Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4521 del 27/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4521 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

ORDINANZA
sul ricorso 10459-2016 proposto da:
MAGYAR NEN1ZETI VAGYONKEZELO, ZRT in persona del
legale rappresentante pro tempore, REPUBBLICA DI UNGHERIA,
in persona del legale rappresentante pro tempore, MINISTERO
DELLE FINANZE DELLA REPUBBLICA DI UNGI-TEMA, in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DEGLI OTTAVI N.9, presso lo studio
dell’avvocato MASSIMILIANO SCARINGELEA, che li rappresenta e
difende;
– ricorrenti contro
SAN NIARCO PROGETTI S.R.L. (C.F. e P.I. 04508950153) IN
LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

Data pubblicazione: 27/02/2018

QUATTRO FONTANE n. 161, presso lo studio dell’avvocato
SANTE RICCI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ALBERTO TOFFOLETTO;

– controricorrente –

CASSAZIONE, depositata il 19/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 12/10/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI.

Ric. 2016 n. 10459 sez. M3 – ud. 12-10-2017
-2-

avverso la sentenza n. 21085/2015 della CORTE SUPRENLA. DI

10459/2016

La Corte

rilevato che avverso sentenza n. 21085/2015 di questa Suprema Corte ricorrono per
revocazione per errore di fatto ai sensi dell’articolo 395 n.4 c.p.c. Magyar Nemzeti
Vagyonkezelo.zrt, la Repubblica di Ungheria e il Ministero delle Finanze della Repubblica di
Ungheria;

rilevato che sia i ricorrenti sia la controricorrente hanno pure depositato memoria;
rilevato che i ricorrenti adducono che questa Suprema Corte, nell’accoglimento parziale dei
motivi di ricorso – che era stato proposto dall’attuale controricorrente San Marco Progetti Srl sarebbe “incorsa in un errore di fatto consistente in un’errata percezione del contenuto
materiale degli atti di causa, che l’ha indotta a decidere sulla base di un falso presupposto di
fatto”; l’errore di fatto sarebbe stato compiuto nella ricostruzione della vicenda, e
precisamente al punto 8.11 della motivazione, del seguente tenore:
” – si è avuto infatti che: una serie di ingentissime obbligazioni contrattuali potrebbe essere
stata assunta liberamente da un’impresa statale in un momento in cui ancora vigeva la piena
responsabilità dello Stato in conformità ai principi del persistente regime c.d. socialista durante il corso dell’esecuzione del contratto – protratta nel tempo -e cioè quando ancora era
possibile, per l’appaltatrice italiana in bonis, quantomeno invocare la generalissima eccezione
inadimplenti non est adimplendum, ed evitare o almeno limitare il rischio dell’ingentissimo
danno di portare a compimento il rigoroso rispetto dei propri obblighi contrattuali senza
conseguire il corrispettivo pattuito, la controparte in bonis ha appunto sospeso la propria
prestazione davanti al rischio di insolvenza della committente; -vi è stata una serie di
dichiarazioni dal tenore testuale forse non del tutto univoco, ma certo non equivocamente
dirette, come reso manifesto dal contesto di sospensioni comunque cautelativamente adottate,
a rassicurare l’appaltatrice sulla sussistenza, a vario titolo, delle condizioni per una sussidiaria
o diretta responsabilità degli evidentemente solvibili corrispondenti enti pubblici ungheresi; – a
seguito di tali dichiarazioni la controparte italiana in bonis si è esposta, rinunciando alla
sospensione unilaterale già attuata, al rischio del completamento delle proprie prestazioni, poi
tramutatosi in danno per scoperta carenza di garanzia di pagamento.
Non ha quindi senso addossare alla San Marco Progetti la prevedibilità dell’effetto negativo
dell’introduzione, quanto si voglia selvaggia o sregolata, delle regole dell’economia di mercato
in un contesto caratterizzato dalla rigidità proprie delle economie pianificate sta taliste di
stampo socialista; né quindi ha senso insistere sull’anteriorità temporale della stipulazione del
contratto rispetto alle condotte prospettate come fonte di responsabilità. Infatti, è proprio nel

rilevato che si difende con controricorso San Marco Progetti Srl in liquidazione;

momento in cui, nel non breve periodo di prolungata esecuzione del contratto e quindi
inevitabilmente dopo la sua stipula, si è manifestato come sempre più concreto il rischio di una
inesecuzione dei propri obblighi di pagamento da parte della committente che si situa la
condotta degli Enti pubblici ungheresi, potenzialmente idonea a determinare il contraente in
bonis italiano a completare la sua prestazione e a rinunciare a quei pochi, ma ancora
sussistenti, strumenti di autotutela ancora azionabili, inducendoli a confidare nella loro
responsabilità per le pregresse obbligazioni proprio nonostante le situazioni di grave crisi,
quando non di vera e propria insolvenza. In un momento in cui il processo di privatizzazione

