Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4523 del 14/02/2019

Cassazione civile sez. I, 14/02/2019, (ud. 13/12/2018, dep. 14/02/2019), n.4523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14337/2017 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Giuseppe

Mazzini 142 presso lo studio dell’avvocato Pennisi Vincenzo Alberto,

rappresentato e difeso dall’avvocato Sanfilippo Dario, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Cimino Maria Teresa, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 630/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 06/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/12/2018 dal cons. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. La Corte d’Appello di Catania con sentenza 630/17 del 6.4.2017 ha respinto l’appello proposto da V.S. avverso la sentenza di primo grado che aveva provveduto, tra l’altro, a liquidare l’assegno divorzile in favore di C.M., confermando, come già il primo giudice, anche nella determinazione del quantum, l’assunto che, alla luce delle condizioni personali della resistente – prossima a compiere i sessanta anni di età, priva di attività lavorativa e di fonti di reddito alternative e con remote possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro – nonchè del pacifico orientamento giurisprudenziale in materia, “non può dubitarsi del diritto in capo alla C…. a godere dell’assegno divorzile, posto che è processualmente certo che la stessa non gode di alcun reddito e ancor mero gode di un reddito adeguato al tenore di vita (molto elevato in ragione delle potenzialità economiche del coniuge…) tenuto durante il matrimonio”.

1.2. Per la cassazione di detta sentenza il V. si affida a due motivi di ricorso, al quale ha fatto seguire istanza di sospensione dell’odierno giudizio a mente dell’art. 295 cod. proc. civ. in considerazione della pendenza avanti alla Corte d’Appello di Catania del giudizio di delibazione della sentenza pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Siculo il 25.3.2011, confermata dal Tribunale Apostolico della Rota Romana il 9.2.2016, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario con la C..

Al proposto ricorso replica la C. con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Va previamente disattesa la richiesta di sospensione, sebbene non per le ragioni che vi oppone la controricorrente.

Seguendone il ragionamento il collegio non potrebbe in effetti dubitare che, stante la diversità di petitum e causa petendi che contrassegna rispettivamente il giudizio di divorzio e quello di nullità del matrimonio concordatario, il fatto che della sentenza emessa in quest’ultimo sia pendente la delibazione non è di per sè preclusivo del giudizio che abbia ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non ne sovverte perciò gli eventuali giudicati che in quella sede si fossero formati, anche con riguardo alle statuizione aventi natura patrimoniale (Cass., Sez. 1, 23/03/2001, n. 4202). Tuttavia, qui, il giudicato rilevabile riguarda solo la cessazione degli effetti civili del matrimonio, non avendo il relativo capo della sentenza di primo grado costituito oggetto di impugnazione per gli effetti argomentabili dall’art. 324 e dell’art. 329 c.p.c., comma 2; ne restano perciò escluse le statuizioni economiche pure adottate nell’occasione, rispetto alle quali il V. si è appunto gravato dell’appello chiedendone la riforma, e riguardo ad esse non sarebbe per questo opponibile l’efficacia ostativa del giudicato.

Ciò, malgrado, è tuttavia convinzione del collegio che nella direzione auspicata dall’istanza del V. si frapponga la preclusione indirettamente eccepibile dall’art. 372 cod. proc. civ., in guisa della quale, non essendo producibili in questa sede altri documenti se non quelli che riguardino la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso, l’istanza si rivela priva del necessario riscontro documentale atto a dimostrare la sussistenza dei presupposti che ne consentano l’apprezzamento e non risulta per questo scrutinabile (Cass., Sez. 3, 18/05/2012, n. 7932).

3.1. Nel merito, il ricorso – la cui disamina non è impedita dalle preclusioni fatte valere dalla controricorrente giacchè il quadro giurisprudenziale sotteso alla materia è stato oggetto di recente rimodulazione a seguito dell’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, non è ravvisabile, in relazione alla natura delle questioni sollevate e all’esaustività della loro illustrazione, il dedotto difetto di autosufficienza, così come non sussiste, in considerazione della chiara identità di ciascuna doglianza, l’indebita mescolanza dei motivi di impugnazione – allega col primo motivo l’erroneità dell’impugnata decisione perchè, laddove essa ha inteso confermare l’entità dell’assegno divorzile nella misura già decretata in sede di separazione, si è appellata ad un criterio smentito dal recente pronunciamento di questa Corte con la sentenza 11504 del 10/05/2017, che innovando il pregresso orientamento di legittimità in materia all’esito di un percorso argomentativo che mette al centro il principio dell’autoresponsabilità dei coniugi sulla sfondo di una concezione dell’istituto matrimoniale in linea con i tempi e con il sentire comune della collettività sociale ha abbandonato il parametro del pregresso tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio per adottare quale “nuovo e differente parametro”, cui rapportare il giudizio sull’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla possibilità-impossibilità per ragioni oggettive dello stesso di procurarseli, quello impostato sul “raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente”.

