Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4519 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. I, 24/02/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 24/02/2010), n.4519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14977/2006 proposto da:

F.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NICOTERA 29, presso l’avvocato SCOCA Maria

Concetta, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ANELLI FRANCO, SCHLESINGER PIERO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUCULLO 3, presso l’avvocato ADRAGNA Nicola,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PACIFICO

LOREDANA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2732/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/09/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PIERO SCHLESINGER che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

uditi, per la controricorrente, gli Avvocati NICOLA ADRAGNA e

LOREDANA PACIFICO che hanno chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9.6-16.9.2004 il Tribunale di Milano pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato in data (OMISSIS) fra il Prof. F.G. e la Dott.ssa C.L. (già separati consensualmente con verbale del (OMISSIS) omologato dallo stesso Tribunale il 23 aprile successivo) e dalla cui unione erano nati tre figli, tutti ormai maggiorenni e rigettava la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile da lei avanzata.

Proponeva impugnazione la Dott.ssa C. ed all’esito dei giudizio, nel quale si costituiva il Prof. F. chiedendone l’inammissibilità, la Corte d’Appello di Milano con sentenza del 21.9-24.11.2005 poneva a carico del Prof. F. l’obbligo di versare alla ex moglie la somma di Euro 10.000,00 entro il giorno 5 di ogni mese con decorrenza dalla pronuncia di divorzio, da rivalutare annualmente in base agli indici ISTAT relativi al costo della vita.

Dopo aver osservato che la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio era passata in giudicato per mancata impugnazione” sul punto e che l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità era infondata, non sussistendo incertezza sul contenuto delle doglianze espresse con l’atto di impugnazione, rilevava la Corte d’Appello in primo luogo la sufficienza, ai fini della decisione, della ponderosa documentazione versata in atti e la conseguente inutilità di un’attività istruttoria, precisando, quanto alle prove richieste dall’appellato, che erano state, oltre tutto, espressamente subordinate all’ammissione di quelle dedotte dall’appellante. Procedeva poi all’elencazione delle numerose e prestigiose proprietà immobiliari ubicate sia in (OMISSIS) che in rinomate località di villeggiatura di rispettiva pertinenza degli ex coniugi, indicando – a parte i beni di cui erano comproprietari costituiti dalla prestigiosa villa di (OMISSIS) (al 50%) e dall’appartamento di 180 mq. oltre giardino sito al piano terreno dell’edificio di (OMISSIS) (49% della C. ed il 51% del F.) – di proprietà esclusiva del F. i vari appartamenti siti nell’edificio di (OMISSIS), fra cui è compreso il vasto appartamento con giardino pensile già casa coniugale, nonchè gli ulteriori due appartamenti siti, rispettivamente, in (OMISSIS) ed in (OMISSIS) e l’ampia villa su più livelli di (OMISSIS) munita di ben più ampio giardino nonchè, di proprietà esclusiva della C., la casa di abitazione costituita dall’appartamento di mq. 100 con ampio terrazzo sito in (OMISSIS), l’appartamento al piano terra dell’edificio di (OMISSIS) ove ha sede la galleria d’arte moderna “(OMISSIS)” dalla stessa gestita, la nuda proprietà dell’appartamento di (OMISSIS) abitato dalla di lei madre c.d. infine la quota, pari ad un terzo, dell’appartamento nella località calabrese di mare di (OMISSIS).

Riteneva quindi di gran lunga prevalente la consistenza del patrimonio immobiliare del F. rispetto a quella della C. e rilevante tale valutazione al fine di determinare l’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno per la conservazione del precedente tenore di vita.

Quanto all’attività lavorativa, osservava che il Prof. F., noto cattedratico ed altrettanto noto avvocato tributarista, aveva prodotto redditi per un imponibile di L. 2.192.646.000 nell’anno d’imposta 1992, imponibili pari rispettivamente a L. 3.030.585.000 e L. 2.532.898.000 negli anni 2000 e 2001 ed infine imponibili rispettivamente per Euro 1.055.273,00, Euro 1.005.195,00 ed Euro 1.454.011,00, negli anni 2002, 2003 e 2004.