probabile, prospettare la persistenza della responsabilità dello Stato privatizzante per indurre il
contraente in bonis a portare a termine la sua prestazione è condotta indipendente dalla
cautela dell’appaltatrice (che pure si era estrinsecata, proprio mediante la sospensione della
fornitura) o dalla sua valutazione del processo di privatizzazione: tale condotta influisce
causalmente sulle determinazioni e sulle valutazioni della controparte “vittima” della
privatizzazione ed è, almeno in teoria, idonea a determinarne le scelte successive (la ripresa
della fornitura) in modo poi rivelatosi rovinoso. Nessun processo alla privatizzazione, quindi,
ma a come si è trattato un singolo episodio della stessa in relazione alla posizione di una
singola controparte che stava tentando di neutralizzare almeno in parte gli effetti, per essa
negativi, dell’incombente applicazione delle regole dell’economia di mercato”;
rilevato che dopo avere riportato questo ampio stralcio i ricorrenti sostengono che si desume,
“stando alle valutazioni” di questa Suprema Corte, la responsabilità dei ricorrenti stessi “per
avere con la loro condotta (presunte lettere di patronage), successiva al processo di
privatizzazione, influito causalmente sulla scelta della controparte di riattivare la fornitura
sospesa, con conseguenze irreparabili”; ma sarebbe sfuggito alla Corte giudicante, pur essendo
“di fondamentale importanza per la comprensione dei fatti di causa” quel che i ricorrenti
definiscono “la circostanza” che subito dopo vengono ad illustrare; peraltro, tale circostanza
consiste in un vero e proprio elenco di elementi fattuali:
” – la SACE, ente pubblico italiano, ha garantito, nella misura del 95%, il finanziamento
concesso dalla Morgan Grenfell & C. Co. Limited di Londra all’impresa EC;
il restante 5% (+1% a titolo di interessi) del finanziamento è stato garantito da San Marco
Progetti Srl;
– la San Marco Progetti Srl, in occasione del processo di privatizzazione delle imprese
ungheresi statali, provvedeva, arbitrariamente ed illegittimamente, a sospendere le garanzie
fornite alla Banca inglese, non le forniture di beni come erroneamente ha percepito e riportato
in sentenza la Suprema Corte;

stava per giungere al suo epilogo e l’insolvenza dell’impresa di Stato si palesava come

- dopo la condanna di SACE da parte della Commerciai Court of London al pagamento, in
favore della Morgan Grenfell, delle somme garantite, sul presupposto della loro irrevocabilità,
la San Marco Progetti Srl dovette corrispondere gli importi depositati a garanzia
dell’adempimento alle obbligazioni di EC, ovvero il 5% del totale dell’importo finanziato
corrispondente ad euro 6.593.914,58;
-di conseguenza, adiva il Tribunale di Milano al fine di ottenere la condanna dei convenuti “al
pagamento della somma di euro 6.593.914,58 (corrispondente alla somma escussa dalla banca

risarcimento di tutti i danni” dalla stessa San Marco Progetti sofferti a causa della truffaldina
condotta dei convenuti” “;
rilevato che, dopo avere così indicato –

rectius elencato – “la circostanza” che sarebbe

“sfuggita” a questa Suprema Corte, il ricorso prosegue affermando che “l’oggetto della
domanda attorea è sempre stato, quindi, il rimborso della somma da questi versata nei
confronti della Banca inglese, a titolo di garanzia per il debito contratto dalla EC, a nulla
rilevando la sospensione delle forniture, tra l’altro interamente erogate prima delle vicende di
privatizzazione”; e “la Sentenza Milanese” avrebbe tenuto presente “che le Corti inglesi, le cui
decisioni sono agli atti, hanno ben evidenziato che le garanzie offerte da SACE e SMP non
fossero revocabili”, non considerando quindi la loro impossibile riattivazione:
rilevato che, a seguito di questo, il ricorso si estende in argomentazioni relative
all’accertamento dell’obbligo di pagamento della San Marco Progetti Srl alla banca inglese in
conseguenza delle garanzie prestate in origine per ipotesi d’inadempimento di EC, per
affermare che, “alla luce di ciò” e a prescindere dal significato delle “dichiarazioni unilaterali”
delle Autorità ungheresi, “si palesa l’insussistenza di un nesso causale tra la condotta di
queste, successiva al processo di privatizzazione, e la riattivazione delle garanzie da parte di
San Marco Progetti Sri;
rilevato che, inoltre, “a riprova dell’errata percezione delle vicende e degli atti di causa che
hanno originato il giudizio”, viene poi riportato un ulteriore passo della sentenza di questa

Morgan Grenfell & C. Co. Limited), oltre a rivalutazione ed interessi, nonché in via solidale “al

