Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4521 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 20/10/2021, dep. 11/02/2022), n.4521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8878/2014 R.G. proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E. Q.

VISCONTI 20, presso lo studio dell’Avv. RENZO RISTUCCIA, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA’ E BORSA – con domicilio

eletto presso la propria sede in ROMA, V. G. B. MARTINI n. 3,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA LETIZIA ERMETES,

ANTONELLA VALENTE, MICHELA DINI, e PAOLO PALMISANO, giusta procura

speciale a margine del controricorso e procura speciale spillata

alla memoria 12.10.2021 di nomina di nuovo difensore.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5276/13

depositata il 20/11/2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/10/2021 dal

Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso “accoglimento del ricorso per quanto

di ragione con particolare riferimento al secondo e al terzo motivo

di doglianza”;

uditi gli avvocati RISTUCCIA, per il ricorrente, e VALENTE, DINI e

PALMISANO per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il sig. B.D. ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma che ha rigettato l’opposizione da lui proposta avverso la Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, avente ad oggetto l’irrogazione a suo carico di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (di seguito: T.U.F.).

2. Con la suddetta Delib. la CONSOB aveva adottato nei confronti del medesimo sig. B. (socio e consigliere di amministrazione della società FMR Art’e’) le seguenti misure:

a) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di Euro 200.000 in relazione all’illecito di cui all’art. 187 bis T.U.F. (nel testo, cui da ora in poi si farà riferimento, anteriore alle modifiche recate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107), comma 1, lett. a), con riguardo all’acquisto di 30.000 azioni FMR Art’e’, dal medesimo effettuato tra il (OMISSIS) sulla base del possesso dell’informazione privilegiata relativa all’imminente lancio di una offerta pubblica di acquisto (di seguito: o.p.a.) per delisting su tale società, da lui stesso promossa insieme con altri due soci della stessa FMR Art’e’;

b) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all’illecito di cui all’art. 187 bis, comma 1, lett. c), T.U.F., per aver il ricorrente indotto la sig.ra R.L. a comprare azioni della medesima società FMR Art’e’;

c) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di Euro 50.000 in relazione all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. a causa del comportamento dilatorio tenuto dal ricorrente, il quale, dopo aver più volte rinviato la data dell’audizione cui era stato convocato in qualità di persona informata dei fatti, si era poi rifiutato di rispondere alle domande a lui poste;

d) aveva applicato la sanzione accessoria della perdita temporanea dei requisiti di onorabilità prevista dall’art. 187 quater, comma 1, T.U.F., per la durata di 18 mesi;

e) aveva disposto la confisca per equivalente del profitto e dei mezzi usati per ottenerlo ai sensi dell’art. 187 sexies T.U.F., fino alla concorrenza dell’importo di Euro 149.760.

3. Il ricorso per cassazione si articola in tre motivi, rispettivamente riferiti alle statuizioni della sentenza gravata di seguito indicate:

– con il primo mezzo si censura la statuizione che ha disatteso l’impugnativa della sanzione irrogata dalla CONSOB – ai sensi dell’art. 187 bis, comma 1, lett. c), T.U.F. – per aver il ricorrente indotto la signora R.L. a comprare azioni della società FMR Art’e’;

– con il secondo mezzo si censura la statuizione che ha disatteso l’impugnativa avverso la sanzione irrogata dalla CONSOB – ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. – per avere il ricorrente ostacolato l’attività ispettiva della CONSOB;

– con il terzo mezzo si censura la statuizione che ha disatteso l’impugnativa avverso la confisca per equivalente – ai sensi dell’art. 187 sexies T.U.F. – del profitto ritratto dal ricorrente dalle operazioni di trading effettuate sulla base del possesso dell’informazione privilegiata, nonché dei mezzi usati per ottenerlo.

4. La CONSOB ha depositato controricorso.

5. La causa è stata discussa per la prima volta alla pubblica udienza del 13 aprile 2017 al cui esito il Collegio – riconvocatosi il 15 ottobre 2017 e, nuovamente, il 24 gennaio 2018 – ha sollevato, con l’ordinanza n. 3831 del 16 febbraio 2018, due questioni di legittimità costituzionale:

– la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. b) – nella parte in cui detto articolo sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l’esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate – in relazione agli artt. 24,111 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’art. 6 CEDU e con riferimento all’art. 14, comma 3, lett. g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881, nonché in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento all’art. 47 CDFUE;

– la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F., introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. a) – nella parte in cui esso assoggetta a confisca per equivalente non soltanto il profitto dell’illecito ma anche i mezzi impiegati per commetterlo, ossia l’intero prodotto dell’illecito – in relazione agli artt. 3,42 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nonché agli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento agli artt. 17 e 49 CDFUE.

6. Sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. la Corte costituzionale – all’esito di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE dalla stessa proposto con l’ordinanza n. 117 del 10 maggio 2019, definito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea con la sentenza 2 febbraio 2021 in causa C-481/19 – si è pronunciata con la sentenza n. 84 del 30 aprile 2021, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. b), nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Nei medesimi termini la Corte costituzionale ha altresì dichiarato in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 187 quinquiesdecies T.U.F. anche nel testo modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 24, comma 1, lett. c), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, e nel testo modificato dal D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129, art. 5, comma 3.

7. Sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F. la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 112 del 10 maggio 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. a), nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto. Nei medesimi termini la Corte costituzionale ha altresì dichiarato in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 187 sexies T.U.F. anche nella versione risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107, art. 4, comma 14.

8. In esito alle suddette sentenze della Corte costituzionale nn. 112/2019 e 84/2021 la causa è stata nuovamente chiamata davanti a questa Corte alla pubblica udienza del 20 ottobre 2021.

9. Il 30 settembre 2021 il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato una requisitoria scritta rassegnando le seguenti conclusioni: “accoglimento del ricorso per quanto di ragione con particolare riferimento al secondo e al terzo motivo di doglianza”.

10. Il 13 ottobre 2021 la CONSOB ha depositato la propria Delib. 5 dicembre 2019, n. 21177, di annullamento, “limitatamente alla parte eccedente la somma di Euro 20.584,93 corrispondente al profitto dell’illecito”, del capo della Delib. oggetto del presente giudizio con cui era stata disposta la confisca di beni del sig. B. per Euro 149.760.

11. Nella memoria successivamente depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la stessa CONSOB ha quindi concluso per il rigetto dei primi due mezzi di ricorso e la declaratoria di inammissibilità del terzo mezzo per sopravvenuta carenza di interesse.

12. Il ricorrente ha a propria volta depositato una memoria ex art. 378 c.p.c., nella quale ha insistito per l’accoglimento di tutti i motivi di ricorso, altresì evidenziando la necessità di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio per tutti gli illeciti per i quali è stato sanzionato, alla stregua della retroattività della lex mitior sopravvenuta (D.Lgs. n. 72 del 2015, poi seguito dal D.Lgs. n. 107 del 2018), giusta il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 21 marzo 2019.

12.1. Per quanto specificamente concerne l’applicabilità retroattiva del trattamento sanzionatorio più favorevole all’illecito indicato nella lettera a) del paragrafo 2 che precede, il ricorrente evoca il principio affermato da questa Suprema Corte con la sentenza n. 20697/2018 – che lo ius superveniens più favorevole deve trovare applicazione d’ufficio in sede di legittimità, anche nei giudizi nei quali la quantificazione della sanzione operata nell’ordinanza sanzionatoria non sia stata specificamente impugnata o nei quali la relativa impugnazione sia stata rigettata in primo grado con statuizione non appellata o sia stata rigettata in secondo grado con decisione non gravata di ricorso per cassazione.

13. Nella pubblica udienza del 20 ottobre 2021 le parti hanno discusso oralmente ed il Procuratore Generale ha concluso in conformità alla requisitoria scritta depositata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

14. Con il primo motivo, riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 septies T.U.F., da interpretare alla luce dell’art. 6 CEDU, in cui la corte d’appello sarebbe incorsa disattendendo l’eccezione con cui egli aveva lamentato come la CONSOB lo avesse sanzionato, ai sensi dell’art. 187 bis, lett. c), T.U.F. per un fatto (la raccomandazione alla signora R. di acquistare azioni FMR Art’e’) diverso da quello originariamente contestatogli (la trasmissione alla signora R. dell’informazione privilegiata relativa al prossimo lancio di un’OPA sulla società FMR Art’e’). In proposito il ricorrente puntualizza che, con l’originario atto di contestazione del 13 maggio 2011, gli era stata addebitata la violazione dell’art. 187 bis, lett. b) T.U.F., che punisce chi comunica ad altri informazioni privilegiate al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio (c.d. tipping); l’impugnato provvedimento sanzionatorio, per contro, lo aveva riconosciuto responsabile della violazione della lettera c) dell’art. 187 bis T.U.F., che punisce chi raccomanda o induce altri, sulla base di una informazione privilegiata, al compimento di operazioni su strumenti finanziari (c.d. tuyautage). In tal modo, secondo il ricorrente, sarebbe stato violato il principio di corrispondenza tra contestazione e sanzione sancito dall’art. 187 septies del T.U.F., da interpretare anche alla luce dell’art. 6 CEDU, là dove esso prescrive che l’irrogazione delle sanzioni avvenga “previa contestazione degli addebiti agli interessati”.

