Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4525 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11173/2017 proposto da:

G.U., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

17, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO MENORELLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIA BETTELLA;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI n. 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI,

rappresentato e difeso dagli avvocati CIRA ANNA BALESTRIERI, GIACOMO

SICARI;

ZIZZOLA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIACOMO SICARI, CIRA ANNA

BALESTRIERI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2395/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2022 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.P. conveniva in giudizio la società Zizzola e P.F. esponendo di aver risolto con la convenzione in data 23 aprile 2003 e successivo accordo in data 24 aprile 2003, alcune contestazioni sorte sulla sua attività gestionale quale coamministratore delegato della società Zizzola con contestuali dimissioni dalla carica di amministratore delegato e cessione della propria quota societaria al P. con contestuale regolamento dei crediti e debiti reciproci.

L’attore chiedeva accertarsi che le obbligazioni di cui alla convenzione erano da riferirsi alla società con condanna della stessa al pagamento di Euro 192.329,76 oltre accessori.

2. Si costituiva la società Zizzola eccependo il proprio difetto di legittimazione e l’improcedibilità della domanda ex art. 22 dello statuto societario e chiedeva, in via riconvenzionale, la restituzione dell’importo indebitamente trattenuto dall’attore nei mesi di giugno e luglio 2003 nonché la condanna al risarcimento del danno.

3. Si costituiva in giudizio anche P.F., eccependo l’improcedibilità della domanda ex art. 22 dello statuto, nonché l’inefficacia e la nullità della convenzione citata.

4. Il Tribunale di Padova rigettava la domanda proposta nei confronti della società mentre dichiarava improponibile la domanda rivolta verso il P..

5. G.P. interponeva appello avverso la suddetta sentenza.

6. Si costituivano le controparti, proponendo anche appello incidentale condizionato.

7. La Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame.

In particolare, secondo la Corte d’Appello, la convenzione era stata sottoscritta solo dai due soci amministratori ma non vi era alcun riferimento alla società e alle sue obbligazioni. I soci avevano convenuto in proprio le modalità di comportamento (dimissioni, subentro nella carica di amministratore) entità delle somme dovute a definizione di rispettive posizioni di debito e credito senza mai citare la società se non per la necessità di convocare l’assemblea allo scopo di consentire la modifica dell’organo amministrativo nel senso previsto dalla convenzione, che rimaneva inequivocabilmente stipulata solo fra i soci. La società, peraltro, non aveva effettuato alcuna ratifica. Ne’ in senso contrario potevano valere il piano di ammortamento o la consegna delle attrezzature.

In ogni caso, anche volendo applicare l’art. 1399 c.c., la ratifica doveva provenire dall’organo istituzionalmente competente a provvedere al negozio da ratificare, cosa che mancava nella specie. Alcun rilievo poteva attribuirsi al fatto che i due soci impersonificavano tutto il capitale sociale e, dunque, non era necessaria l’assemblea. Al contrario affinché esistesse un’assemblea era necessario che vi fossero elementi minimi quali la convocazione o il verbale e ciò a norma dell’art. 2379 c.c..

Con riferimento all’eccezione di compromesso la Corte rilevava il difetto di specificità dell’appello ex art. 342 c.p.c., in relazione alla questione della rinuncia all’eccezione. Il primo giudice aveva evidenziato che non poteva considerarsi rinunciata l’eccezione del P. per effetto della proposizione della domanda riconvenzionale formulata in subordine. Rispetto a tale decisione l’appellante non aveva proposto alcuna critica, limitandosi a riportare le proprie deduzioni di primo grado.

Quanto all’interpretazione dell’art. 22 dello statuto, secondo la Corte poneva una formula così ampia da essere onnicomprensiva (Ogni e qualsiasi controversia, discuta esclusa ed eccettuata, che dovesse insorgere nell’ambito o per effetto del presente statuto, sia fra i soci e la società che fra i soci stessi e che non sia di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria, sarà rimessa al giudizio di tre arbitri amichevoli compositori….). Del tutto generico e non specifico era il motivo con il quale si cercava di qualificare la convenzione come promessa del fatto del terzo.

8. G.U., in qualità di erede di G.P., ha proposto ricorso avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi e in prossimità dell’udienza ha depositato memoria insistendo nella richiesta di accoglimento.

9. P.F. e la società Zizzola hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1399 c.c..

La censura attiene alla ritenuta mancanza di ratifica da parte della società della convenzione stipulata tra i soci amministratori. La suddetta convenzione era stata presa dai soci amministratori le cui decisioni, prese all’unanimità, costituivano espressione della piena volontà sociale. La società non disponeva di collegio sindacale e i due soci, presidente e amministratore, potevano costituire validamente un’assemblea idonea a deliberare sulle decisioni da adottare dalla società. Peraltro, la Corte d’Appello aveva escluso il rilievo del piano di ammortamento sottoscritto dal P. in qualità di amministratore e la consegna delle attrezzature del laboratorio. Secondo il ricorrente non si trattava di fatti nuovi ma già richiamati nei precedenti atti.