Suprema Corte, cioè il punto 8.4:
“Vanno allora congiuntamente trattati il primo, il terzo, il quinto ed il settimo motivo, per
l’evidente loro intima connessione; ed alla loro disamina va premessa, ad ogni buon conto,
l’esclusione della rilevanza in Questa sede di un tale “memorandum Scifoni”, più volte citato dai
controricorrenti (e, a quanto consta, prodotto nel giudizio dinanzi alla corte d’appello inglese ed
anzi posto a base della decisione di quest’ultima), visto che di esso non solo non si trascrive il
testo, ma neppure si indica come e quando sarebbe stato sottoposto all’attenzione dei giudici
del merito della presente controversia”: a questo in sostanza ribatte il ricorso affermando che
tale memorandum “corrisponde ad un documento ad uso interno della SACE, indicato

d5

testimoni nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte londinese, più volte richiamato dalle
odierne ricorrenti, unitamente alla sentenza inglese, e posto alla base di essa per la sua
importanza in quanto illustrava perfettamente il sistema delle società statali nei Paesi dell’ex
blocco socialista e, per quello che interessava nel caso di specie la perfetta conoscenza da
parte degli operatori di mercato italiano di SACE e SMP del sistema societario nei paesi ex
socialisti”, per cui “in sostanza, come è del tutto evidente e lo è stato in primo e secondo
grado, non è stato richiamato un documento prodotto, ma dei passi della sentenza inglesi
prodotte (sic) agli atti”; e dal testo della sentenza qui impugnata emerge “l’omessa disamina di

fatti” avrebbe escluso la responsabilità degli Enti ungheresi e il nesso causale tra le lettere
presunte di patronage e la sospensione/riattivazione delle garanzie: quindi, in conclusione, “il
ragionamento stesso fatto dalla Suprema Corte, alla luce dell’errata percezione dei fatti, ma
anche degli atti di causa, conferma la correttezza della pronuncia delle corti di merito” e “in
sostanza la Corte ha supposto che SMP reclamasse il pagamento. di *una fornitura quando in
realtà reclamava il rimborso di una garanzia concessa ad un terzo soggetto in epoca
antecedente alle lettere su cui si fondava la pretesa”;
ritenuto che l’estesa descrizione del contenuto dell’unico motivo del ricorso che si è effettuata
chiaramente dimostra che non è stato identificato uno specifico errore di fatto (o alcuni
determinati errori di fatto) nella sentenza impugnata, al contrario utilizzando il mezzo di
impugnazione di cui all’articolo 395 n.4 c.p.c. per ottenere un quarto grado di giudizio: il passo
8.11 della motivazione in cui sarebbe stato travisata “la circostanza” (che, come si è visto,
consiste in realtà in un elenco di una serie di elementi) costituisce non la dichiarazione della
sussistenza di un fatto né la dichiarazione della insussistenza di un fatto (o fatti) bensì una
valutazione argomentativa in ordine alla incidenza della privatizzazione in Ungheria
nell’abbandono del c.d. sistema socialista (privatizzazione che non è stata certo oggetto di
travisamento) sulle scelte di San Marco Progetti Srl in ordine all’esercizio o meno degli
strumenti di autotutela ancora azionabili: e al riguardo, comunque, non hanno attinenza i fatti
che costituiscono l’elenco della “circostanza sfuggita”;
rilevato che, poi, l’ulteriore passo 8.4 che viene successivamente richiamato altro non è che la
qualificazione in jure di non autosufficienza del controricorso in ordine a un documento citato;
e peraltro questo passo non viene riportato come quello in cui vi sarebbe stato il travisamento
di un determinato fatto ex articolo 395 n.4 c.p.c., bensì “a riprova dell’errata percezione delle
vicende e degli atti di causa che hanno originato il giudizio”;
rilevato, quindi, che il ricorso è inammissibile, in quanto è pienamente evidente che non
denuncia, in realtà, l’erronea percezione oggettiva di un fatto (o di fatti), bensì investe e
coinvolge l’attività valutativa del giudicante, pervenendo in tal modo a prospettare un errore di
giudizio (cfr. ex multis Cass. sez. L, 5 aprile 2017 n. 8828; Cass. sez. 1, 27 marzo 2017 n.

detti documenti fondamentali per la decisione della causa”, in cui la “corretta valutazione dei

7778; Cass. sez. 1, 26 settembre 2013 n. 22080; Cass. sez. 2, ord. 12 maggio 2011 n. 10466;
Cass. sez. L, 3 aprile 2009 n. 8180; Cass. sez. L, 15 gennaio 2009 n. 844; Cass. sez. 1, 19
giugno 2007 n. 14267);
ritenuto che alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna, in solido per il comune
interesse processuale, dei ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del grado, come
liquidate in dispositivo;
ritenuto che sussistono ex articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012 i presupposti per il

quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando solidalmente i ricorrenti a rifondere alla
controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi C 13.300, oltre a C 200 per gli
esborsi e al 15% per spese generali, nonché agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis’ dello stesso
articolo 13.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2017

Il Presidente

versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a

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