15. Il motivo è fondato.

16. E’ pacifico che:

– nell’atto di contestazione (lettera del 13 maggio 2011) la CONSOB aveva fatto riferimento alla violazione dell’art. 187 bis, comma 1, lett. b) T.U.F., per avere il sig. B. “comunicato a R.L., al di fuori dell’esercizio delle funzioni dell’attività lavorativa la suddetta informazione” sul progetto di o.p.a. sulle azioni FMR Art’e’ (il virgolettato è uno stralcio dell’atto di contestazione, debitamente trascritto a pag. 5 del ricorso per cassazione nel rispetto del principio di specificità dell’impugnazione);

– il sig. B. non è stato sanzionato per la violazione dell’art. 187 bis, comma 1, lett. b) T.U.F. bensì per la violazione dell’art. 187 bis, comma 1, lett. c) T.U.F., ossia per avere raccomandato alla sig.ra R. di porre in essere operazioni su titoli oggetto di informazione privilegiate; nell’atto di accertamento allegato alla Delib. sanzionatoria si legge infatti che la CONSOB ha ritenuto “di qualificare il comportamento posto in essere dal sig. B. nel caso di specie come un tuyautage (raccomandazione ad altri di porre in essere operazioni su titoli oggetto di informazioni di natura privilegiata) e non come tipping (comunicazione, al di fuori del normale esercizio del lavoro, di informazioni di natura privilegiata) e, pertanto, ha ritenuto accertata la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 bis, comma 1, lett. c)” (il virgolettato è uno stralcio dell’atto di accertamento, debitamente trascritto a pag. 7 del ricorso per cassazione nel rispetto del principio di specificità dell’impugnazione).

17. La Corte d’appello ha fondato il rigetto del motivo di opposizione con cui il sig. B. aveva denunciato la mancata corrispondenza tra l’illecito, contestatogli, di aver trasmesso alla sig.ra R. una informazione privilegiata e l’illecito, per il quale è stato sanzionato, di avere raccomandato alla sig.ra R. di acquistare azioni FMR Art’e’ sul rilievo che la CONSOB non avrebbe “azionato un fatto nuovo diverso rispetto a quello originariamente contestato” ma si sarebbe limitata “a qualificare diversamente la stessa condotta già considerata senza, pertanto, incorrere in alcuna violazione dei diritti di difesa” (pag. 6 della sentenza impugnata, penultimo capoverso).

18. La suddetta affermazione risulta affetta dal denunciato vizio di violazione di legge in quanto, obliterando la differenza tra le fattispecie sanzionatorie definite, rispettivamente, dalla lettera b) e dell’art. 187 bis, comma 1, lett. c) T.U.F., non coglie l’illegittimità della sanzione irrogata per l’illecito di cui dell’art. 187 bis, comma 1, lett. c) T.U.F. per difetto della previa contestazione del medesimo. Non è pertinente il richiamo della Corte distrettuale al principio che il mutamento dei termini della contestazione non è causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio, qualora riguardi soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento (oltre a Cass. n. 6638/2007, citata nella sentenza impugnata, si vedano Cass. n. 7262/1990, Cass. n. 6838/1995, Cass. n. 6408/1996, nonché, più di recente, Cass. n. 4725/2016 e Cass. n. 24082/2021). Nella specie, infatti, è proprio la materialità del fatto storico contestato (aver trasmesso alla sig.ra R. l’informazione privilegiata del prossimo lancio di un’o.p.a. sulle azioni FMR Art’e’) ad essere diversa dalla materialità del fatto storico per cui il sig. B. è stato sanzionato (aver raccomandato alla sig.ra R. l’acquisto di azioni FMR Art’e’).

19. Ne’ a diversa conclusione possono indurre le argomentazioni dispiegate nel controricorso della CONSOB.

20. Sotto un primo profilo va evidenziata la non pertinenza al caso di specie del richiamo della controricorrente al principio che l’accertamento del fatto contestato, anche ai fini della correlazione tra lo stesso e quello per cui è stata irrogata la sanzione, rientra tra i compiti del giudice di merito, le cui conclusioni risultano insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate (Cass. 1876/2000, Cass. 9790/2011, Cass. 18883/2017). La Corte di appello, infatti, non ha motivato la propria decisione sull’assunto che la condotta oggetto della contestazione rivolta dalla CONSOB al sig. B. – seppur giuridicamente qualificata con erroneo riferimento alla lett. b), invece che alla lett. c), dell’art. 187 bis T.U.F. – risultasse tuttavia descritta, nella sua materialità, come raccomandazione all’acquisto di azioni FMR Art’e’, invece che come comunicazione dell’informazione relativa all’imminente lancio di un’o.p.a. su dette azioni. L’affermazione secondo cui la CONSOB non avrebbe “sanzionato un fatto nuovo o diverso rispetto a quello originariamente contestato” (pag. 6, penultimo capoverso, della sentenza) non nasce, cioè, da un raffronto fra la descrizione della condotta materiale contestata e la descrizione della condotta materiale sanzionata e dalla constatazione che tali descrizioni erano sovrapponibili, ad onta della diversità delle qualificazioni giuridiche alle stesse attribuite nell’atto di contestazione e nel provvedimento sanzionatorio. La suddetta affermazione, al contrario, nasce dall’accertamento della “esistenza di una precisa connessione tra il pacifico consolidato rapporto fiduciario e di lavoro intercorrente tra il B. e la R. e l’acquisto da parte di quest’ultima di un consistente numero di azioni FMR nel periodo precedente la presentazione dell’offerta pubblica” (pag. 7, terzultimo capoverso, della sentenza). Quest’ultimo assunto disvela l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte distrettuale, ossia quello di assimilare in una fattispecie sostanzialmente unitaria le condotte sanzionate nella lett. b) e nella lett. c) dell’art. 187 bis T.U.F..

21. L’errore appena evidenziato nel ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata è altresì ravvisabile, in termini del tutto analoghi, nel controricorso della CONSOB, là dove, dopo la rievocazione dei fatti sulla cui base la Corte capitolina ha ritenuto accertata la responsabilità del sig. B. per aver raccomandato alla sig.ra R. l’acquisto di azioni FMR Art’e’ (rassegnati nella pagina 8 della sentenza gravata: gli stretti rapporti di collaborazione professionale tra il sig. B. e la sig.ra R., l’estraneità di quest’ultima alla compagine sociale di FMR Art’e’, la collocazione temporale dell’acquisto azionario da lei effettuato, il fatto che ella non avesse mai precedentemente acquistato azioni FMR Art’e’, l’elevato peso dell’investimento in azioni FMR Art’e’ sul patrimonio complessivo dalla sig.ra R. stessa) si sostiene che “gli argomenti fattuali su cui a giudizio della Corte territoriale si è fondato l’accertamento dell’illecito addebitato al ricorrente… non sono mai stati modificati nel corso del procedimento sanzionatorio, nonostante l’intervenuta modificazione della loro qualificazione giuridica” (pag. 13, penultimo capoverso, del controricorso) e si afferma che la condotta contestata e la condotta sanzionata al sig. B. non sarebbero diverse ed incompatibili, “unico essendo il nucleo fattuale posto a base della contestazione della sanzione (ovverosia gli acquisti anomali di azioni FMR Art’e’, posti in essere da parte di una dipendente della società, del tutto inesperta di investimenti finanziari, che non era compresa tra coloro che avevano conoscenza del progetto di o.p.a. ma che aveva frequenti occasioni di contatto con il sig. B., nonché uno stretto rapporto fiduciario con il medesimo)”. Tale argomentazione si risolve nella sovrapposizione tra il fatto integrante l’illecito – oggetto di contestazione (prima) e di sanzione (poi) – ed il complesso dei fatti costituenti il compendio indiziario da cui desumere la sussistenza del fatto integrante l’illecito; sovrapposizione che va giudicata erronea, perché la materialità storica del fatto illecito, prima contestato (comunicazione dell’informazione privilegiata relativa all’imminente o.p.a. sui titoli FMR Art’e’) e poi sanzionato (raccomandazione di acquisto di titoli FMR Art’e’), non si identifica con il complesso dei fatti posti a base del relativo accertamento induttivo.