3.2. E’ opinione del collegio che il motivo – che non incorre nel difetto di autosufficienza eccepito dalla controricorrente, risultando puntualmente e compiutamente declinato -, quantunque l’indirizzo interpretativo cui si è richiamato la Corte etnea sia superato, non meriti comunque adesione, giacchè gli esiti a cui è pervenuto il decidente del grado appaiono coerenti ed in linea con il più recente pensiero di questa Corte.

3.3. Le SS.UU. con la sentenza 11/07/2018, n. 18287, come accennato, rivisitando funditus la questione – in ciò sollecitate segnatamente dall’ampio clamore destato dalla citata sentenza 11504/2017 che, enunciando il parametro “dell’indipendenza o autosufficienza economica” aveva sovvertito un più che consolidato panorama di diritto vivente, da oltre un trentennio orientato a commisurare l’entità dell’assegno divorzile al “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” – pur senza disperdere la fecondità culturale del nuovo approccio, indubbiamente impegnato a raccogliere anche nella ponderazione degli aspetti della solidarietà post-matrimoniale aventi più diretta incidenza patrimoniale i riflessi di una mutata valorizzazione delle scelte personali e delle loro conseguenze sotto il profilo dell’autoresponsabilità, da valutarsi nel contesto costituzionale all’interno del quale tali scelte e la loro protezione giuridica si collocano, e quindi non mancando pure di prendere le distanze dall’orientamento dominante, ha ritenuto, tuttavia, di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, nel testo risultante dalla novellazione operatane dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito dagli artt. 2,3 e 29 Cost..

In questa cornice è maturata la convinzione, suggerita dalla constatazione che il parametro dell’adeguatezza enunciato dall’art. 5 ha carattere intrinsecamente relativo e che esso impone perciò una valutazione comparativa condotta in armonia con i criteri indicatori che figurano nell’incipit della norma, che “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente”. Si è così, di riflesso, affermato che “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

3.4. Posto, perciò, che, come ancora precisato nell’occasione, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto alla percezione dell’assegno “ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà”, è opinione del collegio, scrutinando la sentenza impugnata, che la Corte etnea, pur non facendo mistero di orientare l’asse del proprio deliberato sul criterio del tenore di vita goduto dalla C. in costanza di matrimonio, ha tuttavia proceduto in questa direzione seguendo un percorso argomentativo che guarda con prudenza al criterio del tenore di vita e volutamente ne evita ogni forzatura, non a caso annotando che “esso concorre e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nel denunciato art. 5”; ma nello stesso tempo non si è astenuta dal valorizzare i fattori che nel caso concreto sfavoriscono la C. e la rendono nel rapporto con il V. il coniuge economicamente più debole (“è pacifico che la C., oggi prossima a compiere 60 anni… non ha svolto attività lavorativa durante la convivenza coniugale nè dopo, così come è pacifico che la stessa – impossidente – non gode di fonti di reddito diverse dal lavoro”; “la possibilità, poi, per la stessa di inserirsi oggi nel mondo del lavoro e di trovare un’occupazione da cui trarre un reddito adeguato… appare una possibilità assolutamente remota ed astratta”).

La Corte d’Appello non sembra perciò rifuggire in tal modo da un’attenta ponderazione dei valori che la tematica dell’assegno divorzile, nei profili afferenti segnatamente al riconoscimento del diritto, mette in gioco secondo l’innovativa lettura delle SS.UU. Ancorchè lo scenario ideale del suo ragionamento non sia più attuale, nondimeno il giudizio che essa declina nel caso concreto anche alla luce della durata non breve del vincolo matrimoniale contratto il 24.10.1991 e sciolto il 5.12.2014 – si mostra in singolare sintonia con la “natura composita” che le SS.UU. hanno inteso rivendicare quale prius qualificante al parametro sulla base del quale procedere al riconoscimento del diritto. Ed anzi, laddove opera la diretta saldatura, nell’accertamento del diritto della C., del criterio dell’adeguatezza agli altri indicatori enunciati dalla norma, ne ricalca, sia pur se inconsapevolmente, le linee, assecondando una chiave di lettura dell’istituto non incoerente con quella delle SS.UU. e perciò non suscettibile della pretesa cassazione.

4. Rigettato perciò il primo motivo di ricorso, il secondo, volto a confutare, sotto il profilo motivazionale, il ragionamento decisorio seguito dal decidente d’appello nella valutazione della condizione patrimoniale del V., si espone previamente ad un rilievo di inammissibilità poichè, oltre a risolversi nella perorazione di un nuovo giudizio di fatto, la censura non trova più riscontro nel nuovo dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. Il ricorso va dunque conclusivamente respinto.

6. Le spese in ragione dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti possono essere integralmente compensate.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Respinge il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Dispone omettersi in caso di pubblicazione della presente sentenza ogni riferimento ai nominativi e agli altri elementi identificativi delle parti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1 sezione civile, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2019

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