Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4522 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 20/10/2021, dep. 11/02/2022), n.4522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15172/2014 R.G. proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA QUATTRO FONTANE

20, presso lo studio dagli Avvocati ANTONIO LIROSI, ANTONIO

AURICCHIO, e PAOLO IEMMA, che lo rappresentano e difendono per

procura speciale a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA’ E BORSA, – con domicilio

eletto presso la propria sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa

dagli avvocati MARIA LETIZIA ERMETES, ANTONELLA VALENTE, MICHELA

DINI, e PAOLO PALMISANO, giusta procura speciale a margine del

controricorso e procura speciale spillata alla memoria 12.10.2021 di

nomina di nuovi difensori.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 4522/13

depositata il 10/12/2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/10/2021 dal

Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso “accoglimento del ricorso per quanto

di ragione con particolare riferimento al primo motivo di

doglianza”;

uditi gli avvocati LIROSI, per il ricorrente, e VALENTE, DINI e

PALMISANO per la controricorrente.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la Delib. 6 dicembre 2011, n. 18024, la CONSOB irrogò nei confronti del sig. C.P., ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), le seguenti sanzioni amministrative:

a) una sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all’illecito di cui all’art. 187 bis T.U.F. (nel testo, cui da ora in poi si farà riferimento, anteriore alle modifiche recate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107), commi 4 e 6, per avere egli effettuato, tra il (OMISSIS), l’acquisto di azioni della Sirti s.p.a. sulla base del possesso dell’informazione privilegiata relativa alla promozione di un’imminente offerta pubblica di acquisto (o.p.a.) obbligatoria su dette azioni, resa nota al pubblico il 27 luglio 2007;

b) una sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all’illecito di cui all’art. 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., per avere egli effettuato, tra il 12 ed il 13 febbraio del 2008, l’acquisto di azioni della Sirti s.p.a. sulla base del possesso dell’informazione privilegiata relativa alla promozione di un’offerta pubblica di acquisto (o.p.a.) volontaria su dette azioni, resa nota al pubblico il 14 Febbraio 2008;

c) una sanzione pecuniaria di Euro 50.000 ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., per avere egli rilasciato, nel corso dell’audizione del 17 marzo 2010, dichiarazioni mendaci che avrebbero ritardato l’esercizio dell’attività di vigilanza della CONSOB;

Con la medesima Delib. la CONSOB irrogò altresì al sig. C. la sanzione accessoria della perdita temporanea dei requisiti di onorabilità prevista dall’art. 187 quater, comma 1, T.U.F., per la durata di 6 mesi, e, da ultimo, ai sensi dell’art. 187 sexies, comma 2, T.U.F., dispose la confisca per equivalente di beni del sig. C. fino a concorrenza del complessivo importo di Euro 2.865.771, pari alla somma del profitto tratto dagli illeciti contestati e dei mezzi impiegati per ottenerlo.

2. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 4522/2013, ha rigettato l’opposizione proposta dal sig. C. avverso la suddetta Delib. n. 18024 del 2011.

3. Il sig. C. ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4522/2013 sulla scorta di tre motivi di ricorso.

4. La CONSOB ha resistito alla impugnazione depositando controricorso.

5. La causa, iscritta nel registro generale di questa Corte con il numero 15172/2014, venne discussa una prima volta alla pubblica udienza del 27.2.2017, per la quale tanto il ricorrente quanto la CONSOB depositarono memorie illustrative. Con ordinanza interlocutoria n. 7657/2018 il Collegio – frattanto riconvocatosi – dispose il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte costituzionale sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate da questa stessa Corte con l’ordinanza n. 3831/2018, emessa nel giudizio N.R.G. 8878/2014.

6. Dopo la pronuncia delle sentenze della Corte costituzionale nn. 112/2019 e 84/2021 la causa è stata nuovamente chiamata alla pubblica udienza del 20 ottobre 2021, per la quale il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per “l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, con particolare riferimento al primo motivo di doglianza”.

7. Il 13 ottobre 2021 la CONSOB ha depositato la propria Delib. 5 dicembre 2019, n. 21178, di annullamento “limitatamente alla parte eccedente la somma di Euro 182.024,91 corrispondente al profitto dell’illecito”, del capo della Delib. oggetto del presente giudizio con cui era stata disposta la confisca di beni del sig. C. fino a concorrenza Euro 2.865.771.

8. Nella memoria successivamente depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la stessa CONSOB ha quindi concluso per la declaratoria di inammissibilità del primo motivo per sopravvenuta carenza di interesse, per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del secondo motiva e per il rigetto del terzo motivo o, nel caso di accoglimento del medesimo, per il rinvio alla Corte territoriale “qualora ritenga necessaria una verifica in facto circa la mancata maturazione del diritto al silenzio in capo al sig. C.P. nel momento in cui la CONSOB ne ha disposto la convocazione in audizione” (pag. 11 della memoria).

9. Il ricorrente ha a propria volta depositato in data 15.10.2021 una memoria ex art. 378 c.p.c., nella quale – dopo aver dato atto dell’annullamento della confisca disposto dalla CONSOB in autotutela per l’importo eccedente la somma di Euro 182.024,91, di cui si è riferito nel precedente p. 7 – ha insistito per l’accoglimento di tutti i motivi di ricorso, altresì evidenziando la necessità di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio a lui inflitto, alla stregua della retroattività della lex mitior sopravvenuta (D.Lgs. n. 72 del 2015, poi seguito dal D.Lgs. n. 107 del 2018), giusta il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 21 marzo 2019.