22. Sotto un secondo profilo, non possono condividersi i rilievi svolti a pag. 15 del controricorso della CONSOB in ordine alla circostanza che la riqualificazione dell’illecito in termini di tuyautage invece che di tipping non avrebbe in alcun modo leso il diritto di difesa del sig. B., giacché quest’ultimo, nell’ambito del procedimento sanzionatorio amministrativo, non si è avvalso della facoltà di presentare deduzioni difensive, mentre nell’ambito del giudizio di opposizione all’ordinanza sanzionatoria si è effettivamente e compiutamente difeso, davanti alla Corte d’appello di Roma e in sede di ricorso per cassazione, sui fatti a lui addebitati e sulla nuova qualificazione giuridica agli stessi attribuiti nella Delib. sanzionatoria.

23. Osserva al riguardo il Collegio che il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 20935/2009 (successivamente seguita dalle sentenze n. 27038/2013, n. 24048/15, n. 8210/2016, n. 8046/2019 e altre), che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo sanzionatorio svoltosi dinanzi alla CONSOB ed alla Banca d’Italia presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso non può ritenersi operante quando la lesione del diritto al contraddittorio derivi dalla mancata identità tra fatto contestato e fatto sanzionato, ossia, in ultima analisi, dalla violazione della regola legale della “previa contestazione degli addebiti agli interessati” (art. 187 septies, comma 1 e art. 195, comma 1, del T.U.F.).

24. Nella stessa sentenza delle Sezioni Unite n. 20935/2009, infatti, si chiarisce che “contenuti coessenziali alla contestazione risultano, in quella fase (quella amministrativa, n.d.r.), l’indicazione dei fatti rilevati, la loro qualificazione in termini di illecito, l’imputazione dell’illecito integrato da tali fatti al responsabile” (pag. 35/36); si evidenzia che “il contraddittorio – e il diritto di difesa – nella fase amministrativa prodromica all’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione resta incentrato sul fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale” (pag. 36); si sottolinea infine, evocando anteriori pronunce di questa Corte, come “a base del provvedimento, l’autorità procedente abbia l’obbligo di porre il nucleo del fatto contestato inteso nella sua fenomenologia obbiettiva e subbiettiva e non anche nella definizione giuridica ivi conferitagli” (pag. 37).

25. Tali principi erano presenti già nella giurisprudenza precedente (cfr. Cass. 10145/2006, dove si affermava che “In tema di sanzioni amministrative, sussiste la violazione del precetto posto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14 – per il quale deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata – tutte le volte in cui la sanzione venga irrogata per una fattispecie, individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma, che sia diversa da quella attribuita al trasgressore in sede di contestazione, posto che solo in tali casi viene leso il diritto di difesa del trasgressore medesimo”) e sono stati ribaditi ancora in Cass. 9790/1011 e, più di recente, in Cass. 18883/2017, nelle quali si evidenzia come il diritto di difesa del trasgressore risulti leso tutte le volte in cui una sanzione amministrativa venga comminata per una fattispecie individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma – diversa da quella al medesimo attribuita in sede di contestazione. Del resto, un’interpretazione del sistema che consentisse di mantenere fermi gli effetti di un provvedimento sanzionatorio adottato per un illecito diverso da quello contestato risulterebbe palesemente distonica con la disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., alla cui stregua “l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto”; la deviazione dalle regole legali del procedimento sanzionatorio rappresentata dall’omissione della contestazione è infatti evidentemente più grave di quella rappresentata dalla mera intempestività della stessa. In coerenza con questa prospettiva, d’altronde, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di sanzioni amministrative, l’Amministrazione che, a seguito dell’accoglimento anche solo parziale delle contestazioni svolte dall’interessato in sede amministrativa, riformuli il fatto medesimo, è tenuta, “a pena l’illegittimità dell’ordinanza ingiunzione per vizio del relativo procedimento” a disporre una nuova notifica degli estremi della violazione al trasgressore (così Cass. 25253/2006, che, pur collegando tale affermazione alla finalità di consentire al trasgressore di avvalersi della facoltà di estinguere l’illecito mediante il pagamento in misura ridotta, esprime, tuttavia, una regola di carattere evidentemente generale).

26. Va dunque in definitiva affermato il seguente principio di diritto: “In materia di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (T.U.F.), il principio che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo sanzionatorio svoltosi dinanzi alla CONSOB ed alla Banca d’Italia presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso non opera quando la lesione del diritto al contraddittorio derivi dalla mancata identità tra fatto contestato e fatto sanzionato; la violazione della regola legale della previa contestazione dell’illecito per il quale sia stata emessa una sanzione amministrativa e’, infatti, di per sé stessa lesiva del diritto di difesa e determina ex se l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, per violazione di legge (art. 187 septies, comma 1 e art. 195, comma 1, del T.U.F.)”.

27. Si tratta, è opportuno precisare, di un profilo di illegittimità interna, per violazione di legge, e non di un profilo di illegittimità convenzionale, per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Come infatti questa Corte non ha mancato di precisare, la garanzia del giusto processo ex art. 6 CEDU – che deve essere assicurata anche nei procedimenti applicativi di sanzioni amministrative per gli abusi di mercato, come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia – risulta comunque assicurata dalla possibilità di proporre opposizione al provvedimento sanzionatorio emesso dalla CONSOB davanti alla Corte d’appello, così sottoponendolo ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle prescrizioni della Convenzione (cfr. Cass. n. 770/2017, Cass. n. 3734/20 18).

28. Un’ultima precisazione e’, tuttavia, necessaria. Nella già citata sentenza n. 20935/2009 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che i precetti costituzionali concernenti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice, e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, pertanto, non trova copertura negli artt. 24 e 111 Cost.. Tali principi sono stati più volte ribaditi nella giurisprudenza di legittimità, sia in materia di contraddittorio nel procedimento tributario, in Cass. SSUU n. 24823/2015, sia con riferimento al procedimento sanzionatorio della CONSOB, in Cass. n. 8046/2019, sia con riferimento al procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia, in Cass. n. 16517/2020.

29. La citata sentenza n. 8046/2019 si è altresì specificamente soffermata sulla legittimità della disciplina del procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB in materia di violazioni finanziarie (nella conformazione anteriore alle modifiche introdotte dalla Delib. CONSOB 29 maggio 2015, n. 19158), in relazione alla disposizione di cui all’art. 195, comma 2, T.U.F.. Tale ultima disposizione – del tutto analoga quella dettata dell’art. 187 septies, comma 2, T.U.F. con riferimento al procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB in materia di abusi di mercato – stabilisce che il procedimento per l’applicazione delle sanzioni previste dal T.U.F. di competenza della CONSOB e della Banca d’Italia sia “retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie”.

29.1. La suddetta sentenza n. 8046/2019 prende le mosse dalla distinzione tracciata nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/2015 tra il contraddittorio di matrice processuale, “orizzontale e paritario (contraddittorio tra due parti in posizioni di parità rispetto ad un decidente terzo e imparziale), con il riconoscimento del diritto, in capo al soggetto interessato, di interloquire in ogni fase del procedimento” e il contraddittorio procedimentale, che si svolge nell’ambito dei procedimenti amministrativi, “normalmente di tipo verticale (contraddittorio tra l’interessato sottoposto e l’Amministrazione titolare del potere e collocata, quindi, su un piano non paritario)” con funzione essenzialmente collaborativa e partecipativa, piuttosto che difensiva (i virgolettati sono tratta da Cons. Stato n. 1596/2015, p. 27); sulla scorta di tale premessa, Cass. n. 8046/2019 afferma che le garanzie del contraddittorio previste nel procedimento sanzionatorio della CONSOB sono da ricondurre al livello proprio del contraddittorio procedimentale e non al livello del contraddittorio di matrice processuale, di tipo orizzontale. Questo orientamento interpretativo (successivamente ripreso in Cass. 23814/2019 e in Cass. 24081/2019) richiama, come è stato osservato in dottrina, uno dei modelli di procedimento delineati dalla L. n. 241 del 1990, piuttosto che il modello di procedimento ricavabile dalla L. n. 689 del 1981, valorizzando il nesso di strumentalità tra la funzione sanzionatoria e la funzione di vigilanza. In questa prospettiva i provvedimenti sanzionatori rappresentano un esito possibile degli interventi di vigilanza – tanto regolamentare quanto informativa e ispettiva – correlati e coordinati con l’insieme dei poteri della CONSOB e della Banca d’Italia, secondo un approccio integrato di vigilanza idoneo ad assicurare l’effettività delle regole che presidiano il settore. Donde la vis attractiva di regole e principi propri dell’attività di amministrazione attiva (ossia, appunto, dell’amministrazione di vigilanza) nell’ambito della sistematica dei procedimenti sanzionatori delle menzionate Autorità.

