Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4517 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 24/02/2011), n.4517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5393/2008 proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A., (nuova denominazione della Fiat Auto

S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO Raffaele, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO e DIRUTIGLIANO

DIEGO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.A.;

– intimata –

sul ricorso 9514/2008 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati POLI ELENA, VACIRCA SERGIO, BONETTO

SERGIO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A., (nuova denominazione della Fiat Auto

S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO e DIRUTIGLIANO

DIEGO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 213/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/02/2007, R.G.N. 1270/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

uditi gli Avvocati COSSU BRUNO e VACIRCA SERGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 16/17.2.2007 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza resa dal Tribunale di Torino il 24.5.2006 che accoglieva la domanda proposta da G.A. nei confronti della Fiat Group Automobiles spa (di seguito la Fiat) per far dichiarare l’illegittimità della sua collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria nel periodo 9.12.2002/18.4.2003.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, pur dovendosi ritenere che il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, comma 5, avesse abrogato il disposto della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, che prevedeva l’obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonchè le modalità della rotazione”, non imponendo la legge alcun comportamento ulteriore rispetto all’obbligo di discutere di tali criteri in sede di esame congiunto, nondimeno, nel caso, l’esame dei verbali delle riunioni delle parti sociali non offriva alcuna indicazione circa l’esame in concreto dei criteri di scelta, e, quindi, circa il contenuto di tali criteri, nè circa le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Fiat con sette motivi. Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato G.A.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la società ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, osservando che la corte territoriale aveva erroneamente supposto che la norma indicata, nel disciplinare l’esame congiunto, avesse imposto un requisito di forma scritta, ad substantiam o ad probationem, ed aveva, pertanto, illegittimamente ritenuto inammissibili le prove testimoniali articolate in ordine al contenuto dell’esame svolto.

Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la società ricorrente lamenta violazione del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, nonchè dell’art. 2697 c.c., oltre che vizio di motivazione, deducendo che l’azienda non si era mai sottratta al confronto con le parti sociali e che solo la esclusiva valorizzazione del dato formale aveva indotto la corte di merito ad escludere l’ammissibilità della prova testimoniale e a non valutare gli elementi indiziari desumibili dalla documentazione prodotta.

Con il terzo motivo, prospettando violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 e agli artt. 1325 e 2697 c.c.), la ricorrente si duole che, nonostante il silenzio del legislatore e, comunque, l’incertezza del dato testuale, i giudici di appello avessero introdotto, con riferimento alle ragioni ostative alla rotazione, un requisito di forma scritta ad substantiam non prescritto dalla legge, erroneamente ritenendo inammissibili le prove testimoniali sul punto formulate.

Con il quarto motivo, prospettando la violazione delle stesse norme da ultimo indicate, si censura, altresì, la sentenza impugnata per difetto di motivazione in ordine ai documenti acquisiti agli atti, che dimostravano come sul tema della rotazione si fosse discusso in sede di esame congiunto, tanto che l’azienda aveva modificato la propria iniziale indisponibilità al riguardo.

Col quinto motivo si censura ancora la sentenza impugnata per violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2) osservando come i giudici di appello avessero trascurato di considerare che le ragioni ostative alla rotazione non fossero, per definizione, assolute ed immodificabili, ma contingenti e mutevoli, per cui l’azienda del tutto legittimamente aveva modificato le proprie originarie determinazioni al riguardo.

Col sesto motivo di gravame la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, in relazione al verbale del Ministero del Lavoro del 5.12.2002 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la corte territoriale aveva del tutto omesso di considerare il valore probatorio da attribuire al verbale del 5.12.2002 con il quale il Ministero del lavoro aveva certificato la regolarità della procedura svoltasi, essendosi limitata a considerare tale atto tamquam non esset, trascurando del tutto di considerare che il giudice ordinario poteva sindacare il detto atto amministrativo, che si doveva presumere legalmente adottato, esclusivamente ad iniziativa del lavoratore e solo ove fosse configurabile il vizio dell’ eccesso di potere.

Col settimo motivo di gravame la società ricorrente lamenta, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2697 c.c., in relazione agli accordi sindacali 18 marzo 2003 – 22 luglio 2003 (art. 360 c.p.c., n. 3), ed inoltre insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva la ricorrente che la corte territoriale aveva erroneamente escluso l’efficacia sanante dell’accordo 18.3.2003, sulla base di una pretesa invalidità dello stesso, facendo propria una visione formalistica intesa a privilegiare la omessa formale convocazione delle r.s.u., piuttosto che la effettiva volontà della maggioranza delle r.s.u. medesime; interpretazione che si poneva in palese contrasto con i principi di buona fede e di correttezza che devono riscontrarsi in ogni attività negoziale.

Osserva, altresì, che la corte torinese, erroneamente applicando le norme che disciplinano la ripartizione dell’onere probatorio, aveva gravato la società ricorrente della dimostrazione della corretta formazione della volontà dell’organismo sindacale, laddove spettava al lavoratore dimostrare che la situazione di apparenza non coincideva con la realtà e che l’azienda non ignorava la situazione reale.