10. All’esito della discussione orale la causa è stata decisa in Camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

11. Con il primo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., il ricorrente chiede la cassazione del capo dell’impugnata sentenza che ha rigettato l’opposizione da lui proposta avverso la confisca per equivalente non solo del profitto tratto dalle operazioni effettuate in base al possesso di informazioni privilegiate ma anche dei mezzi usati per ottenere detto profitto. Nel mezzo di impugnazione si denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 3 e 27 Cost., e si lamenta che la Corte d’appello non abbia rilevato la manifesta sproporzione e l’eccessiva afflittività della confisca disposta a carico del sig. C. in rapporto all’entità del profitto dal medesimo ritratto dall’illecito, pari a circa un quindicesimo del valore dei beni confiscati. Conseguentemente il ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 T.U.F. – da lui prospettata in riferimento agli artt. 3,10,27,103,113 e 117 Cost., all’art. 6 della CEDU ed alla direttiva 2003/6/CE – e, comunque, per non avere esaminato la percorribilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 187 sexies T.U.F. che qualificasse la confisca ivi prevista come facoltativa, invece che obbligatoria, e ne rapportasse l’oggetto al solo profitto conseguito dall’illecito e non anche all’entità dei mezzi utilizzati per commetterlo.

12. La censura veicolata nel primo motivo di ricorso risulta superata dalla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 112/2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F. “nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto”. All’esito di tale sentenza la CONSOB, come accennato al paragrafo 7 che precede, ha annullato in autotutela, con propria Delib. n. 21178 del 2019, la Delib. qui impugnata nella parte in cui disponeva la confisca di beni del sig. C. per la parte eccedente la somma di Euro 182.024,91 corrispondente al profitto dell’illecito. Il Collegio osserva che, per effetto di tale annullamento, la materia del contendere su cui si è pronunciata la statuizione della Corte d’appello impugnata con il primo motivo di ricorso risulta obiettivamente cessata. La statuizione di merito necessariamente conseguente all’accoglimento di tale motivo di ricorso, infatti, sarebbe priva di oggetto, dovendosi essa risolvere nell’annullamento dell’impugnato provvedimento di confisca per una parte – quella equivalente ai beni impiegati per commettere l’illecito – già annullata dalla stessa Autorità che ha emesso il provvedimento.

13. Va ancora aggiunto, infine, che la situazione di fatto determinata dall’emanazione in autotutela della Delib. CONSOB n. 21178 del 2019, impone, come detto, la declaratoria di cessazione della materia del contendere e non la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, la quale implicherebbe il passaggio in giudicato della statuizione impugnata (cfr. Cass. SSUU 8980/2018; si veda anche Cass. 26299/2018: “La cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, dell’interesse al ricorso; la composizione in tal modo della controversia giustifica non già l’inammissibilità del ricorso in cassazione bensì, da un lato, la rimozione, con cassazione senza rinvio, delle sentenze già emesse, prive di attualità e, dall’altro, una pronuncia finale sulle spese, secondo una valutazione di soccombenza virtuale”).

14. Con il secondo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 bis, commi 4 e 6, T.U.F. e della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 6, per avere la Corte d’appello assunto come accertato il possesso delle informazioni (asseritamente) privilegiate da parte del sig. C. senza, tuttavia, chiarire né su quali elementi si fondasse tale convincimento né da chi, e in quali circostanze, il sig. C. sarebbe stato messo a conoscenza di informazioni privilegiate. Il ricorrente, quindi, lamenta che la corte territoriale abbia esaminato in maniera incompleta e, in taluni casi, totalmente omesso di esaminare alcune circostanze fattuali idonee ad escludere il carattere privilegiato delle informazioni relative all’o.p.a. obbligatoria ed a quella volontaria.

