Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4523 del 27/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4523 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 5937-2017 proposto da:
SCALZI (;IUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PANARO, 17, presso lo studio dell’avvocato) OSCAR SERVILI,
rappresentato e difeso dall’avvocato PA( )1 GAROFALO ;
– ricorrente contro
AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI SIMF,RI GRICHI, in
persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO
IIRITANO ;
– controricorrente avverso la sentenza n. 1413/2016 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata il 09/09/2016;

Data pubblicazione: 27/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 13/12/2017 dal Consigliere Dott. MARCO

DFIL’UTRI.

Ric. 2017 n. 05937 sez. M3 – ud. 13-12-2017
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rilevato che, con sentenza resa in data 9/9/2016, la Corte
d’appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello proposto dal
Comune di Simeri Crichi, e in riforma della sentenza di primo grado,
ha rigettato la domanda con la quale Giuseppe Scalzi ha invocato la
condanna dell’amministrazione comunale di Simeri Crichi al
risarcimento dei danni subiti dall’attore in conseguenza di una caduta

dell’amministrazione comunale convenuta, e verificatasi per effetto di
un’insidia costituita dall’invisibile irregolarità del fondo stradale non
adeguatamente sottoposto a manutenzione;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha
ritenuto che gli elementi di prova complessivamente acquisiti al
giudizio avessero evidenziato come il fatto dannoso in esame fosse
stato causato, non dalle condizioni della strada comunale, bensì dalla
negligente condotta del danneggiato, come tale idonea integrare gli
estremi del caso fortuito idoneo a interrompere il nesso di causalità
tra la responsabilità del custode e i danni enunciati dallo Scalzi;
che, avverso la sentenza d’appello, Giuseppe Scalzi propone
ricorso per cassazione, sulla base di due motivi d’impugnazione;
che l’amministrazione comunale di Simeri Crichi resiste con
controricorso;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla
proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis il
ricorrente ha presentato memoria;

considerato che con il primo motivo, il ricorrente censura la
sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt.
2043, 2051, 2697 e 1227 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale
erroneamente escluso il nesso di causalità tra la responsabilità
dell’amministrazione custode della strada e i danni denunciati
dall’attore sulla base di un’errata ricostruzione dei fatti di causa,
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avvenuta mentre l’attore percorreva una strada di proprietà

attesa l’insussistenza di alcuna prova circa il ricorso di un caso
fortuito idoneo a interrompere il ridetto nesso di causalità;
che il motivo è inammissibile.
che con la censura in esame, il ricorrente – lungi dal denunciare
l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate a quo,

della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa:
operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma
di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito,
la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto
l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza
n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del
30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione
critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme
richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un
fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente lo Scalzi nella
prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto
a quanto operato dal giudice a quo;
che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto
nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di
violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure
sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella
negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del
contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente
acquisiti e dei fatti di causa;
che tale operazione critica appare con evidenza diretta a
censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta,
di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze
probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a

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allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice

denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il
provvedimento impugnato;
che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve
ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare
come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione,
un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella

sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del
18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011,
Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti
minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della
legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di
fatti decisivi controversi tra le parti;
che, peraltro, osserva il Collegio come l’odierno ricorrente si sia in
ogni caso sottratto all’onere di corretta deduzione del vizio di
violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
che, al riguardo, è appena il caso di rilevare come, al fine di
dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario
denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della
decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in
contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per
realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo
espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non
doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè
giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte
invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un
potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando
il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di
ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta
violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice
abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza
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ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la

di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale
attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è
rubricato alla “valutazione delle prove” (cfr. Cass., Sez. Un., n. 16598
del 2016);
che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in

erroneamente trascurato di tener conto del verbale di accertamento
redatto dalla polizia municipale del Comune di Simeri Crichi acquisita
agli atti del giudizio, dalB quale era emersa l’effettiva
rappresentazione dello stato dei luoghi quale causa effettiva del
danno subito dall’attore;
che il motivo è inammissibile;
che, al riguardo, osserva il collegio come al caso di specie
(relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del
11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
(quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.I
n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012), ai sensi del
quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti”;
che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza
di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il
sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della
motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto
irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa
e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di
cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del
giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale)
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relazione all’articolo 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale

o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che
abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi
istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là
dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in

tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez.
Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014,
Rv. 629830);
che, ciò posto, occorre rilevare l’inammissibilità della censura in
esame, avendo il ricorrente propriamente trascurato – di là dalla
carente soddisfazione del principio di autosufficienza (per come
codificato dall’art. 366 n. 6 c.p.c.), per la mancata allegazione al
ricorso dell’atto asseritannente trascurato dal giudice
circostanziare gli aspetti dell’asserita

decisività

a quo – di

della mancata

considerazione, da parte della corte territoriale, del ridetto
documento, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una
sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;
che osserva il collegio, pertanto, come, attraverso l’odierna
censura, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel
merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista,
in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale
inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità;
che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, dev’essere
dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna del
ricorrente al rimborso, in favore dell’amministrazione
controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità,
secondo la liquidazione di cui dispositivo, oltre al pagamento del
doppio contributo ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002;
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considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in complessivi euro 4.000,00, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00,

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile — 3, il 13 dicembre 2017.

Il residente
R kelFrasca

e agli accessori come per legge.

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