Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4520 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. I, 24/02/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 24/02/2010), n.4520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6369/2007 proposto da:

M.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso l’avvocato MEZZETTI

Mauro, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A.;

– intimata –

sul ricorso 10498/2007 proposto da:

S.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso l’avvocato OLIVETI FRANCESCO, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Dott.

GIORGIO MARIO CALISSONI di ROMA – Rep. n. 11.040 del 16.09.09,

depositata in Cancelleria il 18.09.09;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 548/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/09/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato MASSIMO LUBELLI, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

FRANCESCO OLIVETI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e

l’accoglimento di quello incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva n. 23189 del 22.10.1999, passata in giudicato, il Tribunale di Roma dichiarava la separazione personale dei coniugi M.M. ed S.A., respingendo le reciproche domande di addebito e disponendo l’assegnazione alla S. della casa coniugale sita in (OMISSIS); rimetteva quindi la causa in istruttoria, all’esito della quale, con sentenza definitiva – del 9.3-1.6.2001 determinava in L. 3.600.000 il contributo a carico del padre per il mantenimento dei tre figli, compensando le spese.

Proponeva impugnazione il M. ed all’esito del giudizio,, nel quale si costituiva la S. proponendo anche appello incidentale, la Corte d’Appello di Roma con sentenza del 10.11.2005- 1.2.2006 respingeva entrambi gli appelli, compensando fra le parti le spese del giudizio.

Relativamente alle questioni che sarebbero state proposte con ricorso per cassazione, osservava in primo luogo la Corte d’Appello che dall’audizione dei figli era emerso che essi non avevano raggiunto l’autonomia economica, avendo svolto, peraltro solo due di essi, attività saltuarie ( A., studente universitario in Economia aziendale, aveva svolto tra il 2000 ed il 2001 attività di promotore finanziario; Ma., appena laureata in giurisprudenza, aveva svolto attività saltuaria di baby-sitter mentre S., studente in giurisprudenza, non aveva mai svolto alcuna attività).

Quanto alla determinazione dell’entità di detto contributo, la Corte di merito, dopo aver precisato che il M. aveva sostenuto che le sue condizioni economiche erano peggiorate, come risultava dalle sue ultime dichiarazioni dei redditi, rilevava che era emersa invece, oltre ad una sua notevolissima capacità professionale come commercialista e consulente finanziario che prima della separazione gli aveva garantito redditi notevoli, anche la partecipazione a svariate società di notevole consistenza, dimostrativa di una potenzialità economica che, anche se ridotta, permaneva tuttora, mentre nessuna precisazione era stata fornita sui suoi rovesci professionali nè sulle cause che li avrebbero determinati.

In ordine alla richiesta di riconoscimento di un assegno di mantenimento avanzata per sè dalla S., confermava la decisione del Tribunale che, in presenza di uno stipendio annuo di Euro 23.044,71 (di cui Euro 3.359,00 ritenute a titolo di IRPRF) come insegnante nonchè di un discreto patrimonio immobiliare, aveva ritenuto che fosse in grado di mantenere con il proprio reddito un adeguato tenore di vita.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione M. M. che deduce quattro motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso S.A. che propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo ed illustrato anche con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l’incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.

Del pari pregiudizialmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata sul rilievo di una non corretta formulazione dei quesiti. L’art. 366 bis c.p.c., infatti non trova applicazione “ratione temporis” nel caso in esame, essendo stata la sentenza della Corte d’Appello depositata in data 1.2.2006 e prevedendo la disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27 (comma 2) la sua applicabilità relativamente ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate dal 2.3.2006.

Con il primo motivo del ricorso principale M.M. denuncia violazione dell’art. 2909 c.c.. Deduce che, essendo intervenuta nelle more del giudizio di separazione la sentenza divorzile n. 3621 del 15.2.2006 che non ha concesso al coniuge l’assegno di mantenimento, negandolo anche ai tre figli per tardiva proposizione della domanda formulata soltanto in corso di causa ed essendo stata detta sentenza impugnata solo dalla S. in proprio e non anche nell’interesse dei figli, doveva considerarsi ormai coperta da giudicato esterno la questione riguardante l’assegno di mantenimento a favore dei figli.