15. Nell’argomentazione sviluppata nel secondo motivo si sostiene che tanto l’o.p.a. obbligatoria quanto quella volontaria potevano essere previste dal C. anche senza il possesso di informazioni privilegiate. Il ricorrente infatti sottolinea di aver svolto numerosi incarichi di consulenza e di amministrazione per il gruppo Sirti e di avere quindi acquisito una approfondita conoscenza delle relative dinamiche aziendali; evidenzia la prevedibilità dell’o.p.a. volontaria, per chi, appunto, conoscesse l’evoluzione del gruppo Sirti; argomenta come la realizzazione di processi strutturati di vendita delle azioni Sirti s.p.a. costituisse un evento prevedibile in base al contenuto dei patti parasociali, debitamente pubblicati, che il ricorrente aveva avuto modo di analizzare; deduce come il lancio dell’o.p.a. obbligatoria fosse stato preceduto da notizie e studi tali da rendere l’evento facilmente prevedibile senza avvalersi di alcuna informazione privilegiata; ancora, il ricorrente censura l’impugnata sentenza per non aver rilevato i profili di contraddittorietà insiti nella motivazione del provvedimento sanzionatorio, nella parte concernente la prevedibilità dell’o.p.a. obbligatoria, e per non avere adeguatamente apprezzato, per escludere il carattere non privilegiato delle informazioni sull’o.p.a. volontaria, le informazioni rese dal presidente della società Sirti, Dott. Ch., sull’ipotesi di delisting di tale società; censura la sentenza, inoltre, per non aver considerato, al fine di escludere il carattere di precisione (e, quindi, la natura privilegiata) delle informazioni in possesso del ricorrente, che l’ipotesi di un’o.p.a. su base volontaria finalizzata al delisting del titolo era necessariamente soggetta al preventivo ed informale consenso della CONSOB; per non aver considerato che “qualunque investitore accorto, senza alcun bisogno di entrare in possesso di informazioni privilegiate, avrebbe potuto prevedere il (possibile, se non probabile) realizzarsi di una nuova offerta pubblica di acquisto, volontaria ovvero obbligatoria che potesse essere, e il conseguente rialzo della quotazione borsistica del titolo” (pagg. 51/52 del ricorso; per non aver considerato le caratteristiche obiettive dell’ordine di acquisto impartito dal ricorrente il 12 febbraio 2008 e la piena legittimità di tale ordine che dette caratteristiche dimostravano.

16. Il motivo è inammissibile, perché, pur essendo rubricato con promiscuo riferimento al n. 3 ed al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non individua, quanto al dedotto vizio di violazione di legge, alcuna esplicita od implicita affermazione in diritto della sentenza gravata che si ponga in contrasto con le disposizioni di cui viene lamentata la violazione; né individua, quanto al dedotto vizio di omesso esame di fatto decisivo, alcun fatto storico il cui esame, trascurato dalla Corte territoriale, avrebbe “determinato un esito diverso della controversia” (così SSUU n. 8053/2014). Il motivo in esame, in sostanza, si appunta contro le conclusioni a cui è approdato il convincimento del giudice di merito in ordine al possesso di informazioni privilegiate da parte del sig. C., risolvendosi in una istanza di rivalutazione del materiale istruttorio che non è ammissibile nel giudizio di legittimità.

17. Con il terzo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 187 bis e 187 quinquiesdecies T.U.F., dell’art. 24 Cost., L. 241 del 1990, artt. 3,6 e 7 e dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento. Il motivo si articola in due distinte censure.

18. La prima censura del terzo mezzo attinge, nuovamente, l’accertamento operato dalla Corte d’appello di Milano in ordine al possesso di informazioni privilegiate da parte del sig. C.. In particolare, nel motivo di ricorso si critica l’inferenza logica che ha condotto (prima, la CONSOB e, poi, la Corte ambrosiana) a desumere da fatti noti il fatto ignoto dell’abuso di informazioni privilegiate sanzionato con la Delib. oggetto del presente giudizio. Secondo il ricorrente l’accertamento delle violazioni a lui contestate si fonderebbe su elementi contraddittori e non potrebbe considerarsi dimostrato nemmeno alla stregua del canone presuntivo della “ragionevole probabilità”. Il ricorrente quindi si diffonde nella dettagliata enunciazione di una pluralità di risultanze fattuali concernenti, tra l’altro, la tempistica e l’entità degli investimenti da lui realizzati, la congruenza delle operazioni effettuate rispetto alle modalità di investimento da lui precedentemente seguite, il livello contenuto del prezzo di acquisto degli ordini in contestazione, l’inadeguatezza, al fine di supportare la presunzione di conoscenza di informazioni privilegiate, dell’esistenza di relazioni personali e di affari con diversi soggetti a conoscenza delle stesse.

19. La censura sintetizzata nel paragrafo precedente è inammissibile perché, al pari delle doglianze veicolate nel secondo motivo di ricorso, si risolve in una critica di merito all’accertamento in fatto operato nella sentenza impugnata che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

19.1. Va peraltro ricordato come questa Corte abbia già avuto modo di sottolineare che in tema di abuso di informazioni privilegiate del D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 187-bis, non esiste alcuna incompatibilità tra tale condotta ed il suo accertamento mediante presunzioni semplici, essendo, piuttosto, la prova presuntiva spesso l’unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalità che escludono attività di documentazione, mentre la rappresentazione dell’insider trading attraverso prove orali è eventualità per lo più esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all’incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo (Cass. n. 8782/2020; vedi anche, in termini, Cass. n. 162523/2016, non massimata, pagg. 14 e 15, con riferimenti ad ulteriori precedenti conformi). Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto – sulla scorta di una motivazione analitica e immune da vizi logici – che gli elementi raccolti dalla CONSOB nel corso della propria istruttoria e posti a fondamento della contestazione degli illeciti presentassero i necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, tenuto conto delle tempistiche e delle modalità delle operazioni contestate, della rilevante entità dell’investimento, della incongruenza di tali acquisti rispetto a quelli precedenti e, infine, delle relazioni personali intercorrenti tra gli insiders. Le considerazioni svolte dal ricorrente non sono idonee a sovvertire il giudizio della Corte territoriale sulla sussistenza dei suddetti requisiti di precisione, gravità e concordanza degli elementi presuntivi posti a fondamento del provvedimento sanzionatorio.