2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 164 del 1975, art. 5, della L. n. 223 del 1991, art. 1 e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, l’intimata ripropone le difese svolte nel precedente grado, e non esaminate dalla corte territoriale, relative alla persistente vigenza degli obblighi procedimentali previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000.

3. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

4. Sempre in via preliminare deve rigettarsi la richiesta, avanzata dalla parte controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., di dichiarare inammissibile il ricorso principale per l’intervenuta definizione del procedimento di repressione della condotta antisindacale, promosso dalle oo.ss. nei confronti della Fiat, per violazione degli oneri di informazione strumentali all’applicazione della cigs.

La difesa di parte controricorrente ha prodotto le sentenze di questa Corte n. 13240 del 9.6.2009 e n. 15393 dell’1.7.09 che hanno rigettano il ricorso proposto dalla Fiat per la cassazione della sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il comportamento antisindacale e dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione del 31.10.2002.

Da queste sentenze deriverebbero le seguenti conseguenze giuridiche:

a) il comportamento antisindacale da luogo ad un comportamento plurioffensivo e la rimozione dei suoi effetti comporta l’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei singoli lavoratori;

b) l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, è configurarle come una particolare fattispecie di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile, di modo che le pronunce in questione, intervenute tra FIAT e le oo.ss., possono essere fatte valere ai sensi dell’art. 1306 c.c., da tutti gli altri creditori (in questo caso i lavoratori) contro il debitore;

c) ai sensi dell’art. 2909 c.c., sul presupposto che l’espressione che “il giudicato fa stato tra le parti” possa essere letta nel senso che “il giudicato fa stato nei confronti delle parti”, gli effetti delle sentenze potrebbero estendersi nei confronti della parte controricorrente.

Rileva, nondimeno, il Collegio che – fermo restando la conoscibilità dei precedenti di questa Corte – con la memoria ex art. 378 c.p.c., possono essere solo illustrate questioni già trattate nel ricorso e nel controricorso e non possono essere dedotte questioni di diritto nuove, seppure sotto la forma dell’ eccezione di inammissibilità del ricorso. Conseguentemente, le questioni sub a) e b), del tutto estranee al presente giudizio di legittimità, non possono essere prese in considerazione.

Con la questione sub c) si deduce,invece, nella sostanza l’esistenza di un giudicato esterno di cui si chiede l’affermazione anche tra le parti. Il giudicato è, tuttavia, insussistente in quanto le pronunce invocate non possono spiegare la stessa autorità in un diverso giudizio, dato che il giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone – a differenza di quanto qui riscontrabile – che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa petendi (giurisprudenza consolidata, v. per tutte Cass. 27.01.06 n. 1760).

5. Il ricorso principale va rigettato, per essere il dispositivo della sentenza impugnata, sebbene con erronea motivazione, conforme al diritto ed, a tal fine, appare opportuna – per quanto occorre – una breve premessa di ricostruzione legislativa.

5.1.- Sul piano normativo, deve rammentarsi che la L. 23 luglio 1991, n. 223 – che ha introdotto una riforma organica dell’istituto della cigs, ricollegandone la fruizione a particolari requisiti soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonchè alla predisposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati nel tempo – prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale (artt. 1-2).

Il datore di lavoro deve individuare i lavoratori da collocare in cigs adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata. I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della rotazione” sono oggetto di consultazione sindacale, in forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle oo.ss. e l’esame congiunto di cui alla L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5. Qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico- organizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza, non intenda attuare meccanismi di rotazione dovrà indicarne i motivi nel programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8).

Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di integrazione il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti (comma 8, secondo periodo).

Su tale assetto normativo è intervenuto il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, emanato a seguito della delega conferita dall’art. 20 della legge di semplificazione amministrativa 15 marzo 1997, n. 59, che ha inserito il procedimento per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria regolato dalla L. n. 223 del 1991 tra quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento emesso ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2 (art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla legge stessa).

Il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, regolamenta l’esame congiunto della situazione aziendale e testualmente prevede che:

“7. L’imprenditore che intende richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale, direttamente o tramite l’associazione imprenditoriale cui aderisca o conferisca mandato, ne da tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia.

2. Entro tre giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 è presentata, dall’imprenditore o dagli organismi rappresentativi dei lavoratori di cui al medesimo comma, domanda di esame congiunto della situazione aziendale.

3. La richiesta di esame congiunto è presentata:

a) al competente ufficio individuato dalla regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali interessate dall’intervento straordinario di integrazione salariale, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in una sola regione;

b) al Ministero del lavoro e della previdenza sociale – Direzione generale dei rapporti di lavoro, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in più regioni. In tal caso, l’ufficio richiede, comunque, il parere delle regioni interessate.