30. Pur nella cornice della suddetta impostazione, tuttavia, questa Corte non ha mancato di sottolineare che, nel procedimento sanzionatorio della CONSOB, la garanzia del contraddittorio endo-procedimentale fissata nell’art. 195 T.U.F. (e, va aggiunto, nell’art. 187 septies T.U.F.) ancorché non postuli né la necessità della trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, né la personale audizione dell’interessato innanzi alla Commissione – tuttavia richiede, per potersi ritenere soddisfatta, che “prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato” (così Cass. 8046/2019, pagg. 12 e 13). La giurisprudenza in esame, in sostanza, ha ritenuto sussistere, pur all’interno della cornice concettuale delineata nel paragrafo precedente, un nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale, individuato proprio nella contestazione dell’addebito e nella valutazione delle controdeduzioni dell’interessato.

31. Il Collegio condivide tale orientamento, giacché la corretta identificazione delle caratteristiche del contraddittorio che, ai sensi dell’art. 195, comma 2 T.U.F. e dell’art. 187 septies, comma 2 T.U.F., deve caratterizzare i procedimenti per l’applicazione delle sanzioni di competenza della CONSOB e della Banca d’Italia non può che emergere da un bilanciamento tra il riconoscimento della forte connessione che il nostro ordinamento instaura tra la funzione sanzionatoria e la funzione di vigilanza, da un lato, e il riconoscimento che la garanzia del contraddittorio procedimentale è comunque funzionale a tutelare, già nella sede amministrativa, anche un interesse proprio del cittadino, connesso allo status di incolpato, e che la protezione di tale interesse non può essere interamente rinviata alla fase della opposizione giurisdizionale al provvedimento sanzionatorio.

32. Deve quindi conclusivamente affermarsi che la consolidata configurazione del giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative come giudizio sul rapporto e non sull’atto (cfr. Cass. SSUU 1786/2010 in materia di violazioni del C.d.S., ripresa, in materia di violazioni finanziarie, da Cass. 12503/2018) non autorizza la totale obliterazione del controllo di legittimità del provvedimento sanzionatorio sotto il profilo del rispetto delle garanzie endo-procedimentali, come se l’atto amministrativo applicativo della sanzione non fosse altro che lo strumento per deferire il rapporto sanzionatorio alla cognizione, piena e libera, del giudice. Se infatti la possibilità di recuperare talune garanzie in sede di giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative consente di adottare, in aderenza al pragmatico principio della strumentalità delle forme, una lettura sostanzialistica (della tutela del) del diritto al contraddittorio endo-procedimentale, in coerenza con gli approdi della giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. CGEU 3 luglio 2014, C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, p. 82, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa nell’ambito di un procedimento amministrativo sanzionatorio determina l’annullamento dell’atto adottato al termine di tale procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di detta violazione, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26 settembre 2013 in causa C-418/11, Texdata Software e, più di recente, la sentenza 4 giugno 2020 in causa C-430/19 SC C.F. s.r.l.), la violazione del nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale a cui si è fatto cenno alla fine del precedente paragrafo 30 – contestazione dell’addebito e valutazione delle controdeduzioni dell’interessato – non può che comportare di per se stessa la caducazione del provvedimento sanzionatorio illegittimamente emesso; diversamente, infatti, risulterebbe totalmente svalutato, prima ancora che il presidio delle garanzie procedimentali, lo stesso ruolo delle Autorità indipendenti e il senso della procedimentalizzazione della loro attività.

33. Va pertanto enunciato il seguente, ulteriore, principio di diritto: “In materia di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), la configurazione del giudizio di opposizione come giudizio sul rapporto e non sull’atto non autorizza la totale obliterazione del controllo di legittimità del provvedimento sanzionatorio sotto il profilo del rispetto delle garanzie endo-procedimentali fissate dagli artt. 187 septies e 195 T.U.F.; in particolare, la violazione del nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale rappresentato dalla contestazione dell’addebito e dalla valutazione delle controdeduzioni dell’interessato impone di per se stessa l’annullamento del provvedimento sanzionatorio illegittimamente emesso”.

34. Alla stregua dei principi di diritto espressi nei paragrafi 26 e 33 che precedono, la sentenza gravata va cassata nella parte in cui ha disatteso l’opposizione del sig. B. alla Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, nel capo relativo alla irrogazione della sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all’illecito di cui all’art. 187 bis, comma 1, lett. c), T.U.F., per l’induzione della sig.ra R.L. all’acquisto di azioni della società FMR Art’e’. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p.; il provvedimento sanzionatorio adottato con la suddetta Delib. della CONSOB va dunque senz’altro annullato in parte qua.

35. Col secondo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 octies T.U.F., comma 3, lett. c), e comma 7, nonché dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., da interpretare alla luce dei principi costituzionali e dell’art. 6 CEDU, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa rigettando l’impugnativa avverso la sanzione di Euro 50.000 irrogatagli per avere ostacolato l’attività ispettiva della CONSOB, differendo immotivatamente la data dell’audizione cui era stato convocato in qualità di persona informata dei fatti e poi rifiutandosi di rispondere alle domande. Nel mezzo di ricorso si argomenta che la sanzione irrogata al B. sarebbe incompatibile col principio “nemo tenetur se detegere”, anche in ragione del rilievo che le dichiarazioni rese nel corso di tale audizione possono essere trasmesse al Pubblico Ministero, qualora vengano ravvisati gli estremi di una condotta penalmente rilevante (art. 187 decies, comma 2). Ad avviso del ricorrente, la previsione dell’obbligo di presentarsi all’audizione e, ivi, di rendere dichiarazioni, dietro la comminatoria di una sanzione rilevante, integrerebbe una violazione dell’art. 6 CEDU e dei principi del giusto processo recepiti all’art. 111 Cost.. A chiusura del motivo di ricorso il ricorrente ha prospettato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 187 octies e 187 quinquiesdecies, per il caso non se ne ritenga possibile una interpretazione conforme alla Costituzione, in riferimento agli artt. 3,24,111 e 117 Cost. e 6CEDU, “nella misura in cui il primo non prevede l’applicazione degli artt. 61,63 c.p.p. e art. 198 c.p.p., comma 2, ed il secondo contempli una sanzione amministrativa per il soggetto sottoposto ad indagini CONSOB che rifiuti di fornire risposte suscettibili di utilizzazione in sede penale e comunque in sede di applicazione di gravi sanzioni amministrative”.

36. Come riferito nel precedentemente paragrafo 6, l’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. – sul quale si fonda la sanzione confermata dalla Corte di appello con la statuizione censurata con il motivo di ricorso in esame – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, con la sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Tale declaratoria di illegittimità costituzionale fa seguito, come pure riferito nel precedente paragrafo 6, alla sentenza CGUE 2.2.2021, in causa C-481/19, con cui i giudici di Lussemburgo hanno dato risposta ai quesiti – uno di interpretazione ed uno di validità – che la Corte costituzionale aveva posto loro con il rinvio pregiudiziale disposto con l’ordinanza n. 117/2019.

37. Nella menzionata sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia, in primo luogo, afferma che la garanzia per le persone fisiche di serbare il silenzio in procedimenti amministrativi, quale quello attivato dalla CONSOB per l’illecito di informazioni privilegiate, trova fondamento negli artt. 47, par. 2, e 48 della CDFUE (p. 45); sulla scorta di tale premessa, esamina gli artt. 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e 30, par. 1, lett. b), del regolamento n. 596/2014, con l’obiettivo di “verificare se tali disposizioni del diritto derivato dell’Unione si prestino ad essere interpretate in conformità al suddetto diritto al silenzio” (p. 49); ribadisce, in continuità con la propria precedente giurisprudenza, che “secondo un principio ermeneutico generale, un testo del diritto derivato dell’Unione deve essere interpretato, per quanto possibile, in un modo che non pregiudichi la sua validità e in conformità con l’insieme del diritto primario e, segnatamente con le disposizioni della Carta. Così, qualora un testo siffatto si presti a più di un’interpretazione, occorre preferire quella che rende la disposizione conforme al diritto primario anziché quella che porta a constatare la sua incompatibilità con quest’ultimo” (p. 50); privilegia, infine, tra le diverse possibili interpretazioni delle disposizioni di cui all’art. 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e art. 30, par. 1, lett. b), del regolamento n. 596/2014 quella che non si pone in contrasto con il diritto al silenzio tutelato dalle norme parametro della CDFUE, concludendo, quindi, che tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale. Nella trama argomentativa della sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia si fa carico di perimetrare l’esatta portata del diritto al silenzio garantito dalla CDFUE, sottolineando come esso non possa giustificare “qualsiasi omessa collaborazione con le autorità competenti, qual è il caso di un rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità o di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa” (p. 41).