19.2. Peraltro, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, la configurabilità dell’illecito di cui all’art. 187 bis, comma 4, T.U.F. prescinde dalla verifica delle concrete modalità attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita dall’insider trader secondario, essendo sufficiente, viceversa, la dimostrazione che costui abbia operato essendo a conoscenza dell’informazione privilegiata. Come questa Corte ha già chiarito nella sentenza n. 27225/2013, infatti, ai fini della sanzionabilità della violazione addebitata, rileva non l’acquisizione dolosa della notizia privilegiata,…, bensì il possesso e l’utilizzazione di un’informazione privilegiata in chi – conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato della stessa – compie taluno dei fatti descritti nella norma” (pagg. 12/13).

20. La seconda censura del terzo mezzo – veicolata nel paragrafo 3.4. (pag. 69) del ricorso per cassazione – attinge la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto legittima l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., per avere il C. reso dichiarazioni false in sede di audizione. In particolare, a parere del ricorrente, la sanzione irrogata sarebbe incompatibile col principio nemo tenetur se detegere.

21. L’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. – sul quale si fonda la sanzione confermata dalla Corte di appello con la statuizione attinta dalla censura in esame – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, con la sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Tale declaratoria di illegittimità costituzionale fa seguito alla sentenza CGUE 2.2.2021, in causa C-481/19, con cui i giudici di Lussemburgo hanno dato risposta ai quesiti – uno di interpretazione ed uno di validità – che la Corte costituzionale aveva posto loro con il rinvio pregiudiziale disposto con l’ordinanza n. 117/2019.

22. Nella menzionata sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia, in primo luogo, afferma che la garanzia per le persone fisiche di serbare il silenzio in procedimenti amministrativi, quale quello attivato dalla CONSOB per l’illecito di informazioni privilegiate, trova fondamento nell’art. 47, par. 2, e art. 48 della CDFUE (p. 45); sulla scorta di tale premessa, esamina gli artt. 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e 30, par. 1, lett. b), del regolamento n. 596/2014, con l’obiettivo di “verificare se tali disposizioni del diritto derivato dell’Unione si prestino ad essere interpretate in conformità al suddetto diritto al silenzio” (p. 49); ribadisce, in continuità con la propria precedente giurisprudenza, che “secondo un principio ermeneutico generale, un testo del diritto derivato dell’Unione deve essere interpretato, per quanto possibile, in un modo che non pregiudichi la sua validità e in conformità con l’insieme del diritto primario e, segnatamente con le disposizioni della Carta. Così, qualora un testo siffatto si presti a più di un’interpretazione, occorre preferire quella che rende la disposizione conforme al diritto primario anziché quella che porta a constatare la sua incompatibilità con quest’ultimo” (p. 50); privilegia, infine, tra le diverse possibili interpretazioni delle disposizioni di cui agli artt. 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e 30, par. 1, lett. b), del regolamento n. 596/2014 quella che non si pone in contrasto con il diritto al silenzio tutelato dalle norme parametro della CDFUE, concludendo, quindi, che tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale. Nella trama argomentativa della sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia si fa carico di perimetrare l’esatta portata del diritto al silenzio garantito dalla CDFUE, sottolineando come esso non possa giustificare “qualsiasi omessa collaborazione con le autorità competenti, qual è il caso di un rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità o di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa” (p. 41).

23. La sentenza C. Cost. n. 84/2021, ponendosi in piena sintonia con la pronuncia della Corte di giustizia, riconosce l’esistenza di un diritto al silenzio – nell’ambito di procedimenti amministrativi funzionali a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, che siano suscettibili di sfociare in sanzioni amministrative di carattere punitivo – fondato, “assieme, sull’art. 24 Cost., sull’art. 6 CEDU e sugli artt. 47 e 48 CDFUE, questi ultimi nell’interpretazione che ne ha ora fornito la Corte di giustizia; e (che, n.d.r.) può essere ricavato altresì dall’art. 14, paragrafo 3, lettera g), PIDCP” (p. 3.5 del Considerato in diritto, secondo capoverso).

24. A differenza della Corte di giustizia, tuttavia, la Corte costituzionale non ha pronunciato una sentenza interpretativa di rigetto ma ha privilegiato la soluzione della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale (oltre che consequenziale, giacché ha esteso la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. anche al testo della disposizione risultante dalle modifiche recate dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 24, comma 1, lett. “c”, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, nonché al testo risultante dalle notifiche recate dal D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129, art. 5, comma 3). La sentenza C. Cost. n. 84/2021 risulta, infatti, una sentenza manipolativa, in quanto, nel testo della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale (“chiunque non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l’esercizio delle sue funzioni”) enuclea due distinte condotte:

a) da un lato, la condotta della “persona fisica la quale, richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell’attività di vigilanza svolta da quest’ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero – a fortiori – nell’ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilità di carattere penale” (p. 3.6 del Considerato in diritto, secondo capoverso);

b) d’altro lato, la condotta consistente in “comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza della CONSOB, come il rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tale autorità, ovvero manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa” o, ancora, la condotta consistente nella “omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta della CONSOB, formulata ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 octies, commi 3 e 4” (p. 3.6 del Considerato in diritto, quinto capoverso).

