Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4518 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. II, 19/02/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 19/02/2021), n.4518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27718-2016 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via L. Mancinelli

65, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Massimiliano Quercetani;

– ricorrenti –

contro

D.C.A., D.C.S., DI.CO.AR.,

rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Cerboni;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 815/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. La presente causa riguarda il conflitto fra P.L., istituita erede di C.A. con testamento olografo del 15 luglio 1986, deceduta il (OMISSIS), e T.L., istituita erede con testamento pubblico posteriore del 19 febbraio 2003, con il quale era stato revocato il precedente testamento olografo.

P.L., chiamando in giudizio T.L. innanzi al Tribunale di Grosseto, ha impugnato il testamento posteriore, sostenendo che, nel momento in cui tale testamento fu fatto, la defunta, a causa di varie patologie, era incapace di intendere e di volere.

Il tribunale, eseguita l’istruzione mediante prova testimoniale, ha rigettato la domanda.

Il primo giudice ha osservato che da alcune delle deposizioni acquisite era emerso che la de cuius, al momento della formazione del testamento pubblico, era capace di intendere e di volere. A tali dichiarazioni, ritenute particolarmente attendibili e qualificate per la loro provenienza (fra cui il notaio che aveva ricevuto il testamento pubblico e il medico di fiducia della C.), bisognava riconoscere una valenza probatoria maggiore rispetto alle dichiarazioni di segno contrario rese dai testimoni offerti dall’attrice.

2. La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado.

3. Per la cassazione della sentenza P.L. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

D.C.S., D.C.A. e Di.Co.Ar., già costituiti in grado d’appello nella qualità di eredi di T.L., hanno resistito con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c.

La corte d’appello ha considerato centrali e preminenti le deposizioni del testimoni B. e del notaio D., che erano invece incapaci di testimoniare, avendo un interesse personale, attuale e concreto a che il testamento a favore della T. venisse dichiarato valido, in quanto i testi erano persone chiamate a rispondere del reato di cui all’art. 643 c.p.

Il motivo è inammissibile. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, le disposizioni limitative della capacità del testimone non costituiscono norme di ordine pubblico, ma sono dettate nell’esclusivo interesse della parte (Cass. n. 403/2006). La nullità (relativa) della testimonianza resa da persona incapace può essere rilevata solo ad istanza di parte, da proporsi subito dopo l’espletamento della prova (Cass. n. 6555/2005; n. 14857/2004). Se l’eccezione è stata respinta la parte soccombente deve chiedere in sede di precisazione delle conclusioni la revoca dell’ordinanza di ammissione della prova che altrimenti diventa definitiva, con conseguente preclusione sia della possibilità del giudice di provvedere all’eventuale revoca dell’ordinanza sia della facoltà della parte di dedurre la questione in sede di impugnazione (Cass. n. 22146/2004). La nullità non dedotta nella competente sede di merito resta sanata e non può essere proposta nel giudizio di cassazione (Cass. n. 13313/1999).

Consegue da quanto sopra che, in sede di ricorso per cassazione, qualora venga dedotta la violazione dell’art. 246 c.p.c., il ricorrente ha l’onere, anche in virtù dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione è stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, subito dopo l’assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 c.p.c., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo (Cass. n. 23896/2016).

La ricorrente non ha assolto al suddetto onere. Si duole del mancato rilievo dell’incapacità del testimone, ma neanche deduce di aver proposto la questione nelle competenti sedi di merito.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.; omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla mancata valutazione di tutte le prove istruttorie.

La ricorrente lamenta a) la mancata considerazione del contrasto esistente fra diverse deposizioni testimoniali; b) la mancata considerazione di prove documentali; c) la mancata considerazione delle contraddizioni che emergevano dal contenuto del testamento; d) l’impropria valutazione dell’accertamento tecnico compiuto in sede penale.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c. e art. 2697 c.c.; omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

Nonostante l’attrice avesse tempestivamente richiesto la nomina di un consulente tecnico medico legale, reiterando la richiesta nel corso del giudizio di primo grado, il tribunale, dopo essersi riservato di decidere all’esito delle prove testimoniali, non aveva assunto alcuna decisione al riguardo.

La corte d’appello, investita con apposito motivo di gravame con il quale si lamentava la mancata ammissione, non ha preso in considerazione la richiesta, nulla dicendo sul punto specifico in tutto il contesto della sentenza. La corte d’appello ha di fatto impedito all’appellante di fornire la prova dello stato di incapacità della defunta al momento della redazione del testamento.

3. E’ prioritario l’esame del terzo motivo, che è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo motivo.

La corte d’appello, nonostante menzioni nelle premesse che la P. aveva chiesto l’espletamento di una consulenza medico legale sullo stato di salute di C.A. al momento della redazione del testamento, non esamina poi tale richiesta, rigettando comunque la domanda.

L’ammissione della consulenza tecnica costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito; ciò non toglie, però, che il giudice non possa, da un lato, negare ingresso all’istanza di consulenza tecnica e, dall’altro, ritenere nel contempo indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti invece, provare, “specie quando oggetto dell’accertamento risultino elementi rispetto ai quali la consulenza si presenta come lo strumento più efficiente d’indagine e la parte si trovi, se non nell’impossibilità, quanto meno nella pratica difficoltà di offrire adeguati parametri di valutazione” (Cass. n. 87/2003).

4. Ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 1, la capacità di testare è la regola e si presume, mentre l’incapacità è l’eccezione: da ciò consegue che la prova dell’incapacità del testatore nel momento in cui fece testamento deve essere fornita con ogni mezzo in modo rigoroso e specifico dalla parte che l’abbia dedotta (Cass., n. 4499/1986). Essa può essere provata con qualunque mezzo consentito dal nostro ordinamento giuridico (Cass. n. 26873/2019).

5. La corte di merito, richiamate la nozione di incapacità di intendere e di volere richiesta ai fini dell’annullamento del testamento e la necessità che la relativa prova sia data da chi lo impugni, ha ripercorso il contenuto delle deposizioni già valorizzate dal primo giudice, a cominciare da quella dell’avv. B.C. e del notaio rogante, sottolineando che da queste emergeva un quadro più che positivo nel senso della capacità della testatrice. Ha poi esaminato le dichiarazioni del medico curante della defunta ( G.L.), ponendo in luce che costui aveva in verità riferito che la paziente già nel 2003 presentava “un certo decadimento legato alla vascolopatia cerebrale”; il medesimo medico curante, nel dibattimento penale, aveva riferito altresì che la testatrice alternava periodi di lucidità a periodi più “soporosi”. Secondo la corte d’appello, tale descrizione non poteva ritenersi indicativa di uno stato di assoluta incapacità di intendere e di volere, protrattosi nel tempo e presente anche nel momento di redazione del testamento. La corte di merito aggiungeva che “anche a voler ritenere (sulla base del riferimento fatto dal teste all’alternanza di periodi di lucidità a periodi non lucidi), che la C. versasse in una condizione di c.d. capacità intermittente, ciò non sarebbe comunque sufficiente a invalidare la disposizione testamentaria, occorrendo che, in tale condizione, fosse provata la sussistenza dello stato di incapacità nel momento in cui la de cuius fece testamento”. Secondo la corte fiorentina, in tale quadro, ad integrare la prova occorrente per invalidare il testamento, non potevano bastare le dichiarazioni dei testimoni offerti dall’attrice, in quanto gli stessi avevano riferito solo genericamente di condizioni di progressivo decadimento e di episodi di fraintendimento e perdita di memoria comuni in persone di età avanzata.

La corte d’appello, in esito a tale ricognizione, ha concluso che l’istruzione non consentiva di ritenere dimostrato lo stato di assoluta incapacità della defunta al momento del testamento, essendoci anzi elementi che deponevano prevalentemente nel senso di far ritenere che la ” C. fosse dotata di capacità cognitiva e determinativa alla data della redazione del testamento (testi B. e D.), pur in presenza di alcuni elementi di rallentamento delle condizioni psichiche dovute all’età e alle patologie sofferte (teste G.)”.

La corte di merito ha ancora richiamato le vicende del procedimento penale celebratosi nei confronti della T., assolta dal reato di cui all’art. 643 c.p. E’ vero, secondo la corte d’appello, che il giudice penale ha ritenuto dimostrata, sulla base della consulenza disposta dal pubblico ministero, l’esistenza di uno stato di infermità psichica della C., tuttavia occorreva tenere nel debito conto che, in ambito penale, lo stato di infermità che viene in rilievo è quello sufficiente a provocare una condizione di indebolimento psichico del soggetto, sul quale possa fare più facilmente breccia la condotta di induzione dell’agente al compimento di atti pregiudizievoli, mentre, ai fini dell’annullamento del testamento, si richiede una condizione di assoluta incapacità di intendere e di volere. Pertanto, concludeva la corte d’appello, “la valutazione espressa dal giudice penale, pur attentamente considerata e valorizzata nel contesto di tutti gli elementi istruttori assunti, non è sufficiente a far conseguire quella condizione di certezza probatoria in ordine all’esistenza del suddetto stato di incapacità assoluta nel momento in cui la de cuius fece testamento, necessaria per farsi luogo, ex art. 591 c.c., alla dichiarazione di invalidità dell’atto”.

6. Emerge con chiarezza che, seppure la corte d’appello abbia riconosciuto la “prevalenza” delle dichiarazioni testimoniali che deponevano nel senso della capacità cognitiva della testatrice, la decisione nel suo complesso non è fondata sul positivo riscontro di uno stato di capacità della stessa testatrice, tale da rendere superflua la consulenza tecnica. Il complessivo esame della sentenza impugnata non autorizza minimamente l’illazione che la corte d’appello abbia ritenuto a priori inutile l’esperimento della consulenza (Cass. n. 3680/1974; n. 3496/1969; n. 183/1968). La decisione è piuttosto fondata sulla insufficienza degli elementi acquisiti in giudizio ai fini della prova della incapacità.

Ora si deve senz’altro riconoscere che, in presenza di una prova insufficiente della incapacità del testatore, il dubbio debba risolversi, in applicazione della regola generale dell’art. 2697 c.c., in danno della parte che l’abbia dedotta, in quanto tenuta a fornire con ogni mezzo, in modo rigoroso e specifico, la prova dell’incapacità del testatore nel momento in cui fece testamento (Cass. n. 4499/1986). Nello stesso tempo, però, si deve riconoscere che la consulenza tecnica, in materia di incapacità del testatore, è in linea di principio strumento efficiente d’indagine idoneo a permettere all’attore di assolvere al proprio onere. Sotto questo profilo, pertanto, la corte d’appello è realmente incorsa nella violazione della norma sull’onere probatorio, oggetto di denuncia con il motivo in esame, avendo ritenuto “indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti, invece, provare (Cass. n. 1793/1998; conf. n. 87/2003 cit.)”.

7. In conclusione, inammissibile il primo motivo, fondato il terzo e assorbito il secondo, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo; dichiara inammissibile il primo; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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