38. La sentenza C. Cost. n. 84/2021, ponendosi in piena sintonia con la pronuncia della Corte di giustizia, riconosce l’esistenza di un diritto al silenzio – nell’ambito di procedimenti amministrativi funzionali a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, che siano suscettibili di sfociare in sanzioni amministrative di carattere punitivo – fondato, “assieme, sull’art. 24 Cost., sull’art. 6 CEDU e sugli artt. 47 e 48 CDFUE, questi ultimi nell’interpretazione che ne ha ora fornito la Corte di giustizia; e (che, n.d.r.) può essere ricavato altresì dall’art. 14, paragrafo 3, lett. g), PIDCP” (p. 3.5 del Considerato in diritto, secondo capoverso).

39. A differenza della Corte di giustizia, tuttavia, la Corte costituzionale non ha pronunciato una sentenza interpretativa di rigetto ma ha privilegiato la soluzione della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale (oltre che consequenziale, giacché ha esteso la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. anche al testo della disposizione risultante dalle modifiche recate dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 24, comma 1, lett. “c”, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, nonché al testo risultante dalle notifiche recate dal D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129, art. 5, comma 3). La sentenza C. Cost. n. 84/2021 risulta, infatti, una sentenza manipolativa, in quanto, nel testo della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale (“chiunque non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l’esercizio delle sue funzioni”) enuclea due distinte condotte:

a) da un lato, la condotta della “persona fisica la quale, richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell’attività di vigilanza svolta da quest’ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero – a fortiori – nell’ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilità di carattere penale” (p. 3.6 del Considerato in diritto, secondo capoverso);

b) d’altro lato, la condotta consistente in “comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza della CONSOB, come il rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tale autorità, ovvero manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa” o, ancora, la condotta consistente nella “omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta della CONSOB, formulata ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 octies, commi 3 e 4” (p. 3.6 del Considerato in diritto, quinto capoverso).

La condotta sub a) è stata ritenuta espressione del diritto al silenzio costituzionalmente protetto e, quindi, il contenuto dispositivo dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. è stato amputato, mediante la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale, della parte che sanziona tale condotta; la condotta sub b), viceversa, non è stata ritenuta compresa in detta copertura, con la conseguenza che la parte del contenuto dispositivo dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. che sanziona la stessa ha resistito al vaglio di legittimità costituzionale ed è tuttora vigente.

40. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 va dunque in primo luogo esaminata la questione se la tutela costituzionale del diritto al silenzio, come delineata in tale sentenza, copra anche la condotta per la quale, secondo la ricostruzione di fatto operata dalla Corte d’appello di Roma, il sig. B. ha subito la sanzione di cui si tratta nel motivo di ricorso in esame, vale a dire “le reiterate ed ingiustificate richieste di rinvio dell’audizione” (pag. 19, primo capoverso, della sentenza impugnata). E’ appena il caso di ribadire anche in questa sede, infatti, che, come questa Corte ha già evidenziato nel paragrafo 10.5 dell’ordinanza n. 3831/2018, emessa in questo giudizio, la ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda sul presupposto fattuale che il sig. B. sia stato sanzionato per gli ingiustificati differimenti dell’audizione a cui era stato convocato dalla CONSOB, non per il silenzio da lui serbato in sede di audizione. Si tratta, allora, di stabilire se tale ratio decidendi resista alla jus novum recato da C. Cost. n. 84/2021. La risposta che il Collegio ritiene di dover dare a tale quesito è negativa.

41. E’ vero infatti, come precisato nel precedente paragrafo 39 (e come la CONSOB sottolinea nella propria memoria ex art. 378 c.p.c. depositata il 15 ottobre 2021), che la sentenza C. Cost. n. 84/2021 ha lasciato ferma la legittimità costituzionale della disposizione che sanziona, come illecito amministrativo, i comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza della CONSOB, tra i quali “il rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità, ovvero manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa”. E’ però altrettanto vero che – nell’ambito della confutazione della tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. sollevata da questa Corte sarebbe stata inammissibile per difetto di rilevanza (proprio perché il sig. B. era stato sanzionato non già per essersi rifiutato di rispondere alle domande postegli in sede di audizione, bensì per i differimenti che aveva causato allo svolgimento dell’audizione) – la stessa Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare, riprendendo un’affermazione svolta già nell’ordinanza con cui aveva proposto il rinvio pregiudiziale alla CGUE (n. 117/2019), che “nella valutazione della sanzionabilità del ritardo di D. B. nel presentarsi all’audizione disposta dalla CONSOB, ben potrebbe il giudice del procedimento a quo valorizzare la circostanza che il diritto al silenzio non era, all’epoca, garantito; e che pertanto il ricorrente – presentandosi all’audizione – si sarebbe trovato di fronte all’alternativa tra rendere in quella potenzialmente autoaccusatorie, ovvero rischiare di essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni” (C. Cost. n. 84/2021, p. 2.1 del Considerato in diritto, ultimo capoverso).

42. Il suddetto passaggio della sentenza n. 84/2021 va inteso, ad avviso del Collegio, come una indicazione volta a modulare gli effetti della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. in ragione del tempo della commissione del fatto. Tale declaratoria, infatti, consente di assegnare alla parte dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. che residua dopo l’amputazione operata della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 una portata dispositiva differenziata, a seconda che la fattispecie sia anteriore o posteriore alla pubblicazione di detta sentenza. Nel caso di una condotta consistente nel rifiuto di presentarsi ad un’audizione o nell’adozione di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa che sia stata posta in essere dopo la pubblicazione della sentenza n. 84/2021 è indubbio – per l’espressa precisazione che si legge nel paragrafo 3.6 del Considerato in diritto, quinto capoverso, di tale sentenza – che la stessa è sanzionabile ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., come manipolato dalla Corte costituzionale. Qualora la medesima condotta risalga ad epoca anteriore alla pubblicazione della sentenza n. 84/2021, per contro, la relativa sanzionabilità non può essere affermata in ogni caso, ma, alla stregua dell’indicazione dettata da tale sentenza nell’ultimo capoverso del paragrafo 2.1 del Considerato in diritto, va riconosciuta solo all’esito di un apprezzamento concreto delle modalità in cui essa si è svolta.

43. Nell’ambito del suddetto apprezzamento si deve allora distinguere tra la mera renitenza alla convocazione e la renitenza alla convocazione perseguita mediante comportamenti ingannevoli fraudolenti o decettivi (come, a titolo di esempio, il rendersi strumentalmente irreperibile); questa seconda ipotesi è estranea al perimetro del diritto al silenzio, giacché le condotte che la integrano travalicano le esigenze difensive e si risolvono in un autonomo vulnus all’efficace svolgimento dell’attività di vigilanza della CONSOB, risultando quindi sanzionabili – ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., come manipolato dalla Corte costituzionale – anche se anteriori alla pubblicazione della sentenza n. 84/2021. Viceversa, la renitenza alla convocazione che si sostanzi esclusivamente in ingiustificate richieste di differimento della stessa deve ritenersi coperta dalla tutela costituzionale del diritto al silenzio riconosciuta dalla sentenza n. 84/2021, ove risalga ad epoca anteriore alla pubblicazione di tale sentenza.