La condotta sub a) è stata ritenuta espressione del diritto al silenzio costituzionalmente protetto e, quindi, il contenuto dispositivo dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. è stato amputato, mediante la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale, della parte che sanziona tale condotta; la condotta sub b), viceversa, non è stata ritenuta compresa in detta copertura, con la conseguenza che la parte del contenuto dispositivo dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. che sanziona la stessa ha resistito al vaglio di legittimità costituzionale ed è tuttora vigente.

25. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 va dunque esaminata la questione se la tutela costituzionale del diritto al silenzio, come delineato in tale sentenza, copra anche la condotta per la quale è stata irrogata la sanzione di cui si tratta nel motivo di ricorso in esame, vale a dire “avere reso il sig. C., nel corso dell’audizione tenutasi presso la CONSOB il 17 marzo 2010, dichiarazioni false che hanno ritardato l’esercizio delle funzioni di vigilanza della CONSOB nell’ambito delle indagini riguardanti le operazioni disposte da Aeneas Holding” (pag. 2, quarto capoverso, della sentenza impugnata).

26. Al riguardo è allora necessario chiarire se il “diritto di mentire” sia compreso nell’ambito del più generale “diritto di tacere” riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021; più precisamente, si tratta di stabilire se, nel quadro dell’attività di vigilanza svolta dalla CONSOB e funzionale alla scoperta di illeciti ed alla individuazione dei relativi responsabili, il diritto della persona fisica di rifiutarsi di rispondere alle domande da cui possa emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo comprenda anche il diritto di rendere risposte mendaci.

27. La risposta a tale quesito non può trarsi sic et simpliciter, come suggerisce il ricorrente nella propria memoria ex art. 378 bis c.p.c., dal principio, elaborato dalla giurisprudenza penale di questa Corte, che il diritto al silenzio comprende il diritto di mentire (Cass. Pen. 11956/1982, Cass. Pen. 11369/1986, nonché, più di recente Cass. Pen. 57703/2017: “l’ordinamento riconosce il diritto al silenzio nonché quello di negare, anche mentendo, le circostanze di fatto a lui sfavorevoli” e, ancora nello stesso senso, Cass. Pen. 17232/1920, alla cui stregua la condotta di colui che neghi ostinatamente l’addebito e sostenga una versione dei fatti smentita dalle altre risultanze istruttorie costituisce “espressione di un insopprimibile diritto di difesa, riflesso del diritto al silenzio”). Tali principi non possono essere immediatamente e integralmente trasposti nella materia che ci occupa per la decisiva ragione che quest’ultima è regolata dalla legge con una disposizione – l’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., appunto – che espressamente istituisce l’obbligo di ottemperare nei termini alle richieste della CONSOB e di non ritardare l’esercizio delle sue funzioni; disposizione che ha superato il vaglio di costituzionalità là dove sanziona i “comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza della CONSOB” (cfr. p. 24 che precede).

28. Alla stregua delle considerazioni che precedono, l’insegnamento della giurisprudenza penale che considera il diritto di mentire un riflesso del diritto al silenzio va coordinato con la specifica disciplina del trattamento sanzionatorio degli abusi di mercato, la quale, in attuazione del diritto dell’Unione Europea, sanziona i comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza della CONSOB. Sarebbe infatti palesemente distonico, in un sistema che sanziona il rifiuto di presentarsi ad un’audizione o di consegnare dati e documenti, ritenere non sanzionabile un mendacio che, orientando la CONSOB verso piste false o inducendola a compiere investigazioni inutili, produca l’effetto di ostacolare o ritardare indebitamente l’attività di indagine. Per mendacio non punibile, in quanto riflesso del diritto costituzionale al silenzio, deve allora intendersi solo quello il cui effetto sull’indagine sia il medesimo prodotto dal rifiuto di rispondere, ossia il mendacio che si risolve nella mera negazione di circostanze vere di cui la CONSOB chiede conferma; in tal caso, infatti, l’effetto del mendacio si risolve nel lasciare a carico della CONSOB lo stesso onere – di ricercare aliunde la prova delle circostanze oggetto della richiesta di conferma – che resta a carico della stessa all’esito di un rifiuto di rispondere; senza, quindi, alcuna indebita causazione di ulteriori ostacoli o ritardi dell’attività di indagine.

29. Va quindi affermato il seguente principio di diritto:

“Ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., quale risultante all’esito della sentenza C. Cost. n. 84/2021, la condotta della persona fisica la quale – richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell’attività di vigilanza svolta da quest’ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero, a fortiori, nell’ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti – abbia dato risposte mendaci a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilità di carattere penale, non è sanzionabile solo se tale mendacio si risolva nella mera negazione di circostanze vere di cui la CONSOB chieda conferma; in tal caso, infatti, il mendacio produce sull’indagine il medesimo effetto del rifiuto di rispondere, ossia quello di lasciare a carico della CONSOB l’onere di ricercare aliunde la prova delle circostanze oggetto della richiesta di conferma; senza, quindi, alcuna indebita causazione di ulteriori ostacoli o ritardi dell’attività di indagine”.

