Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4514 del 22/02/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4514 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 32614 – 2006 proposto da:
BENACCHIO SILVIA, elettivamente domiciliata in ROMA
VIA SILLA 28, presso lo studio dell’avvocato
COSENTINO CARMINE, che la rappresenta e difende
giusta delega in calce;
– ricorrente –

2012
2620

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che 1o rappresenta e difende

Data pubblicazione: 22/02/2013

ope legis;
controricorrente

avverso la sentenza n. 34/2005 della COMM.TRIB.REG.
di VENEZIA, depositata il 06/10/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNA C. SAMBITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato COSENTINO che si
riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’inammissibilità ricorso MEF, rigetto ricorso
Agenzia.

udienza del 19/12/2012 dal Consigliere Dott. MARIA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Avv. Silvia Benacchio ha impugnato l’avviso di
accertamento emesso il 9.8.2001, con cui era stato rettificato il

IVA per l’anno 1996, in applicazione dei coefficienti presuntivi
di cui al DPCM del 1996. 11 ricorso, accolto dalla CTP di
Padova, è, poi, stato rigettato dalla CTR del Veneto, con
sentenza n. 34/25/05, depositata il 26.9.2005. Avverso tale
sentenza, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione,
successivamente illustrato da memoria, nei confronti del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha resistito
all’impugnazione unitamente all’Agenzia delle Entrate. La
causa, già chiamata all’udienza del 16.3.2011, è, poi, stata
sospesa perché rientrante nell’ambito del condono di cui al DL n.
98 del 2011, indi, è stata nuovamente fissata per l’udienza
odierna.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente , rilevato che il ricorso è stato
notificato, solo, al Ministero dell’Economia e delle Finanze,
privo di legittimazione passiva, essendo l’intero giudizio
successivo al 1° gennaio 2001, giorno di inizio dell’operatività
delle cd. Agenzie Fiscali (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n.
22641 del 2007). La costituzione in giudizio dell’Agenzia delle
Entrate, ancorchè avvenuta oltre il termine previsto per
l’impugnazione, è idonea, secondo il più recente indirizzo di

reddito ed il volume d’affari, ai fini IRPEF, contributo SSN ed

questa Sezione (Cass. n. 27452 del 2008, n. 11775 del 2010, n.
8177 del 2011; n. 5341 del 2012), al quale si intende dare
continuità, a sanare, con efficacia ex tune, il vizio dell’atto

regolamentazione, va inquadrato tra le nullità previste e regolate
dai commi 1 e 2 dell’art. 164 cpc, secondo i quali l’omissione o
l’assoluta incertezza dell’indicazione delle parti rende l’atto di
citazione (e, quindi, qualsiasi altro atto introduttivo di un
giudizio civile) nullo, ma non inesistente, con la conseguenza che
tale nullità è sanata, appunto ex tune, dalla costituzione della
parte effettivamente legittimata.
Con l’unico articolato motivo, deducendo violazione
dell’art. 3, co 179 e segg della L. n. 549 del 1995 e “di altre
norme di collegamento in materia di accertamenti tributari”,
nonché difetto di motivazione, in riferimento all’art. 360, 1° co,
n. 3 e 5 cpc, la contribuente afferma che la sentenza impugnata
non ha considerato che: a) l’atto d’imposizione fondato, solo, sui
dati parametrici, senza il previo riscontro di una contabilità
inattendibile, è illegittimo, tenuto conto che il valore probatorio
dei parametri stessi è equiparabile alla presunzione semplice,
priva dei requisiti della gravità, precisione e concordanza; b)
l’atto impositivo deve essere motivato, anche in relazione al
requisito della “grave incongruenza” tra i ricavi dichiarati e
quelli presumibili per la specifica attività; c) non sussiste
l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

introduttivo del giudizio, vizio che, in difetto di specifica

Il motivo è infondato. Questa Corte ha affermato (Cass.
SU. n. 26635/2009) che la procedura di accertamento tributario
standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli

semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege
determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli
standards in sé considerati -meri strumenti di ricostruzione per
elaborazione statistica della normale redditività- ma nasce solo
in esito al contraddittorio -da attivare obbligatoriamente, pena la
nullità dell’accertamento, con il contribuente- ed il cui esito non
condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice
tributario valutare liberamente tanto l’applicabilità degli
standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore,
quanto la controprova del contribuente, che non è vincolato alle
eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e
dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni
semplici; anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio
in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli
assume le conseguenze del suo comportamento, in quanto
l’Ufficio può motivare il suo accertamento sulla sola base
dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità
di istituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il
rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio,
la mancata risposta all’invito.
Nell’accogliere

l’appello

dell’Ufficio,

l’impugnata

studi di settore costituisce, bensì, un sistema di presunzioni

sentenza non ha affermato principi diversi da quelli appena
esposti, ma ha osservato che la contribuente “oltre a non aver
accettato il contraddittorio”, non aveva “presentato alcuna prova,

reddituali dell’Ufficio”, così, implicitamente, ritenendo che
l’accertamento era coerente coi dati fattuali acquisiti in giudizio.
AI riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte
ribadito che l’apprezzamento delle risultanze processuali
costituisce prerogativa esclusiva del giudice del merito,
sindacabile in sede di legittimità, solo, per difetto di motivazione
e non per conseguire una nuova o diversa valutazione di merito.
Nella specie, nonostante tale vizio sia stato formalmente dedotto,
Io stesso non è poi stato, in alcun modo, esplicitato dalla
ricorrente: il motivo è incentrato su argomentazioni teoriche
circa la natura di presunzione semplice da riconnettere
all’accertamento standardizzato, ascrivibile nel sistema delineato
dall’art. 39, 1° co, lett. d) del dPR n. 600 del 1973, circa le
relative refluenze sull’oggetto delle contestazioni del
contribuente, e la possibilità di definizione mediante
accertamento per adesione, ma è privo di alcun riferimento al
caso concreto, né possono sopperire le argomentazioni svolte
seno alle due memorie presentate, con le quali, riprendendo i dati
enunciati nella narrativa del ricorso, si sottolinea la particolare
situazione della contribuente nel 1996 e si deduce che la
documentazione depositata (neppure specificata) era idonea a

certa, efficace ed obiettiva che possa confutare le risultanze

’8grfgrr n

7:17; !ST7 ’71 (Th

;

spiegare la situazione finanziaria dell’epoca, in quanto tali
argomenti, piuttosto che censurare la sufficienza della
motivazione svolta dalla CTR, sono, all’evidenza, volti a

profilo relativo al difetto di motivazione dell’atto
d’accertamento, ove privo dell’esplicazione delle gravi
incongruenze tra ricavi contabili e ricavi calcolati in base ai dati
parametrici, è inammissibile perché nuovo, non trattandone
l’impugnata sentenza, e perché difetta, comunque, di
autosufficienza, non essendo stati esposti gli elementi di fatto,
rilevanti al riguardo. Anche l’asserita illegittimità del DPCM -in
quanto non corredato del preventivo pare del Consiglio di Statodi cui la contribuente tratta nella memoria, è inammissibile, in
quanto la questione non è stata dedotta in seno al ricorso.
Il ricorso va, in conclusione, respinto, e la ricorrente va
condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 1.500,00, oltre a spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2012. ,

provocare un’inammissibile nuova valutazione dei fatti. Il

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