44. Nel contesto normativo anteriore alla pubblicazione della sentenza n. 84/2021, infatti, la presentazione all’audizione implicava l’alternativa tra rendere in quella sede dichiarazioni potenzialmente autoaccusatorie e rischiare di essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni. La pretesa che, in tale contesto normativo, il cittadino si presentasse alla convocazione, si rifiutasse di rispondere alle domande della CONSOB e, ove sanzionato ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., si opponesse alla sanzione inflittagli al fine di chiedere al giudice dell’opposizione di sollevare la questione di legittimità costituzionale di detto articolo non è compatibile, per la palese astrattezza della protezione in tale modo garantita al diritto al silenzio, con lo standard di tutela delle condizioni essenziali del diritto di difesa emergente dall’art. 24 Cost., dall’art. 6CEDU, dagli artt. 47 e 48 CDFUE, dall’art. 14, paragrafo 3, lett. g), PIDC; ossia dal reticolo delle norme nazionali e sovranazionali, che “si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione” (così C. Cost. n. 84/2021, paragrafo 3.5 del Considerato in diritto, terzo capoverso), sulle quali la Corte costituzionale ha fondato il riconoscimento della copertura costituzionale del diritto al silenzio.

45. Nella prospettiva così delineata deve allora affermarsi il seguente principio di diritto: “l’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., nella parte non dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021, va interpretato nel senso che la condotta consistente nel rifiuto di presentarsi ad un’audizione fissata dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187 octies, comma 3, lett. c), T.U.F., ovvero nell’adozione di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa, è sanzionabile in ogni caso quando sia stata posta in essere in epoca successiva alla pubblicazione della suddetta sentenza n. 84/2021; per contro, quando tale condotta sia stata posta in essere in epoca anteriore alla pubblicazione di tale sentenza, la stessa – rappresentando per l’agente l’unico modo per sottrarsi all’alternativa tra rendere dichiarazioni potenzialmente autoaccusatorie o rischiare di essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni – non può essere sanzionata di per se stessa, ma va considerata una forma di legittimo esercizio del diritto al silenzio costituzionalmente garantito, a meno che essa non si sia concretizzata in comportamenti ingannevoli, fraudolenti o decettivi ulteriori rispetto alla mera mancata presentazione all’audizione o alla mera richiesta di differimento della stessa”.

46. Alla stregua del principio di diritto enunciato nel paragrafo precedente il secondo motivo di ricorso va giudicato fondato. La Corte capitolina, infatti, ha ritenuto integrato l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. solo in ragione delle “reiterate ed ingiustificate richieste di rinvio dell’audizione” poste in essere dal sig. B. in epoca anteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021. Tale ratio decidendi sottende una interpretazione del suddetto articolo, per la parte del medesimo non caducata dall’intervento del Giudice delle leggi, difforme da quella indicata nel principio di diritto enunciato nel paragrafo che precede.

47. All’accoglimento del secondo motivo di ricorso non ostano le ulteriori argomentazioni svolte nella memoria ex art. 378 c.p.c., della CONSOB del 15 ottobre 2021 a sostegno dell’assunto che la portata dispositiva della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 sarebbe priva di rilevanza ai fini del presente giudizio.

48. Sotto un primo profilo la CONSOB ha sostenuto che “in tanto si può discutere di diritto al silenzio e comportamenti conseguenti, in quanto dalle risultanze istruttorie siano emersi indizi di colpevolezza a carico del soggetto convocato e quindi questi si trovi in una situazione in cui effettivamente si verte in tema di diritto al silenzio”. Secondo la difesa della controricorrente, per contro, al sig. B. non potrebbe riconoscersi il diritto al silenzio, così come configurato nella sentenza n. 84/2021 della Corte costituzionale, perché, al momento della convocazione per l’audizione, il medesimo non era stato individuato dalla CONSOB quale possibile autore degli abusi di mercato per i quali è stato successivamente sanzionato, né, d’altra parte, risulta che le domande che l’Autorità di vigilanza intendeva porgli riguardassero gli illeciti di cui la CONSOB sospettava che egli fosse l’autore (pag. 16 della memoria CONSOB 15/10/2021).

49. Il suddetto argomento non ha pregio. Il dispositivo della sentenza n. 84/2021 fa riferimento alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d’Italia o alla CONSOB risposte che “possano far emergere la sua responsabilità” per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo; tale formulazione allude, evidentemente, a situazioni in cui la responsabilità dell’interessato, potendo esser fatta emergere, non sia ancora emersa. Del resto la prospettazione della CONSOB trova piena confutazione nelle stesse parole della sentenza n. 84/2021, là dove la Corte costituzionale, disattendendo l’assunto dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la garanzia del diritto al silenzio sarebbe stata riservata ad un momento successivo alla contestazione formale dell’illecito, sottolinea come tale interpretazione condurrebbe “a negare l’essenza stessa del diritto al silenzio, che consiste -precisamente – nel diritto di rimanere in silenzio, ossia di non essere costretto – sotto minaccia di una sanzione, come quella comminata dalla disposizione in questa sede censurata – a rendere dichiarazioni potenzialmente contra se ipsum, e dunque a rispondere a domande dalle quali possa emergere una propria responsabilità”; espressamente aggiungendo che “tale garanzia deve potersi necessariamente esplicare anche in una fase antecedente alla instaurazione del procedimento sanzionatorio, e in particolare durante l’attività di vigilanza svolta dall’autorità, al fine di scoprire eventuali illeciti e di individuarne i responsabili” (p. 3.6 del Considerato in diritto, quarto capoverso).

50. Sotto un secondo profilo la CONSOB ha argomentato che, nella specie, il diritto al silenzio riconosciuto dalla Corte costituzionale sarebbe stato garantito al B. dalla possibilità di essere assistito da un difensore in sede di audizione; possibilità riconosciuta “non soltanto nel caso di persone già sospettate di aver commesso illeciti, ma anche nei confronti di qualsiasi persona informata dei fatti” (pag. 19 della memoria CONSOB 15/10/2021). Anche questo argomento va disatteso. La possibilità di essere assistiti da un difensore, in sede di audizione personale ex art. 187 octies, lett. c), T.U.F., non sottrae chi venga convocato per tale audizione all’alternativa – di per sé lesiva del diritto al silenzio riconosciuto dalla Corte costituzionale – tra rendere dichiarazioni contra se e subire la sanzione prevista dall’art. 187 quinquiesdecies T.U.F..

51. Il secondo mezzo di ricorso va quindi in definitiva accolto e la sentenza della Corte di appello di Roma va cassata nella parte in cui ha disatteso l’opposizione del sig. B. alla Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, nel capo relativo alla irrogazione della sanzione pecuniaria di Euro 50.000 in relazione all’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F.. Poiché la condotta per cui il sig. B. è stato sanzionato ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies T.U.F. risulta compiutamente accertata dalla Corte territoriale nei termini, già più volte riportati, di “reiterate ed ingiustificate richieste di rinvio dell’audizione”, nessun altro accertamento di fatto risulta necessario. Questa Corte può quindi decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p.. Considerato che la CONSOB non ha addebitato al sig. B. comportamenti – ingannevoli, fraudolenti o decettivi ulteriori rispetto alle mere richieste di differimento dell’audizione, l’ordinanza sanzionatoria della CONSOB va annullata in parte qua, in applicazione del principio di diritto enunciato nel precedente paragrafo 45.

52. Col terzo motivo il ricorrente attinge la statuizione dell’impugnata sentenza che ha rigettato la sua opposizione avverso la confisca per equivalente dei suoi beni fino alla concorrenza dell’importo di Euro 149.760, pari al valore del prodotto delle sue illecite operazioni di trading, corrispondente alla somma del valore dei beni strumentali impiegati in tali operazioni e del valore del profitto dalle stesse ritratto. Il ricorrente evidenzia che, in tal modo, la misura della confisca gli sottrae, oltre al valore equivalente al suddetto profitto (Euro 26.580), anche il valore equivalente agli esborsi che egli aveva sostenuto per effettuare gli acquisti di azioni (Euro 123.175); che tale seconda sottrazione ha una funzione esclusivamente sanzionatoria, la quale va ad aggiungersi alla sanzione pecuniaria (Euro 200.000) inflittagli per l’attività di insider trading, cosicché, in definitiva, per operazioni che gli hanno prodotto un utile di Euro 26.580, egli viene sanzionato per l’importo di Euro 323.175 (oltre alle sanzioni per l’addebito di tuyautage e per l’addebito di mancata cooperazione con la CONSOB). Il motivo, riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 187 sexies T.U.F., da interpretare alla luce dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU e dell’art. 6 della CEDU, nonché della L. n. 241 del 1990, art. 3 e si articola in due distinte censure.

52.1. Con la prima censura si sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere obbligatoria invece che facoltativa la confisca per equivalente prevista dell’art. 187 sexies, comma 2 T.U.F. (conseguentemente rigettando il motivo di opposizione relativo all’omessa motivazione del provvedimento sanzionatorio sulle ragioni della disposta confisca).