4. Agli incontri per l’esame congiunto della situazione aziendale in sede regionale partecipano anche funzionari della direzione provinciale del lavoro o della direzione regionale del lavoro, a seconda che l’intervento di integrazione salariale straordinaria riguardi unità produttive ubicate in una sola provincia o in più province della medesima regione.

5. Costituisce oggetto dell’esame congiunto il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonchè delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione. L’impresa è tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.

6. L’intera procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i venticinque giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima, ridotti a dieci per le aziende fino a cinquanta dipendenti”.

5.2 Dalla sovrapposizione di fonti normative si origina il problema del coordinamento della disciplina della fase di avvio della procedura di ammissione alla cigs, oggetto principale del ricorso in esame.

I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del D.P.R. 218, non abroga la L. n. 223 del 1991, e lascia, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ ultimo testo. Il D.P.R. n. 218, non incide, infatti, sulle prescrizione del combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 – riguardanti l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione – atteso che la disciplina da esso prevista attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (cfr. Cass. 28.11.08 n. 28464).

Gli argomenti addotti a sostegno di questa impostazione, secondo cui il D.P.R. n. 218, persegue lo scopo di semplificare il procedimento amministrativo che consente l’autorizzazione della cigs, ma non di alterare il complesso di garanzie assicurato dalla L. n. 223 del 1991, a tutela dei singoli lavoratori e delle organizzazioni sindacali, sono di ordine sistematico e di ordine testuale.

Sul piano sistematico, deve osservarsi che mentre gli organi pubblici (CIPI, Ministero del lavoro) partecipano all’accertamento della crisi ed emanano i conseguenti provvedimenti amministrativi, spetta ai soggetti privati (datori di lavoro e organizzazioni sindacali) gestire la crisi aziendale, secondo la disciplina della L. n. 223 del 1991, che svolge una funzione garantistica tanto delle posizioni di diritto soggettivo riconosciute ai lavoratori quanto delle prerogative istituzionali delle organizzazioni sindacali. Esiste, dunque, una chiara distinzione tra procedimento amministrativo volto all’emissione del provvedimento concessorio e la gestione della cassa integrazione ad opera di soggetti che agiscono in regime privatistico, di cui costituisce significativo momento la comunicazione dei criteri di scelta e l’individuazione delle modalità di applicazione dei relativi criteri. A riprova viene menzionata la giurisprudenza di legittimità in materia di integrazione salariale, per la quale le posizioni di diritto soggettivo dei privati nascenti dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione degradano ad interesse legittimo ove intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca del provvedimento (Cass. S.U. 11.1.07 n. 310; Cass. 27.1.06 n. 1732), mentre all’interesse legittimo si sostituisce, per effetto del provvedimento di ammissione, la piena posizione di diritto nel rapporto tra l’imprenditore (o i lavoratori) e l’INPS (Cass. S.U. 10.8.05 n. 16780).

Quanto ai riferimenti di carattere testuale, si rileva, poi, che nel D.P.R. n. 218, la semplificazione è riferita a singoli momenti del procedimento amministrativo, quali gli atti iniziali (“la domanda di intervento straordinario”, art. 3), gli accertamenti ispettivi (art. 4), i termini di conclusione del procedimento (art. 8), la validità ed efficacia del provvedimento (art. 9), e mai al complesso delle garanzie apprestato dalla L. n. 223. Inoltre, si rimarca che tra le disposizioni esplicitamente abrogate dal D.P.R. n. 218, art. 13, non è inclusa alcuna disposizione della L. n. 223.

In conclusione, dunque, deve ribadirsi, con la già richiamata sentenza n. 28464 del 2008, che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, e ciò anche dopo l’entrata in vigore della disciplina del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni, ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione dell’ integrazione salariale.

Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro (L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8), precisando, altresì, che la normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione del datore di lavoro di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma del D.P.R. n. 218, art. 2, sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri del datore di lavoro con la compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. 9.6.09 n. 13240 e 1.7.09 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle oo.ss. nei confronti di Fiat con riferimento alla procedura di cigs in esame).

Sulla base di queste considerazioni deve, pertanto, ribadirsi che – pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 – la comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a dare, ai sensi della L. n. 164 del 1975, art. 5, alle rappresentanze sindacali aziendali deve contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del prescritto esame congiunto.

6. In tal senso corretta la motivazione della sentenza impugnata, la stessa determina sia il rigetto del ricorso principale, che si fonda sull’opposto assunto che le disposizioni introdotte dal D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, che hanno regolamentato tanto la comunicazione di avvio che la fase di esame congiunto, hanno direttamente inciso, abrogandolo, sul complessivo sistema procedimentale delineato dalla L. n. 164 del 1975, e dal successivo provvedimento del 1991, sia l’assorbimento di quello incidentale.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte in favore del difensore sottoscrittore del controricorso dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna la società ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 35,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., con distrazione a favore dell’avv. Bruno Cossu.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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