30. Sulla base dell’enunciato principio di diritto, risulta allora necessario verificare se il mendacio per cui il sig. C. è stato sanzionato dalla CONSOB, per come accertato dal giudice di merito, abbia indebitamente causato ulteriori ostacoli o ritardi dell’attività di indagine, oppure se, al contrario, esso abbia prodotto sull’indagine il medesimo effetto del rifiuto di rispondere, ossia quello di lasciare a carico della CONSOB l’onere di ricercare aliunde la prova delle circostanze oggetto della richiesta di conferma. Nell’impugnata sentenza tale illecito è così descritto (pag. 18, p. 5.1): “a fronte di specifiche domande, egli (il sig. C., n.d.r.) ha negato – contrariamente al vero – di conoscere Aeneas Hodings e ciò al fine di celare il fatto di aver disposto operazioni sul titolo Sirti per conto di questa società e di esserne il beneficiario economico. Tali dichiarazioni hanno reso necessario, da parte della CONSOB, lo svolgimento di ulteriori indagini volte ad individuare il soggetto a cui fossero riconducibili le operazioni su titoli Sirti poste in essere per conto di Aeneas Hodings provocando un oggettivo ritardo nell’esercizio delle funzioni di vigilanza dell’Istituto”.

31. Dalla suddetta descrizione dell’illecito de quo emerge che l’unico effetto della falsa dichiarazione del sig. C. di non conoscere Aeneas Hodings è consistito nel lasciare sulla CONSOB l’onere di ricercare aliunde la prova dei suoi rapporti con tale società, rendendo necessarie, per utilizzare le stesse parole della Corte d’appello, “ulteriori indagini volte ad individuare il soggetto a cui fossero riconducibili le operazioni su titoli Sirti poste in essere per conto di Aeneas Hodings”. Il mendacio del sig. C. non ha, dunque, introdotto ostacoli o ritardi ulteriori all’attività di indagine della CONSOB ma ha prodotto esattamente lo stesso effetto che sarebbe derivato dal suo rifiuto di rispondere alle domande della CONSOB. Tale mendacio deve quindi ritenersi, alla stregua del principio di diritto enunciato nel precedente paragrafo 29, non punibile ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., quale risultante all’esito della sentenza C. Cost. n. 84/2021.

32. La seconda censura veicolata nel terzo motivo di ricorso per cassazione va dunque accolta, con cassazione in parte qua della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, l’opposizione alla sanzione emessa per l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’annullamento dell’impugnata sanzione.

33. Esaurito l’esame dei motivi di ricorso, resta in definitiva confermato, essendo stato disatteso il secondo di tali motivi, l’accertamento operato dalla Corte di appello di Milano in ordine alla commissione, da parte del sig. C., degli illeciti amministrativi di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 1 che precede, sanzionati dalla CONSOB con le sanzioni pecuniarie, confermate dal giudice dell’opposizione, di Euro 100.000 per le operazioni di trading del luglio 2007 e di altri Euro 100.000 per le operazioni di trading del febbraio 2008.

34. Vanno pertanto esaminati gli argomenti spiegati nella memoria della difesa C. del 15.10.2021 con riferimento alla necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio a lui applicato, in ossequio ai principi della retroattività della lex mitior ed avendo riguardo, tra l’altro, alla sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dall’art. 187 bis T.U.F..

35. Al riguardo il Collegio osserva che l’art. 187 bis T.U.F. come sostituito dalla L. 18 aprile 2005 n. 62, nell’ambito dell’introduzione del Titolo I bis (Abusi di mercato) nella Parte V del T.U.F. – prevedeva, per tutti gli illeciti dal medesimo contemplati (nei commi, rispettivamente, 1, 2 e 4), le medesime sanzioni pecuniarie da Euro 20.000 a Euro 3 milioni (aumentabili – ai sensi del comma 5 dello stesso articolo – fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito, quando esse apparissero inadeguate anche se applicate nel massimo, avuto riguardo alle qualità personali del colpevole ovvero all’entità del prodotto o del profitto conseguito). La L. 28 dicembre 2005 n. 262, art. 39, comma 3, dispose, tra l’altro, la quintuplicazione delle sanzioni amministrative previste dal T.U.F.; per effetto di tale ultima disposizione, quindi, i termini edittali delle sanzioni di cui all’art. 187 bis si innalzarono ad Euro 100.000 nel minimo e ad Euro 15 milioni nel massimo. Il successivo D.Lgs. 12 maggio 2015 n. 72, art. 6, comma 3, stabilì che la quintuplicazione delle sanzioni amministrative di cui alla L. n. 262 del 2005, art. 39, comma 3, non si applicasse alle sanzioni amministrative previste dal T.U.F.; per effetto di tale disposizione, pertanto, le sanzioni di cui all’art. 187 bis T.U.F. tornarono alla forbice edittale da Euro 20.000 nel minimo e ad Euro 3 milioni nel massimo (salva, sempre, la possibilità di procedere agli aumenti di cui dello stesso art. 187 bis, comma 5 T.U.F.). La disciplina transitoria dettata del D.Lgs. n. 72 del 2015, stesso art. 6, comma 2, stabilì, tuttavia, che le modifiche apportate alla Parte V del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, si applicassero alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia, secondo le rispettive competenze, ai sensi dell’art. 196-bis del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (disposizioni adottate dalla CONSOB con il regolamento attuativo approvato con Delib. 24 febbraio 2016 e dalla Banca d’Italia con il regolamento attuativo approvato con delibera del 3 maggio 2016); e che alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuassero ad applicarsi le norme della Parte V del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 72 del 2015. Infine, il D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107, art. 4, comma 10, lett. a), ha nuovamente modificato l’art. 187 bis mantenendo, tuttavia, il medesimo minimo edittale (Euro Euro 20.000) e innalzando il massimo edittale da 3 a 5 milioni di Euro.