52.2. Con la seconda censura si ripropone il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies T.U.F., già inutilmente sollevato davanti alla Corte di appello. Il ricorrente lamenta la sproporzionata afflittività conseguente alla confisca per equivalente non solo del profitto dell’illecito, ma anche dei beni impiegati per commetterlo e, pertanto, denuncia il contrasto di detta disposizione con l’art. 27 Cost. (e, in via gradata, con l’art. 3 Cost.), con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU ed all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.

53. La prima censura, sintetizzata nel paragrafo 52.1. che precede, non è fondata. Come questa Corte ha già evidenziato nell’ordinanza n. 3831/2018 (p. 10.5), emessa in questo giudizio, la sequenza dei primi due commi dell’art. 187 sexies T.U.F. rende palese che, nel comma 2, il verbo “può” conferisce all’Autorità di vigilanza un potere di scelta tra le diverse tipologie di beni aggredibili (“somme di denaro, beni o altre utilità”) ma non il potere di decidere se applicare o meno la confisca per equivalente nel caso in cui non sia possibile eseguire la confisca “del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo” di cui al comma 1. La stessa Corte costituzionale, occupandosi per quattro volte di questa disposizione (con la sentenza n. 186/2011, con la sentenza n. 252/2012, con la sentenza n. 68/2017 e, da ultimo, con la sentenza n. 112/2019), non ha mai posto in dubbio l’obbligatorietà della confisca per equivalente (presupposta dai giudici rimettenti) e, nella sentenza n. 252/2012, ha qualificato essa stessa come “obbligatoria” la confisca di cui dell’art. 187 sexties, comma 2 T.U.F. (par. 4, secondo cpv.: “Nel denunciare le conseguenze ultra modum che possono scaturire, in determinati contesti, dalla previsione della confisca obbligatoria, non solo del profitto, ma anche dei beni strumentali alla commissione dell’illecito, specialmente se contemplata anche nella forma “per equivalente” – problema in sé reale e avvertito, da sottoporre all’attenzione del legislatore”). Nella sentenza n. 112/2019, emessa a definizione del giudizio incidentale di costituzionalità promosso nell’ambito del presente procedimento, la Corte costituzionale ha, infine, ulteriormente ribadito la natura obbligatoria della confisca di cui all’art. 187 sexties T.U.F., sia con riferimento alla confisca diretta, prevista dal comma 1 dell’articolo, che con riferimento alla confisca per equivalente, prevista dal comma 2; si veda, in particolare, il paragrafo 9 di detta sentenza ove si legge: “da quanto precede consegue l’illegittimità costituzionale della previsione della confisca obbligatoria (sottolineatura nostra, n.d.r.) del “prodotto” dell’illecito amministrativo e dei “beni utilizzati” per commetterlo”; nonché, sempre nel medesimo paragrafo, il passo ove si afferma che l’effetto manifestamente sproporzionato della confisca in oggetto non è legato alla circostanza chi essa venga realizzata in forma diretta o per equivalente, bensì alla “stessa previsione dell’obbligo (sottolineatura nostra, n.d.r.) di procedere alla confisca del “prodotto” dell’illecito e dei “beni utilizzati” per commetterlo”. Il terzo motivo di ricorso va quindi rigettato per la parte relativa alla prima delle due censure ivi svolte.

54. Con riferimento alla seconda censura prospettata nel motivo di ricorso in esame, relativa al dubbio di costituzionalità sollevato dal ricorrente in ordine all’art. 187 sexies T.U.F., si osserva che essa risulta superata dall’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di tale disposizione “nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto”, di cui alla sentenza C. Cost. n. 112/2019, alla quale si è fatto cenno nel paragrafo 7 che precede.

55. Nelle memorie rispettivamente depositate per l’udienza del 21.10.21 tanto la CONSOB quanto il sig. B. hanno dato atto che, all’esito della suddetta sentenza della Corte costituzionale, la confisca disposta nel provvedimento sanzionatorio oggetto del presente giudizio è stata annullata dalla CONSOB, con Delib. in autotutela 5 dicembre 2019, n. 20177, “limitatamente alla parte eccedente la somma di Euro 20.584,93 corrispondente al profitto dell’illecito”. Su tale premessa la CONSOB, come accennato al paragrafo 11 che precede, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del presente motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente; il sig. B., per contro, nega che la suddetta Delib. n. 20177 del 2019, abbia determinato la cessazione della materia del contendere e sostiene che la necessità di una pronuncia definitiva non sarebbe venuta meno, attesa la natura incidentale del giudizio di costituzionalità, sia in funzione della regolazione delle spese del giudizio, sia in ragione del rilievo che la somma la cui confisca è stata annullata gli è stata restituita senza il riconoscimento degli interessi legali.

56. Il Collegio osserva che – all’esito dell’annullamento della confisca, per la parte eccedente l’equivalente del profitto ricavato dall’illecito, operato dalla CONSOB in autotutela – la materia del contendere su cui si è pronunciata la statuizione della Corte d’appello impugnata con il terzo motivo del ricorso per cassazione è obiettivamente cessata. La statuizione di merito necessariamente conseguente all’accoglimento di tale motivo di ricorso, infatti, sarebbe priva di oggetto, dovendosi essa risolvere nell’annullamento dell’impugnato provvedimento di confisca per una parte – quella equivalente ai beni impiegati per commettere l’illecito – già annullata dalla stessa Autorità che ha emesso il provvedimento. La suddetta statuizione non potrebbe dunque apportare alcun vantaggio al sig. B., né con riferimento alle spese del giudizio di opposizione, la cui regolazione discende da un giudizio di soccombenza che può anche essere effettuato virtualmente, né con riferimento alla pretesa agli interessi sulla somma restituita all’esito del parziale annullamento della confisca. Tale pretesa è infatti estranea all’oggetto del presente giudizio, nel quale il sig. B. ha proposto opposizione al provvedimento sanzionatorio senza spiegare alcuna domanda restitutoria. Nemmeno appare concludente il richiamo della difesa del ricorrente alla natura incidentale del giudizio legittimità costituzionale, giacché la cessazione della materia del contendere non deriva dalla pronuncia della Corte costituzionale, bensì dal parziale annullamento in autotutela della Delib. con cui la CONSOB aveva applicato la confisca.

57. Va ancora aggiunto, infine, che la situazione di fatto determinata dall’emanazione in autotutela della Delib. CONSOB n. 20177 del 2019 impone, come detto, la declaratoria di cessazione della materia del contendere e non la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, la quale implicherebbe il passaggio in giudicato della statuizione impugnata (cfr. Cass. SSUU 8980/2018; si veda anche Cass. 26299/2018: “La cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, dell’interesse al ricorso; la composizione in tal modo della controversia giustifica non già l’inammissibilità del ricorso in cassazione bensì, da un lato, la rimozione, con cassazione senza rinvio, delle sentenze già emesse, prive di attualità e, dall’altro, una pronuncia finale sulle spese, secondo una valutazione di soccombenza virtuale”).

58. Vanno infine esaminati gli argomenti spiegati nella memoria della difesa B. del 15/10/2021 con riferimento alla necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio a lui applicato, in ossequio ai principi della retroattività della lex mitior e del ne bis in idem.

58.1. Con riferimento al principio della retroattività della lex mitior, il ricorrente invoca la sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dall’art. 187 bis T.U.F.. In proposito la difesa B. svolge i seguenti rilievi:

– quanto all’art. 187 bis T.U.F., applicato nell’irrogazione delle sanzioni di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 2 che precede, il minimo edittale di Euro 100.000, previsto nel testo vigente all’epoca del compimento dell’illecito, è stato ridotto ad Euro 20.000 dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 3, e tale importo è rimasto inalterato nella successiva riformulazione dell’art. 187 bis TUF recata dal D.Lgs. n. 107 del 2018, art. 4, comma 9;

– quanto all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F., applicato nell’irrogazione delle sanzioni di cui alla lettera c) del paragrafo 2 che precede, il minimo edittale di Euro 50.000, previsto nel testo vigente all’epoca del compimento dell’illecito, è stato ridotto ad Euro 10.000, per le persone fisiche, dal D.Lgs. n. 129 del 2017, art. 5, comma 3, lett. b).

58.2. Con riferimento al principio del ne bis in idem, il ricorrente fa riferimento alla condanna alla pena di mesi 11 di reclusione ed Euro 300.000 di multa inflittagli con sentenza di applicazione della pena su richiesta pronunciata il 18/12/2013 dal Tribunale di Milano per il delitto di cui all’art. 184, comma 1, lett. c) T.U.F., in relazione agli stessi fatti oggetto delle sanzioni di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 2 che precede.

