Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4519 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6603-2018 proposto da:

SAF IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOMENIZZA 42, presso

lo studio dell’avvocato FABIO RIDOLFI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI LATINA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4760/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

la corte d’appello di Roma, con sentenza del 15-7-2017, accogliendo l’opposizione della Saf Immobiliare s.r.l., ha determinato in 2.528.155,00 EUR, oltre interessi legali, l’indennità dovuta dal comune di Latina per l’espropriazione di alcuni terreni interessati dall’attuazione del piano integrato di intervento denominato “(OMISSIS)”, approvato dal comune medesimo per la realizzazione di alloggi di edilizia popolare, servizi e opere di urbanizzazione;

tanto la corte d’appello ha fatto attualizzando la somma alla data di stima eseguita dal c.t.u.;

la società ha proposto ricorso per cassazione;

il comune non ha svolto difese;

la ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo mezzo la società censura la sentenza per omessa motivazione e per violazione e falsa applicazione degli artt. 1282 e seg. c.c., poichè ha riconosciuto gli interessi solo dalla data della stima giudiziale dei beni, anzichè dalla anteriore data in cui, per effetto dell’emissione del decreto di esproprio, aveva avuto luogo la perdita della proprietà;

col secondo mezzo la società censura la sentenza per omessa motivazione e per non aver applicato l’art. 1 Cedu, prot. 1, in tema di tutela della proprietà, avendo mancato di riconoscere il diritto dell’istante alla rivalutazione monetaria dalla data dell’esproprio;

i motivi, suscettibili di unitario esame, sono in parte inammissibili e in parte manifestamente infondati;

è opportuno premettere che da tempo è consolidato il principio secondo il quale le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di valuta, non di valore, come invece implicitamente alluso dalla ricorrente nel secondo motivo di ricorso facente riferimento alla necessità di rivalutare la somma;

pure consolidato è che, ove in esito a opposizione alla stima venga riconosciuta all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere (solo) su detta maggiore somma gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della medesima (Cass. n. 13456-11, Cass. n. 2017817);

ciò presuppone, però, che la stima sia fisiologicamente fatta avendo come base di riferimento il valore (del bene espropriato) alla data dell’espropriazione;

nel caso di specie, di contro, dalla sentenza emerge che la corte d’appello ha svolto la determinazione in base a una stima redatta a novembre 2012 “anche per effetto dell’accoglimento delle osservazioni della parte attrice”, e che ha provveduto sulla base di un valore venale complessivamente ricostruito non alla data dell’esproprio, ma a quella della stima; nè di ciò si è doluta, in qualche modo, la ricorrente, onde potersene dedurre che una simile stima avesse determinato un esito per lei insoddisfacente;

ora rispetto alle obbligazioni pecuniarie, quali sono da considerare le indennità di espropriazione e di occupazione oggetto di lite, gli interessi legali sulle somme dovute risultano strumentali alla reintegrazione del patrimonio del creditore quanto alla perdita connessa alla mancata tempestiva disponibilità delle somme indicate, in base alla presunzione di naturale fecondità del denaro;

in tal senso si distinguono – concettualmente – dagli interessi moratori;

però, come opportunamente in dottrina è stato sottolineato, è abbastanza evidente l’accostamento che, sul piano concretamente funzionale, corre tra le due ridette categorie, giacchè anche gli interessi compensativi (su somme liquide ed esigibili: art. 1282 c.c.) trovano pratico fondamento nel ritardo del pagamento dell’obbligazione, e quindi nella connessione corrente tra il vantaggio che il debitore ne ha ricavato a fronte del pregiudizio risentito dal creditore per la mancata disponibilità della somma al tempo debito;

al dunque, la corte d’appello ha ovviato a simile pregiudizio, tramite l’attualizzazione dell’indennità nel modo appena detto, accogliendo – come si diceva – le conformi “osservazioni della parte attrice”;

avendo provveduto sulla base di un valore venale complessivamente ricostruito non alla data dell’esproprio, ma a quella di stima, la corte del merito ha infine implicitamente ristorato anche e proprio il pregiudizio patito dal creditore per la mancata tempestiva disponibilità della somma;

in vero la determinazione del valore monetario attualizzato si connota, nella concreta fattispecie, come essa stessa rappresentativa di ogni pregiudizio concretamente indennizzabile, e dunque osta a ravvisare la possibilità di una duplicazione in termini di interessi a valere dalla data dell’espropriazione;

astrattamente, potrebbe residuare la sola questione del danno (intermedio) commisurato alla mora ex art. 1224 c.c.; ma è questione che nella specie neppure va affrontata, poichè il ricorso sul punto pecca di autosufficienza: in base al ricorso, nessuna allegazione di una simile tipologia di danno risulta esser stata specificata, perchè la domanda era stata proposta con formula generica – “oltre interessi e rivalutazione dal di del dovuto al soddisfo”;

il ricorso pertanto deve essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quel103ovuto/per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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