Quali indici del tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, evidenziava la presenza di gioielli di grande pregio commerciale donati dal F. alla moglie, di opere d’arte di noti autori, di autovetture ed imbarcazioni nonchè di personale domestico in più unità al servizio della famiglia.

Sottolineava infine come il notevole livello degli introiti del Prof. F. si deducesse anche dal fatto che egli ha sempre rivendicato di aver provveduto con mezzi propri all’acquisizione dei vari cespiti immobiliari facenti capo per intero o proquota alla Dott.ssa C. – quali l’appartamento ove ha sede la galleria d’arte, la quota del 49% dell’ulteriore appartamento sito al piano terreno dello stesso edificio, la quota del 50% della (OMISSIS), dei 4/5 dell’appartamento di (OMISSIS) alla cui residua quota ha provveduto la stessa C. – nonchè alla acquisizione delle numerose opere d’arte che all’epoca della separazione i coniugi si erano suddivisi.

Per quanto riguarda i redditi della Dott.ssa C., dopo aver evidenziato la loro misura molto contenuta ed in particolare l’assenza di redditi derivanti dalla gestione della galleria d’arte, come risultava dalle dichiarazioni predisposte dallo studio dello stesso Prof. F. fino alla data della separazione e dopo aver preso atto che dal 1994 al 2001 la stessa non aveva presentato alcuna dichiarazione al fisco, osservava che, relativamente agli anni d’imposta dal 2001 al 2004, risultavano redditi pari a L. 12.571.000 (di cui L. 6.758.000 da immobili) per il 2001, ad Euro 3.490,00 per il 2002, ad Euro 6.492,00 (di cui euro 3.490,00 da immobili) per il 2003 ed il 2004.

Riteneva inoltre credibile la versione da lei fornita per giustificare come avesse provveduto in tale situazione a se stessa ed alla conservazione del proprio patrimonio, versione con la quale aveva precisato che aveva venduto un appartamento sito in (OMISSIS), che aveva utilizzato l’eredità paterna per l’acquisto della nuda proprietà dell’appartamento di (OMISSIS) abitato dalla di lei madre, usufruttuaria, che aveva venduto due quadri d’autore e che aveva utilizzato il ricavo di transitorie locazioni della galleria.

Concludeva pertanto che la Dott.ssa C., pur disponendo tuttora di vari immobili, sia in proprietà che in uso, come la villa di (OMISSIS) utilizzata a semestri alterni con il F. in base agli accordi della separazione, non disponeva di redditi idonei per consentirle di mantenere integro il suo patrimonio, che dovrebbe dismettere in assenza di redditi di qualche consistenza, e per provvedere adeguatamente alle proprie esigenze nei termini che le erano in precedenza consentiti, anche tenuto conto della somma di L. 4.000.000 mensili, maggiorata dalla rivalutazione, dovuta dal Prof. F. in base alla scrittura del (OMISSIS) in cui formalmente era indicata quale corrispettivo dell’uso esclusivo dell’appartamento al piano terra di (OMISSIS). Pertanto, considerati gli elementi di valutazione previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, riconosceva alla stessa l’assegno divorzile nella misura di Euro 10.000,00 mensili rivalutabili per consentirle di sopperire all’inadeguatezza delle sue condizioni con un importo non particolarmente oneroso per il F..

Avverso tale sentenza il Prof. F.G. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di cui il primo articolato in cinque distinte censure, illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso, illustrato anch’esso con memoria, la Dott.ssa C.L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, articolato in cinque distinte censure, il Prof. F.G. denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, come novellato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, nonchè difetto di motivazione. In particolare:

A) una prima violazione all’art. 112 c.p.c., viene dedotta sul rilievo della mancata ammissione di qualsiasi attività istruttoria da lui richiesta perchè ritenuta proposta subordinatamente alla ammissione di quelle di controparte in contrasto con quanto risultava dalle conclusioni formulate in grado di appello in cui invece era stato richiesto semplicemente il “rigetto delle istanze istruttorie avversarie” ed a parte “solo occorrendo ed in via subordinata” l’ammissione della C.T.U. per accertare i ricavi della Galleria, senza alcuna correlazione fra le due proposizioni. Sostiene il ricorrente che l’asserita subordinazione riguardava l’esito delle valutazioni in ordine alla sussistenza di mezzi adeguati in capo alla C., in quanto solo nell’ipotesi in cui, come era poi avvenuto, la Corte d’Appello avesse ritenuto tali mezzi inadeguati sulla base delle risultanze già emerse sarebbe stato doveroso ammettere le sue richieste istruttorie, consistite, fra l’altro, anche nella necessità di un accertamento da parte della Polizia Tributaria, tenuto conto della mancata presentazione per vari anni (dal 1994 al 2001) delle dichiarazioni al Fisco al quale aveva certamente occultato le somme da lui versatele periodicamente (in misura di L. 50.000.000 annui nel 1996 ed, attualmente, di L. 60.000.000) dopo la separazione, nonchè delle operazioni di compravendita di una serie impressionante di dipinti di altissimo livello che egli aveva analiticamente indicato con i relativi prezzi e per i quali, in caso di contestazione, aveva richiesto appunto che fossero disposte indagini attraverso la Polizia Tributaria cui avrebbe indicato i nomi degli acquirenti, ed infine del valore dei cespiti immobiliari, da accertare mediante C.T.U. ed ammontanti complessivamente a non meno di 20 miliardi di vecchie Lire. Deduce altresì che la Corte d’Appello, nonostante fosse stata eccepita la mancata dichiarazione da parte della C. dei redditi del 2000, la produzione delle dichiarazioni del 2002 e del 2004 senza le ricevute attestanti la presentazione ai competenti uffici, la mancata menzione nelle dichiarazioni prodotte degli affitti percepiti e dei redditi prodotti dalla Galleria, si è limitata ad affermare che le istanze istruttorie erano state formulate in via meramente subordinata.

B) Una seconda violazione dell’art. 112 c.p.c., unitamente al difetto di motivazione, deduce il ricorrente in relazione al mancato rispetto della controparte dell’obbligo imposto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, di presentare ogni documentazione relativa ai redditi ed al patrimonio personale e comune, sostenendo che la Corte d’Appello, senza un’adeguata motivazione, dopo aver attribuito rilevanza alla circostanza che fino al 1993 la dichiarazione dei redditi della C. fosse stata predisposta dallo studio F., ha concluso per “l’assenza di redditi particolarmente significativi provenienti dalla gestione della galleria d’arte”, pur non avendo operato i dovuti accertamenti e malgrado, ripetesi, la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi per numerosi anni.

C) Una terza violazione viene dedotta sotto il profilo del difetto di motivazione e sempre con riferimento alla conclusione cui la Corte d’Appello è pervenuta sull’assenza di redditi provenienti dalla Galleria sul rilievo che anche all’epoca in cui le dichiarazioni erano compilate dallo studio F. non erano stati denunciati redditi di tale natura; al riguardo si sostiene che non era stato considerato che nella comparsa di risposta di 1^ grado della C. era stata rivendicata la partecipazione della stessa agli acquisti di vari immobili con denaro proprio nonchè la ripartizione dei dipinti del valore di parecchi miliardi in proporzione dei rispettivi conferimenti di capitali dei coniugi. Si deduce infine che conseguentemente la gestione della Galleria non poteva considerarsi un’attività priva di redditi, ma al contrario fonte di redditi miliardari, tanto che nel periodo successivo al 1988 (epoca della separazione di fatto) la C. aveva incrementato il proprio patrimonio con acquisti immobiliari per oltre un miliardo e quello mobiliare per due miliardi.

D) Una quarta violazione viene dedotta in relazione all’art. 2697 c.c.. Si deduce che la Corte d’Appello, nel sostenere che in mancanza di elementi significativi di prova da parte dell’appellante in ordine alla sussistenza di redditi provenienti dalla Galleria doveva riconoscersi il diritto all’assegno divorzile, ha finito per invertire l’onere della prova, facendo ricadere su colui che detto assegno è chiamato a pagare l’onere di provare le disponibilità economiche del coniuge e non già su chi lo richiede.

E) Una quinta violazione viene dedotta sotto il profilo ancora del difetto di motivazione laddove la Corte d’Appello ha ritenuto che la C. non avesse redditi in grado di consentirle il mantenimento del suo patrimonio nonchè del precedente tenore di vita. Lamenta che, nel rilevare la necessità di assicurare l’integrità del precedente patrimonio della C., non abbia precisato entro quale misura quel precedente patrimonio dovesse restare integro per garantirle la conservazione del precedente tenore di vita, potendo l’assegno essere reclamato solo allorchè, in conseguenza della consumazione dei cespiti, si prospetti una situazione tale da mettere a rischio l’adeguatezza dei mezzi disponibili.