La Corte d’Appello non avrebbe considerato che la società, con la convenzione del 23 aprile 2003 e la successiva Delib. di conferma 8 maggio 2003, aveva riconosciuto il proprio debito per le attività svolte dal G.. In altri termini, la convenzione dell’aprile 2003 e la Delib. del maggio 2003 con il piano di ammortamento e la consegna all’attrezzature e la cessione della quota parte del G., sarebbero tutti elementi – allegati e documentalmente provati – dai quali desumere la ratifica dell’accordo.

Secondo il ricorrente, la ratifica non richiede forme particolari ed è applicabile anche con comportamento concludente, dunque sarebbe erronea l’affermazione della Corte secondo la quale i comportamenti materiali non possono essere considerati come ratifica.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2366 c.c., comma 4 e art. 2379 c.c..

La Corte d’Appello avrebbe posto in rilievo l’assenza di una Delib. dell’assemblea senza considerare altri elementi quali la cessione della quota societaria e il fatto che i due soci impersonavano l’intero capitale sociale. In tal modo, sarebbe violato il principio sancito dalla norma citata in rubrica secondo il quale in mancanza delle formalità previste per la convocazione, l’assemblea si reputa regolarmente costituita quando è rappresentato l’intero capitale sociale e partecipa all’assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo. L’interpretazione della Corte d’Appello violerebbe il principio della regolarità delle assemblee sociali derivanti dalla presenza della totalità dell’intero capitale, sarebbe anche violato l’art. 2379 c.c..

2.1 I primi due motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Le censure mescolano elementi in fatto a questioni di diritto e non colgono la ratio decidendi della sentenza. La Corte d’Appello, infatti, ha fondato la decisione su una diversa interpretazione della convenzione intercorsa tra i due soci. In particolare, si è posto in evidenza che la convenzione era stata sottoscritta solo dai due soci senza alcun riferimento alla società e alle sue obbligazioni. I soci avevano convenuto in proprio le modalità di comportamento (dimissioni, subentro nella carica di amministratore) e l’entità delle somme dovute a definizione di rispettive posizioni di debito e credito senza mai citare la società se non per la necessità di convocare l’assemblea allo scopo di consentire la modifica dell’organo amministrativo, nel senso previsto dalla convenzione, che rimaneva inequivocabilmente stipulata solo fra i soci.

Dunque, la società non poteva ratificare un atto rispetto al quale era terza. Inoltre, l’oggetto del negozio intercorso tra i soci era rappresentato esclusivamente dalla regolamentazione dei loro rapporti, sicché non assume alcuna rilevanza la mancanza della convocazione e delle formalità di rito, non essendoci alcun atto riconducibile alla società sotto il profilo sostanziale prima ancora che formale. Le medesime argomentazioni valgono con riferimento alle dedotte circostanze del piano di ammortamento e della consegna delle attrezzature.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame della questione relativa all’eccezione di compromesso.

La censura attiene alla declaratoria di inammissibilità dell’appello rispetto all’eccezione di compromesso. Il P., infatti, avrebbe rinunciato all’eccezione di arbitrato proponendo domanda riconvenzionale, al fine di dichiarare la nullità e l’inefficacia della convenzione del 23 aprile 2003.

Vi sarebbe un’omessa pronuncia o omessa motivazione delle ragioni che hanno spinto il giudice a rigettare la domanda formulata dal G. in merito alle obbligazioni assunte dal P..

3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente anche in questo caso non si confronta con la ratio decidendi e non censura la violazione dell’art. 342 c.p.c..

La Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile il motivo di gravame relativo alla decadenza dall’eccezione di compromesso dedotta in primo grado e rigettata e il ricorrente non riporta il motivo di appello dichiarato inammissibile in difetto della necessaria completezza del ricorso e, soprattutto, non lamenta l’erronea statuizione di inammissibilità, censurando piuttosto la mancanza di motivazione o l’omessa pronuncia.

Risulta evidente, pertanto, l’inammissibilità della censura, dovendosi in ogni caso evidenziare che la decisione della Corte d’Appello è conforme all’orientamento di legittimità, cui il collegio intende dare seguito, secondo il quale: In tema di arbitrato, nel caso di contestuale proposizione dell’eccezione di compromesso e di domanda riconvenzionale, la prima non può considerarsi rinunciata in ragione della formulazione della seconda, in quanto l’esame della domanda riconvenzionale è ontologicamente condizionato al mancato accoglimento dell’eccezione di compromesso, essendo la fondatezza di quest’ultima incompatibile con l’esame della domanda riconvenzionale (Sez. 1, Sent. n. 20139 del 2018).