59. Osserva al riguardo il Collegio che i suddetti argomenti sono irrilevanti tanto in relazione alle sanzioni di cui alle lettere b) e c) del paragrafo 2 che precede, inflitte al sig. B. per il tuyautage in favore della sig. R. e, rispettivamente, per il ritardo procurato all’esercizio delle funzioni della CONSOB; quanto in relazione alla sanzione di cui alla lett. a) del medesimo paragrafo, inflitta allo stesso sig. B. per il trading effettuato in proprio sulle azioni Art’e’. Le sanzioni irrogate per i primi due illeciti, infatti, vengono interamente annullate con la presente sentenza, con la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., che consegue all’accoglimento dei primi due mezzi di ricorso. La sanzione irrogata per il trading, per contro, non può più formare oggetto di riconsiderazione in questa sede, perché il capo della sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato l’opposizione a tale sanzione è passato in giudicato, ai sensi dell’art. 329 c.p.c.. A pagina 5, primo capoverso, del ricorso per cassazione del sig. B., infatti, si legge: “E’ intenzione del Dott. B. prestare acquiescenza ai capi della sentenza riguardanti i motivi 1, 2 e 7 dell’opposizione in Corte d’appello e quindi rendere definitiva la sanzione di Euro 200.000 per violazione dell’art. 187 bis, comma 1, lett. a), T.U.F.”.

60. Non possono condividersi, infine, gli argomenti spesi nel IV paragrafo della memoria B. del 15/10/2021 per sostenere che il giudicato calato sulla statuizione di rigetto dell’opposizione alla sanzione di Euro 200.000 inflitta al ricorrente per il trading effettuato in proprio non osterebbe all’applicazione dello jus superveniens intervenuto in pendenza del giudizio di legittimità; il presente giudizio di legittimità, infatti, pende su capi di sentenza diversi da quello, ormai divenuto irrevocabile, relativo a tale statuizione.

60.1. I riferimenti giurisprudenziali evocati nella suddetta memoria (Cass. 20697/1018, seguita da Cass. 19512/2020) non sono pertinenti al caso oggi in esame. In tali precedenti si è affermato che – in ragione della portata pubblicistica del principio del favor rei, destinato ad operare ogni qualvolta il processo civile abbia ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento recante una sanzione tributaria o amministrativa – la norma che prevede un più favorevole trattamento sanzionatorio che sopravvenga nella pendenza del giudizio di legittimità deve trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui nel ricorso per cassazione non sia stata specificamente censurata la statuizione concernente la misura della sanzione; e si è chiarito che tale conclusione non contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, giacché la statuizione sulla misura della sanzione è dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato, cosicché la caducazione del capo di sentenza che accerta la sussistenza dell’illecito e la responsabilità del sanzionato travolge il capo di sentenza che stabilisce la misura della sanzione (cfr. Cass. SSUU 21691/2016, dove si precisa che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente). Nella specie, tuttavia, il capo della sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato l’opposizione del sig. B. alla sanzione inflittagli per il trading non è stato impugnato né in punto di sussistenza dell’illecito e responsabilità del sanzionato né in punto di quantificazione della sanzione, cosicché su di esso si è formato il giudicato che osta alla possibilità di riaprire il giudizio per applicare lo jus superveniens.

60.2. A conclusioni analoghe a quelle enunciate con riguardo alle disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio di legittimità deve pervenirsi con riferimento alla dedotta efficacia retroattiva delle pronunce della Corte costituzionale. Il sig. B. chiede la rideterminazione della sanzione infittagli per l’illecito amministrativo di cui all’art. 187 bis, comma 1, lett. a) del T.U.F. alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019 e richiama precedenti di questa Corte che affermano che gli effetti della sentenza della Corte costituzionale dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una disposizione si estendono anche ai giudizi in corso in sede di legittimità (Cass. n. 12962/2005, Cass. n. 27264/2008, Cass. n. 26291/2017). Proprio i precedenti indicati dal ricorrente, tuttavia, chiariscono che la retroattività delle sentenze della Corte costituzionale trova il limite dei rapporti esauriti e, per quanto qui interessa, del giudicato.

60.3. Ne’ a diversa conclusione induce la sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 16 aprile 2021, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 4, in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida disposta con sentenza irrevocabile. Tale sentenza interpretativa di accoglimento – premessa la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa della revoca della patente – ha parificato la cedevolezza del giudicato su tale sanzione alla cedevolezza del giudicato in materia di sanzioni penali, estendendo l’efficacia retroattiva delle sentenze costituzionali di accoglimento anche alla sanzione amministrativa della revoca della patente disposta con sentenza passata in giudicato. La conclusione raggiunta dalla sentenza C. Cost. n. 68/2021 con riferimento alla sanzione amministrativa della revoca della patente di guida non è però predicabile con riferimento alle sanzioni amministrative in tema di abusi di mercato. In primo luogo, il thema decidendum di detta sentenza risulta espressamente delimitato alla sola sanzione della revoca della patente, avendo la Corte costituzionale avuto cura di precisare espressamente come i quesiti di costituzionalità sottoposti al suo esame si concentrassero “sul trattamento riservato alla specifica sanzione amministrativa accessoria che viene in rilievo nel giudizio a quo: sanzione alla quale – di là dal riferimento del dispositivo dell’ordinanza di rimessione all’indistinta platea delle sanzioni amministrative “convenzionalmente penali” – appaiono, in effetti, nella sostanza riferite le censure del rimettente” (p. 5, primo capoverso, del Considerato in diritto della sentenza n. 68/2021). In secondo luogo, le sanzioni amministrative in tema di abusi di mercato, pur avendo anch’esse natura sostanzialmente penale secondo i c.d. “criteri Engel”, non possono mutuare dalle sanzioni penali (e dalla sanzione amministrativa della revoca della patente) i meccanismi che consentono allo jus superveniens (sia esso una nuova disposizione normativa o una pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale) di infrangere il giudicato. Da un lato, infatti, nel giudizio civile o amministrativo non esiste la figura del giudice dell’esecuzione, cioè di un giudice avente la funzione di valutare anche gli incidenti processuali che possono verificarsi successivamente al giudicato e nel corso dell’esecuzione della pena. D’altro lato, la prospettiva, segnalata dalla dottrina, alla cui stregua – nella materia delle sanzioni amministrative sostanzialmente penali – per veicolare lo jus superveniens oltre la barriera del giudicato potrebbe farsi ricorso al rimedio di cui all’impugnazione ex art. 395 c.p.c. (prospettiva, peraltro, ad oggi meramente teorica e de jure condendo) fa leva, appunto, sul rimedio del ricorso per revocazione, senza in alcun modo riguardare la materia del ricorso per cassazione.

60.4. Parimenti inconcludenti, infine, sono i richiami della difesa B. ai precedenti di questa Corte che hanno affermato che non esistono preclusioni alla rilevabilità in sede di legittimità – anche d’ufficio e per la prima volta – delle questioni relative alla compatibilità della disciplina interna con quella unionale sopravvenuta, che opera in modo analogo allo ius superveniens, essendo il giudice di ultima istanza tenuto a tale controllo (Cass. n. 15032/2014, Cass. n. 24952/2015; si veda anche Cass. n. 25278/2019). Tale condivisibile principio riguarda il regime di rilevabilità delle questioni all’interno del giudizio, ma non concerne la questione della cedevolezza del giudicato civile al diritto unionale sopravvenuto.

61. In definitiva devono accogliersi il primo ed il secondo motivo di ricorso; il terzo motivo va rigettato in relazione alla prima delle due doglianze in cui esso si articola, mentre in relazione alla seconda doglianza deve dichiararsi cessata la materia del contendere, nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, nonché in relazione alla statuizione di rigetto dell’opposizione alla confisca e, con decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, la Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, va annullata nella parte relativa alla irrogazione a carico del sig. B.D. di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’illecito di cui all’art. 187 bis, comma 1, lett. c), T.U.F. e di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F..

62. Il mutamento del quadro normativo sopravvenuto in corso di causa per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 112/2019 e n. 84/2021 giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di opposizione, tanto per la fase di merito quanto per quella di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso; rigetta il terzo motivo in relazione alla prima delle due doglianze in cui esso si articola e dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla seconda di tali doglianze.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alle statuizioni investite dai motivi di ricorso e, con decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, annulla la Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, nella parte relativa alla irrogazione a carico del sig. B.D. di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’illecito di cui all’art. 187 bis, comma 1, lett. c), T.U.F. e di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’illecito di cui all’art. 187 quinquiesdecies T.U.F..

Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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