36. In ragione della disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, agli illeciti per cui è causa, commessi negli anni 2007 – 2008, il trattamento sanzionatorio applicabile sarebbe quello risultante dalla quintuplicazione disposta dalla L. n. 262 del 2005 e, in relazione a tale trattamento, la sanzione concretamente irrogata per entrambi gli episodi di trading ascritti al sig. C., di Euro 100.000, si attesta sul minimo edittale. Tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 63 del 21 marzo 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui all’art. 187-bis del D.Lgs. n. 58 del 1998. Alla stregua dello jus superveniens rappresentato dalla sentenza n. 63/2019 della Corte costituzionale, il trattamento sanzionatorio applicabile alla fattispecie non è più quello da Euro 100.000 ad Euro 15 milioni ma quello da Euro 20.000 ad Euro 3 milioni, risultante dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5, comma 3 (non essendo applicabile il trattamento introdotto dal successivo D.Lgs. n. 107 del 2018, perché posteriore al fatto e più severo rispetto a quello introdotto nel 2015, in quanto, fermo il minimo edittale a Euro 20.000, ha innalzato il massimo editale da 3 a 5 milioni di Euro).

37. Tanto premesso, ancorché la sanzione concretamente irrogata dalla CONSOB, e confermata dalla Corte di appello di Milano, sia contenuta all’interno della forbice tra minimo e massimo prevista dalla lex mitior introdotta dal D.lgs. n. 72 del 2015, quale risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, il mutamento dei termini edittali impone una riconsiderazione del giudizio in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio; detta sanzione, pari al minimo edittale vigente al momento della pronuncia della sentenza impugnata, corrisponde infatti al quintuplo del minimo edittale introdotto dal diritto sopravvenuto da applicare alla fattispecie. Soccorre allora l’insegnamento della giurisprudenza penale elaborata da questa Corte con riferimento all’applicazione della disciplina sanzionatoria più favorevole conseguente alla sentenza della Corte Cost. n. 40 del 2019 in materia di stupefacenti; alla stregua di tale giurisprudenza, a seguito di uno jus supeveniens sanzionatorio introduttivo di parametri edittali più miti, il giudice non è tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico, correlato alla pena calcolata prima dell’introduzione dello jus superveniens, ma deve rimodulare la pena nell’ambito della nuova cornice edittale, secondo gli ordinari criteri di determinazione della stessa (vedi Cass. Pen. 29431/18; conf. Cass. Pen. 3481/19, Cass. Pen. 51130/19).

38. Ne’ osta all’applicazione della lex mitior più favorevole la circostanza che la sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019 sia intervenuta in pendenza del giudizio di cassazione. Per quanto riguarda la questione della rilevabilità in cassazione dello jus supervenies – anche quando lo jus supervenies riguardi un profilo non toccato dalle censure svolte nel ricorso per cassazione (nella specie, la quantificazione della sanzione per gli illeciti di cui all’art. 187 bis TUF ascritti al sig. C.) – trovano qui applicazione i principi già fissati da questa Corte con la sentenza n. 20697 del 2018, che ha chiarito come la lex mitior sopravvenuta vada applicata dalla Corte di cassazione anche nei giudizi nei quali la quantificazione della sanzione operata dall’Autorità amministrativa non sia stata opposta in sede giurisdizionale o nei quali la pronuncia giudiziale quoad poenam non abbia formato oggetto di specifica impugnazione.

39. Nella suddetta pronuncia n. 20697 del 2018 sono stati infatti affermati i seguenti principi, ai quali il Collegio intende dare conferma e seguito.

39.1. Nessun dubbio può sussistere in ordine al dovere della Corte di cassazione di fare applicazione dello jus superveniens più favorevole nei casi in cui la statuizione della sentenza di secondo grado in punto di misura della sanzione abbia formato oggetto di specifico motivo di ricorso per cassazione (ancorché sorretto, inevitabilmente, da ragioni diverse dalla richiesta di applicazione di norme più favorevoli non ancora esistenti alla data della proposizione del ricorso). In tal caso, infatti, la statuizione sulla misura della pena viene specificamente censurata in sede di legittimità e tale censura investe la Corte di cassazione del potere-dovere di verificare la relativa conformità alla legge anche sotto profili diversi da quelli dedotti nel mezzo di gravame. E’ jus receptum, infatti, che, in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, può ritenere fondata la questione sollevata dal ricorso per una ragione giuridica individuata d’ufficio e diversa da quella specificamente indicata dalla parte, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto (Cass. 19132/05, Cass. 6935/07, Cass. 3437/14, Cass. 18775/17).

