (cfr. pag. 15 del decreto). Inoltre, ha osservato che inoltre i consiglieri di minoranza non potevano essere ignari della gestione della società, posto che i patti parasociali conclusi tra il Banco Popolare e Credit Agricole (soci di Agos Ducato, rispettivamente al 49% ed al 51%) prevedevano un ampio potere ispettivo in capo ad entrambi i soci (pag. 20); potere che i membri del CdA espressi dal Banco Popolare non avevano, in concreto, mai esercitato nè sollecitato, pur avendo già nel mese di settembre 2011 dichiarato di astenersi dall’approvazione della situazione economica, sostenendo di non aver ricevuto sufficiente informativa sui suoi contenuti (pag. 20). Secondo la Corte di Appello, la cronologia dei fatti dimostrava che i membri del CdA espressi dal Banco Popolare avevano avuto contezza delle criticità gestionali di Agos Ducato almeno in epoca coeva all’inizio dell’ispezione di Banca d’Italia (pag. 21). In ogni caso essi, essendo espressione di una banca e membri del CdA di un operatore finanziario, erano tenuti a rispettare il criterio della diligenza professionale e non potevano ignorare che la verifica dei dati di bilancio rientra tra i doveri del CdA e dei suoi membri; verifica che, ove fosse stata svolta, avrebbe dovuto indurli a chiedere chiarimenti e approfondimenti (pag. 22). Infine, la Corte di Appello evidenzia che la svalutazione dell’11% operata con la situazione al giugno 2011, e risultata poi addirittura insufficiente, non si era certo realizzata in un giorno e avrebbe quindi dovuto risultare evidente ad un amministratore attento e diligente (pag. 23).

Questa articolata motivazione, non adeguatamente attinta dalle censure proposte dal B., evidenzia l’atteggiamento colpevolmente inerte da questi tenuto in seno al CdA della Agos Ducato. In merito, va affermato che ai fini dell’esonero dalla responsabilità solidale di cui all’art. 1476 c.c. non basta neanche la mera verbalizzazione del dissenso in seno al CdA, ma occorre la prova positiva della “effettiva mancanza di qualsiasi profilo di colpa” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2038 del 26/01/2018, Rv. 647054), che ovviamente – in quanto prova liberatoria – è onere dell’incolpato fornire.

Se dunque è stato attenuato il criterio di imputazione della responsabilità per omesso controllo esistente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, deve intendersi confermato che l’esistenza, all’interno del CdA di una società, di membri dotati di deleghe e titolari funzioni attive, non autorizza gli altri membri, non aventi funzione esecutiva, e rimanere inerti di fronte ad evidenti illeciti, dovendosi tutti i membri del consiglio ritenere onerati di un dovere di diligente attivazione per porre rimedio alle illegittimità rilevate (principio affermato, nel quadro normativo anteriore all’entrata in vigore della riforma del 2003, da Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6998 del 21/03/2018, Rv. 647899 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10751 del 17/04/2019, Rv. 653564).

Da quanto precede discende la responsabilità del B. per non essersi tempestivamente e diligentemente attivato, a fronte delle numerose irregolarità riscontrate da Banca d’Italia nell’organizzazione e nella gestione di Agos Ducato.

Il principio della necessaria prudenza dell’amministratore nella gestione della società, tanto più se esercenti l’attività di intermediario finanziario, e della valutazione della sua condotta attiva ed omissiva con la lente della diligenza professionale, deve ritenersi immanente al sistema dei controlli previsto dal codice civile e dalla legislazione speciale in materia di società e mercato. Ciò è confermato dalla recente affermazione secondo cui, nelle società a responsabilità limitata, anche quando sia prevista la presenza di un consiglio di amministrazione nell’ambito di un regime di amministrazione disgiuntiva, si può configurare la responsabilità per culpa in vigilando di uno dei due amministratori per omesso controllo sull’operato illecito dell’altro amministratore (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27761 del 31/10/2018, Rv. 651356).

La regola generale da applicare alla valutazione della condotta dell’amministratore è dunque sempre quella della prudenza e della diligenza professionale, che nella specie il B. non ha osservato. Ne discende che, nel caso concreto, la Corte di Appello non ha fatto ricorso alla clausola dell’art. 2381 c.c. per colpire una condotta omissiva in assenza di norma sanzionatoria – come sostiene la difesa del ricorrente – ma, esattamente al contrario, ha richiamato quella norma di chiusura del sistema per attribuire anche agli amministratori di minoranza la condotta violativa della norma che prevede l’obbligo di adeguatezza dell’organizzazione e del sistema dei controlli interni alla società. Detti amministratori, infatti, non possono non partecipare al dovere generale di controllo interno, nel rispetto della loro funzione comunque apicale e proprio in vista del dovere generale di agire informato di cui all’art. 2381 c.c., che non riguarda soltanto gli amministratori di maggioranza o quelli che svolgono una funzione attiva, bensì tutte le figure di vertice dell’organizzazione della società, e dunque in primis i membri del consiglio di amministrazione, senza che possa rilevare, a discolpa, la sola circostanza dell’assenza di delega o di funzioni operative.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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