La censura è infondata.

Il giudizio di divorzio non solo è del tutto distinto ed indipendente da quello di separazione personale in considerazione della diversità dei presupposti e del suo contenuto, ma copre anche un diverso periodo non sovrapponibile a quello interessato dalla separazione.

Pertanto eventuali diverse determinazioni sul piano economico adottate in sede di divorzio non possono assumere efficacia retroattiva fino a ricomprendere il periodo regolato dai provvedimenti presi in sede di separazione personale, con la conseguenza che del tutto priva di fondamento deve ritenersi la tesi che pretende di estendere l’eventuale giudicato formatosi in sede di divorzio sul distinto rapporto regolato nel corso ed all’esito del giudizio di separazione.

In ogni caso trattasi di circostanze nuove che, non avendo formato oggetto di esame in sede di merito, non possono essere preposte per la prima volta nel giudizio di legittimità nel quale del resto non avrebbe potuto essere prodotta la relativa documentazione, stante il divieto di cui all’art. 372 c.p.c..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148 e 155 c.c.. Lamenta che la Corte d’Appello, pur avendo dato atto che i figli, da tempo maggiorenni, avevano a vario titolo svolto attività lavorativa, abbia poi affermato che nessuno dei tre avesse raggiunto l’indipendenza economica.

Il ricorrente, nel censurare il riconoscimento dell’assegno di mantenimento disposto a favore dei figli, offre una non corretta lettura della motivazione della Corte d’Appello la quale non ha escluso che due di essi avessero svolto per un limitato periodo una qualche attività lavorativa, ma ha precisato che, non essendone derivata una loro stabile indipendenza economica, persisteva l’obbligo del padre di provvedere al loro mantenimento.

A ciò potrebbe aggiungersi, oltre alla precarietà e saltuarietà di detta attività già sottolineate dalla Corte d’Appello e certamente inidonee per definizione a giustificare il preteso esonero dagli obblighi di mantenimento, la legittima volontà dei figli di continuare negli studi, non potendo essere loro negata l’aspirazione a conseguire un lavoro congeniale alla preparazione universitaria scelta o conseguita.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia insufficienza della motivazione, deducendo che la Corte d’Appello, nel confermare il contributo al mantenimento dei figli, non ha considerato i suoi rovesci finanziari che gli accertamenti della Guardia di Finanza non avevano smentito nonchè la circostanza che egli non presentava più la dichiarazione dei redditi.

Con il Quarto motivo il ricorrente denuncia ancora omessa motivazione, lamentando che la Corte d’Appello, al fine di determinare l’assegno di mantenimento, non abbia tenuto conto del valore della casa coniugale in comproprietà assegnata alla S., composta da due appartamenti di complessivi mq. 270 e munita di due distinti ingressi, con un valore locativo di circa Euro 3.500,00 mensili.

Le esposte censure sono infondate.

La Corte d’Appello, dopo aver precisato che il M., quale commercialista e consulente finanziario nonchè socio di varie società di rilevante consistenza, possiede una notevolissima capacità professionale che prima della separazione gli aveva garantito redditi piuttosto cospicui, ha osservato che dei pretesi “tracolli” finanziari non aveva fornito alcuna precisazione nè indicato le cause che li avrebbero determinati, e che dagli accertamenti affidati alla Guardia di Finanza nulla era emerso.

A fronte di tale motivazione, certamente di merito, il ricorrente, nel denunciare il difetto di motivazione, non ha nemmeno tentato di indicare le lacune o le contraddizioni in essa riscontrabili, ma si è limitato a riaffermare l’insorgenza di “rovesci finanziari” senza tener presente, come avrebbe invece dovuto, l’assunto della Corte d’Appello secondo cui di tali “rovesci” non erano state indicate le cause.