L’articolato motivo di ricorso, di cui sono stati riportati gli aspetti salienti, merita accoglimento nei limiti che saranno qui di seguito precisati.

Va in primo luogo disatteso il pregiudiziale rilievo contenuto nel controricorso in ordine alla collocazione, che sarebbe stata operata dal ricorrente nell’ambito dell’art. 112 c.p.c., della doglianza relativa alla mancata ammissione da parte della Corte d’Appello di tutte le sue istanze istruttorie.

E’ pur vero infatti, in linea di principio, che una tale mancata ammissione non è denunciabile con riferimento all’art. 112 c.p.c., ma solo sotto il profilo del vizio di motivazione (Sez. Un. 15982/01, Cass. 4271/96), ma nel caso in esame la deduzione di un tale vizio non solo risulta prospettata nell’intestazione del motivo di ricorso, ma emerge” chiaramente dal suo contenuto( in cui, come si vedrà, sono state evidenziate le lacune che, ad avviso del ricorrente, sono riscontrabili nel tessuto argomentativo della decisione sul punto.

L’esame del motivo richiede però un’ulteriore preliminare valutazione sulle considerazioni espresse dalla Corte d’Appello nel rigettare le istanze istruttorie dell’odierno ricorrente, avendo rilevato che esse erano state espressamente subordinate all’ammissione delle prove di controparte, ritenute però a loro volta irrilevanti.

Orbene, l’interpretazione degli atti, in essi da ricomprendersi anche le conclusioni delle parti, rientra indubbiamente nei compiti del giudice di merito purchè di essa venga data una motivazione immune da vizi logici.

A tale riguardo si osserva che l’interesse di uno dei coniugi all’accertamento della situazione patrimoniale e reddituale dell’altro non è collegato alla decisione cui il giudice di merito perviene in ordine alle richieste istruttorie di quest’ultimo, ma assume un proprio autonomo rilievo per i riflessi che l’eventuale esito positivo, vale a dire la riscontrata presenza di redditi adeguati, determina nel giudizio di comparazione.

Avrebbe dovuto quindi la Corte d’Appello, prima di attribuire un carattere meramente subordinato alle richieste istruttorie del F. formulate in sede di precisazione delle conclusioni, verificare, in linea con le esposte considerazioni, se una tale subordinazione non risultasse in realtà collegata alle conclusioni cui la Corte eventualmente pervenisse sulla situazione reddituale della C. indipendentemente dall’accoglimento o meno delle di lei richieste istruttorie. Trattasi indubbiamente, sotto tale profilo,- di un difetto di motivazione in cui è incorsa la sentenza impugnata che si è limitata a dare una lettura non ponderata delle richiamate conclusioni istruttorie, collegando la prima autonoma proposizione (“rigettare le istanze istruttorie avversarie”) con la seconda in cui le istanze erano state proposte “in via subordinata” ed omettendo qualsiasi considerazione di ordine logico e giuridico per valutarne appieno il significato.

A tale carenza dovrà certamente ovviare il giudice di rinvio che, nel dare senso compiuto alla richiesta di ammissione di dette istanze, dovrà tener conto delle esposte considerazioni.

Superate le esposte questioni di ordine preliminare, possono ora essere esaminate le varie censure contenute nell’esposto motivo di ricorso ed al riguardo non può dubitarsi che la mancata ammissione di dette istanze abbia comportato inevitabilmente un ulteriore difetto di motivazione, avendo la Corte d’Appello, in relazione alla valutazione della situazione economica della C., rilevato, con riferimento all’attività da lei svolta nella galleria d’arte, “l’assenza di elementi che diano conto di redditi significativi” nonostante dette richieste fossero volte ad accertare i lauti guadagni che, secondo il F., (ella ne avrebbe tratto. E’ evidente, in altri termini, l’illogicità di una conclusione che esclude la presenza di “redditi adeguati” e disattende nel contempo le richieste istruttorie della controparte che detta presenza invece intende provare.