39.2. La norma più favorevole sopravvenuta nella pendenza del giudizio di legittimità deve trovare altresì applicazione anche nell’ipotesi in cui il ricorso per cassazione non contenga specifiche censure sulla quantificazione della sanzione; ciò tanto nel caso che la quantificazione originariamente operata dall’Amministrazione non sia stata contestata nel giudizio di opposizione, quanto nel caso che tale quantificazione sia stata contestata e il giudice l’abbia confermata. Nella suddetta sentenza n. 20697 del 2018 si è infatti chiarito che il principio generale secondo cui lo ius superveniens può trovare applicazione nel giudizio di legittimità solo se esso risulti pertinente rispetto alle questioni sollevate nei motivi di ricorso (così, Cass. 10547/2006, Cass. 19617/18) trova deroga nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento recante una sanzione e lo jus superveniens sia retroattivo in applicazione del principio del favor rei, giacché, come già precedentemente chiarito in Cass. n. 8243 del 2008, la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione.

39.3. Il principio che il sopravvenuto trattamento sanzionatorio più favorevole deve trovare applicazione nel giudizio di legittimità anche qualora il ricorso per cassazione non contenga censure specificamente rivolte alla quantificazione della sanzione – fondato sul postulato che il principio del favor rei, per la sua specifica portata pubblicistica, è destinato ad operare anche nel processo civile, qualora quest’ultimo abbia ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento recante una sanzione amministrativa (o tributaria) – non urta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata. Come precisato nella ripetuta sentenza n. 20697 del 2018, infatti, la statuizione sulla misura della sanzione è dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato, giacché la caducazione del capo di sentenza che accerta la sussistenza dell’illecito e la responsabilità del sanzionato non può che travolgere il capo di sentenza che stabilisce la misura della sanzione. Trovano dunque applicazione i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 21691 del 2016, dove si è evidenziato che con l’art. 336 c.p.c. (“la riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata o cassata”) il legislatore ha fissato la regola che, qualora due o più parti di una sentenza siano collegate da un nesso di dipendenza, l’accoglimento dell’impugnazione mirata sulla parte principale comporta la caducazione anche della parte dipendente e si è conseguentemente affermato il principio che l’impugnazione della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche delle parti da essa dipendenti, sino a quando la decisione sull’impugnazione rimanga sub iudice.

39.4. Va quindi conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: “In materia di sanzioni amministrative, le norme sopravvenute nella pendenza del giudizio di legittimità che dispongano retroattivamente un trattamento sanzionatorio più favorevole devono essere applicate anche d’ufficio dalla Corte di cassazione, atteso che la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione; né tale conclusione contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, perché la statuizione sulla misura della sanzione è dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato e pertanto, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., è destinata ad essere travolta dall’eventuale caducazione di quest’ultima, cosicché essa non può passare in giudicato fino a quando l’accertamento della responsabilità dei sanzionato non sia a propria volta passata in giudicato”.

40. L’impugnata sentenza va pertanto cassata nella parte concernente la misura della sanzione irrogata al signor C. per gli illeciti di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 1 che precede, e – poiché la concreta rideterminazione della sanzione alla stregua dei termini edittali fissati dal D.Lgs. n. 72 del 2015, quale risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2015, implica valutazioni di merito che non possono essere svolta nel giudizio di legittimità – alla suddetta cassazione in parte qua deve seguire il rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione.

41. In definitiva, sul primo motivo di ricorso va dichiarata cessata la materia del contendere; il secondo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile; il terzo motivo di ricorso va accolto limitatamente alla censura relativa alla sanzione applicata al ricorrente per l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. – che va annullata in questa sede con decisione nel merito ex art. 384 c.c. – e va rigettato per le restanti censure. Va altresì cassata la statuizione dell’impugnata sentenza concernente l’entità delle sanzioni applicate al ricorrente per gli illeciti di cui all’art. 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., in relazione alle operazioni sui titoli Sirti dal medesimo effettuate tra il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS); con rinvio al giudice territoriale per la rideterminazione di tali sanzioni alla stregua dei termini edittali fissati dal D.Lgs. n. 72 del 2015, quale risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2015.

42. Il mutamento del quadro normativo sopravvenuto in corso di causa per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 63/2019, n. 112/2019 e n. 84/2021 giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, competendo al giudice di rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di merito per la fase definita con la sentenza qui impugnate e per la fase di rinvio.

PQM

La Corte, pronunciando sul ricorso, così decide:

a) dichiara cessata la materia del contendere sul primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo di ricorso limitatamente alla censura relativa alla sanzione applicata al ricorrente per l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., rigettandolo per le restanti censure;

b) cassa la sentenza impugnata in relazione alle statuizioni investite dal primo motivo di ricorso e dalla censura accolta del terzo motivo di ricorso;

c) cassa altresì la sentenza impugnata in relazione alla statuizione concernente l’entità della sanzione applicata al ricorrente per gli illeciti di cui all’art. 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., per le operazioni sui titoli Sirti da lui effettuate tra il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS);

d) pronunciando nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., annulla la sanzione applicata al ricorrente per l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F.;

e) rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per la rideterminazione dell’entità della sanzione applicata al ricorrente per gli illeciti di cui all’art. 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., per le operazioni sui titoli Sirti da lui effettuate tra il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS).

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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