Quanto poi alla circostanza secondo cui egli non presentava più la dichiarazione dei redditi in quanto privo di reddito imponibile, il ricorrente avrebbe dovuto, in assenza di qualsiasi riferimento al riguardo nella sentenza impugnata, indicare con precisione ove un tale rilievo sarebbe stato dedotto, con la conseguenza che, in mancanza, deve ritenersi nuovo e, come tale, non proponibile in questa sede, richiedendo un accertamento di merito.

Relativamente infine alla specifica censura riguardante la mancata valutazione, nella determinazione dell’assegno di mantenimento a favore dei figli, del valore della casa assegnata alla S., si osserva che una tale assegnazione può assumere rilievo a detti fini solo nell’ambito della composizione dei rapporti economici fra coniugi e non già in relazione all’ammontare del contributo per il mantenimento dei figli, in virtù della previsione dell’art. 155 c.c., comma 4 vecchio testo, che da preferenza al coniuge affidatario dei figli. Evidente è del resto la funzione di carattere morale di una tale disposizione, volta a garantire, nei limiti del possibile, l’esigenza di evitare alla prole ulteriori modifiche coattive e radicali del proprio ambiente di vita familiare e di relazione, assicurando la continuità dell’habitat domestico, quale centro di affetti, interessi e consuetudini di vita. Nessuna rilevanza può pertanto essere attribuita sotto il profilo giuridico a tale ulteriore prospettazione.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale S.A. denuncia violazione degli artt. 156 e 2707 c.c. nonchè degli artt. 115, 116 e 117 c.p.c.. Lamenta che la Corte d’Appello abbia respinto l’appello incidentale volto ad ottenere l’assegno di mantenimento per sè facendo riferimento unicamente al suo reddito e ritenendolo idoneo a mantenerle un adeguato tenore di vita, senza operare alcuna comparazione con il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, in ordine al quale riporta dei prospetti relativi alle spese domestiche affrontate nel periodo gennaio-marzo 1996 e risultanti dalla documentazione prodotta sin dal primo grado.

Anche tale censura è infondata.

Nel disattendere l’appello incidentale della S. avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato la richiesta di riconoscimento dell’assegno divorziale, la Corte d’Appello, dopo aver esaminato la posizione reddituale del M., ha precisato che la moglie fruisce di uno stipendio in qualità di insegnante ed inoltre possiede un “discreto patrimonio immobiliare”.

Contrariamente a quanto da lei sostenuto, la sentenza impugnata ha quindi effettuato una comparazione tra la situazione attuale ed il tenore di vita che le era consentito in costanza di matrimonio, negando il diritto all’assegno di mantenimento sulla base di una motivazione di merito ispirata a corretti principi giuridici ed immune da vizi logici e che implicitamente ha certamente tenuto conto degli esborsi non lievi cui il M. è tenuto per il mantenimento dei figli.

La S., da parte sua, al fine di dimostrare l’insufficienza di una tale comparazione, ha riportato in ricorso un elenco di spese che sarebbero state sostenute dal M. per il mantenimento della famiglia nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 1996, spese tratte dai “prospetti” allegati al ricorso introduttivo e riconosciute, come si sostiene, dallo stesso M. all’udienza del 27.10.1997.

Di tali elenchi non v’è effettivamente traccia nella sentenza impugnata.

La ricorrente però, pur deducendo che detti prospetti erano stati depositati sin dal momento dell’iscrizione della causa a ruolo nel giudizio di primo grado, nulla precisa al riguardo con riferimento al giudizio di appello, vale a dire se tali rilievi siano stati posti all’attenzione della Corte di merito attraverso un apposito richiamo, da considerarsi doveroso, nell’atto di appello, dovendo ad esso riconoscersi un effetto devolutivo limitato agli specifici motivi sottoposti al riesame con il gravame e non essendo sufficiente che fossero state oggetto di discussione in primo grado (vedi Sez. Un. n. 16/00 in motivazione).

Anche tale motivo deve essere pertanto rigettato.

La reciproca soccombenza giustifica la totale compensazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa totalmente fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

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