Tale principio è stato ribadito anche di recente da Sez. 1, Ord. n. 19823 del 2020 secondo cui la condotta processuale della parte convenuta in un giudizio che, dopo aver proposto eccezione di arbitrato, non si limiti a formulare semplici difese ed a sollevare eccezioni in senso proprio, ma proponga una domanda riconvenzionale, non implica alcuna rinuncia all’eccezione formulata.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in merito all’art. 22 dello statuto.

Secondo il ricorrente l’art. 22 dello statuto non sarebbe applicabile al caso di specie, in quanto la controversia non riguarderebbe rapporti della società nascenti dallo statuto. La clausola compromissoria contenuta negli statuti delle società non avrebbe ambito soggettivo e oggettivo illimitato perché riguarderebbe solo le controversie che attengono ai diritti derivanti dal rapporto sociale nei limiti in cui questi possono essere oggetto di rinuncia e non qualunque lite tra soci.

Nel caso di specie, il rapporto attorno al quale si controverte non deriverebbe dallo statuto ma dalla convenzione del 24 aprile 2003 ed avrebbe la sua ragione causale nella cessione delle quote di G. a P. al valore nominale e non al valore reale, a fronte del pagamento di un corrispettivo per l’attività svolta a titolo di transazione di ogni eventuale altra pretesa, in quanto il P. diventava socio unico della società Zizzola. Pertanto, la clausola non sarebbe applicabile, avendo ad oggetto non i rapporti tra soci per controversie nate nell’ambito dello Statuto ma tra un socio e l’acquirente delle quote che potrebbe essere in ipotesi anche un terzo estraneo.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Ritiene il collegio che la scelta interpretativa operata dalla Corte d’Appello sia coerente con i principi generali di interpretazione del contratto. La portata della convenzione, infatti, va ricostruita, ex art. 1362 c.c., sulla base della comune volontà dei compromettenti, senza limitarsi al senso letterale delle parole e in coerenza con la disposizione di cui all’art. 808 quater c.p.c., secondo cui: “Nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”.

Non merita, pertanto, censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che la controversia in esame sia riconducibile all’ambito applicativo della clausola compromissoria. Quest’ultima, giova ripetersi, non si limita a devolvere agli arbitri la cognizione delle controversie “relative alla validità, interpretazione ed applicazione delle disposizioni statutarie e regolamentari o delle deliberazioni adottate dagli organi sociali e quelle relative al recesso o esclusione dei soci”, ma estende l’ambito di applicazione a “qualunque controversia, fatta eccezione per quelle nelle quali la legge richiede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero, sorga tra i soci o i soci della società, l’organo amministrativo dell’organo di liquidazione o tra detti organi o membri di tali organi o tra alcuni di tali soggetti organi, in dipendenza dell’attività sociale…”.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame della questione relativa alla promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c..

La sentenza avrebbe omesso di esaminare la questione prospettata circa la qualificazione giuridica nella convenzione della promessa del fatto del terzo. Sia in primo grado che in appello il G. aveva sostenuto che, in via subordinata, la convenzione conteneva una promessa del fatto del terzo e, dunque, aveva formulato domanda di condanna del P. al risarcimento del danno pari alla somma non percepita dal G..

5.1 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte d’Appello ha ritenuto il motivo inammissibile perché prospettato in modo del tutto generico e non specifico. Il ricorrente non si confronta con tale statuizione, limitandosi a lamentare un omesso esame. Peraltro, la questione è logicamente subordinata all’accoglimento della censura relativa all’erronea interpretazione della clausola compromissoria, sicché il rigetto di tale censura ne comporta l’inammissibilità, essendo la questione rimessa alla competenza arbitrale.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame della questione relativa all’applicazione dell’art. 2379 c.c..

La sentenza del Tribunale di Padova era stata impugnata anche per violazione e falsa applicazione dell’art. 2389 c.c. e la Corte d’Appello non ha esaminato il relativo motivo. In virtù dell’art. 2384 c.c., il consiglio di amministrazione poteva validamente impegnare la società, rilevando le eventuali carenze di potere solo nei rapporti interni come fonte di responsabilità dell’amministratore nei confronti della società. Ciò sarebbe accaduto nella specie in virtù dei poteri di cui all’art. 2389 c.c., che affida all’assemblea il potere di nominare i membri del consiglio di amministrazione e di determinarne il compenso.

6.1 Il sesto motivo è infondato.

In disparte la novità della questione, deve comunque osservarsi che il ricorrente non era terzo, sicché non può farsi applicazione dell’art. 2384 c.c. e che, come si è detto in riferimento ai precedenti motivi, con la convenzione si è formalizzato solo un accordo tra i soci e dunque non può trovare applicazione l’art. 2389 c.c..

7. Il ricorso è rigettato.

8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2300 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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