Nè l’adesione alle deduzioni difensive della C., che ha sostenuto l’assenza di redditi derivanti dalla galleria, ha costituito il frutto di una doverosa verifica di elementi idonei a sostenerle, essendo in verità una tale verifica del tutto mancata malgrado l’ingiustificato comportamento da lei tenuto nei confronti del Fisco con la totale omissione delle dichiarazione dei redditi relativi agli anni 1996-2001, pur in presenza, se non altro, degli importi fino a L. 60.000.000 corrispostile dal F. (sia pure in base ad un titolo controverso fra le parti) e nonostante la produzione relativa agli anni successivi non contenesse, attraverso l’apposita stampigliatura, la prova documentale dell’avvenuto deposito presso l’Ufficio competente.

Del resto la sentenza impugnata non avrebbe potuto ignorare gli acquisti di immobili compiuti nel tempo in comproprietà, certamente indicativi di una non comune disponibilità anche da parte della C., a meno che non fosse risultato provato il loro acquisto con denaro del marito.

In altri termini, la peculiarità della fattispecie, caratterizzata da evidenti comportamenti elusivi nei confronti del Fisco, dalla presenza di cespiti immobiliari di un certo rilievo e dalla disponibilità a vario titolo di opere d’arte, avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello, prima di concludere per la quasi assenza di reddito da parte della C., ad un più rigoroso accertamento attraverso l’utilizzo degli strumenti offerti dall’ordinamento ed espressamente richiesti dalla difesa del F. ovvero, eventualmente, ad una rigorosa prospettazione delle ragioni per le quali, nonostante tutto, si intendeva dar credito alla C. cui peraltro, in definitiva, incombeva l’onere di provare l’inadeguatezza dei propri redditi sia per quanto riguarda il riconoscimento dell’assegno che per quanto concerne la sua determinazione.

Nè la discrezionalità di cui è certamente munito il giudice di merito nel disporre indagini attraverso la Polizia Tributaria, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, nel testo novellato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, può ritenersi di carattere assoluto, trovando un limite nell’impossibilità da parte del giudice medesimo di basare il proprio convincimento in ordine al diritto all’assegno su valutazioni prive del necessario riscontro, alla stessa stregua dell’ipotesi inversa in cui la richiesta venga rigettata per mancanza di elementi utili di valutazione (Cass. 10344/05; Cass. 3168/94); in entrambi i casi infatti il giudice di merito, prima di giungere a delle conclusioni, non può non avvalersi di un tale strumento, peraltro adottabile anche d’ufficio, in deroga al principio dell’onere della prova (Cass. 10344/05; Cass. 3168/94).

Il vuoto riscontrabile nella motivazione in ordine a tale ultimo aspetto nonchè le lacune sopra evidenziate sulle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello in quanto non sorrette dai necessari accertamenti che la situazione avrebbe richiesto, comportano quindi l’esigenza di un ulteriore esame cui dovrà provvedere il giudice di merito, che non potrà esimersi, nel valutare i redditi della C. specie con riferimento all’attività presso la galleria d’arte, da un’indagine approfondita e da una motivazione che rifletta, sia sul piano giuridico che argomentativo, le risultanze che emergeranno.

Rimane in tal modo assorbita la quinta censura, contraddistinta con la lettera E, del primo motivo di ricorso, riguardante il problema dell’incidenza del patrimonio e dei redditi dell’avente diritto nel giudizio volto a garantire il precedente tenore di vita, trattandosi di questione che presuppone in ogni caso una chiara definizione della situazione reddituale della C..

Le esposte considerazioni comportano l’assorbimento anche del secondo e del terzo motivo di ricorso.

Il secondo perchè, investendo la decisione impugnata nella parte in cui si sostiene che la inidoneità o la mancanza di redditi non consentirebbe alla C. di conservare integro il suo patrimonio immobiliare, postula ancora una volta un accertamento definitivo sulla sua situazione reddituale che non può considerarsi tale per le ragioni fin qui esposte; il terzo perchè espressamente dedotto in via condizionata.

Nei limiti delle considerazioni espresse il ricorso deve essere pertanto accolto, con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e con il rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione la quale prenderà atto degli esposti rilievi, uniformando ad essi la propria decisione.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

 

 

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