Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4514 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/02/2017, (ud. 15/09/2016, dep.21/02/2017),  n. 4514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3333/2014 proposto da:

K.I.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

MANNUCCI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO DI CAMPOBASSO, C.F.

(OMISSIS), in persona del Prefetto pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 449/2013 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, emessa e

depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato Stefano Latella (delega Avvocato Luigi Mannucci),

per la ricorrente, che chiede raccoglimento del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con sentenza n. 449 del 2013 (depositata il 14/10/2013 e notificata il 9/12/2013) il Tribunale di Campobasso, in accoglimento dell’appello proposto dall’UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO – PREFETTURA DI CAMPOBASSO avverso la sentenza n. 67/2007 emessa dal Giudice di Pace di Larino, con la quale era stata accolta l’opposizione proposta da K.I.M., rigettava il ricorso con convalida della ordinanza emessa ai sensi della L. n. 386 del 1990, art. 2, comma 1.

Avverso detta pronuncia K.I.M. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi: con il primo motivo lamenta vizio di motivazione su un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, n. 5; con il secondo mezzo denuncia la violazione dell’art. 2702 c.c.; L. n. 59 del 1997, art. 15 e art. 116 c.p.c., sotto il profilo dell’art. 360, n. 3.

La Prefettura di Campobasso ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo la reiezione del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta: “Con il primo motivo la ricorrente lamenta che il giudice di appello abbia omesso l’esame di un fatto decisivo per il giusizio, in particolare la circostanza che ella al momento della emissione degli assegni de quibus non fosse più l’amministratrice della società titolare del conto bancario sul quale erano stati tratti i titoli di credito in questione.

Il motivo è inammissibile, prima che infondato.

Va preliminarmente osservato quanto al vizio di motivazione, che le Sezioni Unite di questa Corte hanno a firmato il principio secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla specie ratione temporis (per essere stata depositata la sentenza in data 14/10/2013), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, precisando altresì che il medesimo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal lesto della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o cdratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, firmo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultane probatorie (Cass. SS. UU. n. 8053 del 2014).

Nella specie, la sentenza impugnata, quanto alle ragioni di irrilevanza delle circostanze dedotte (il non essere più amministratrice della società intestataria del conto corrente), presenta una motivazione che non è riconducibile al paradigma della assenza di motivazione nei sensi di cui alla citata pronuncia.

Diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, il giudice ha ampiamente valutato la circostanza circa il ruolo della K. nella s.p.a., traendone le conclusioni di cui si dirà di seguito nel secondo motivo.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentena per violazione dell’art. 2702 c.c., L. n. 59 del 1997, art. 15 e art. 116 c.p.c., sotto il profilo dell’art. 360, n. 3. Secondo la K. la visura camerale dimostrava che costei non rivestiva più alcuna carica societaria al momento dell’emissione degli assegni contestati dalla Prefettura di Campobasso e per questo si sarebbe dovuto ritenere responsabile il nuovo amministratore della Isernia Football Club, A.R..

Il motivo risulta palesamente infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, gli illeciti amministrativi di cui alla L. 15 dicembre 1990, n. 386, artt. 1 e 2, possono essere commessi da chiunque emetta assegni bancari o postali sena l’autorizzazione del trattario o nonostante il difetto di provvista, indipendentemente dalla titolarità di un rapporto di conto corrente; ne consegue che soggetto attivo può essere anche colui il quale, pur non essendo titolare del conto corrente, intestato ad una società, abbia emesso l’assegno in forza di delega alla firma conferitagli dall’amministratore della società stessa (Cass. n. 10417 del 2010).

La legge punendo la condotta di chiunque, infatti, non determina alcun distinguo in relazione alla qualità del soggetto emittente, di conseguenza nel momento in cui la ricorrente non ha disconosciuto di essere stata la firmataria degli assegni de quibus, perciò stesso non può essere esonerata da responsabilità”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dalla ricorrente nella memoria illustrativa non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, non risultando nelle difese svolte nell’atto di opposizione introduttivo del giudizio alcun disconoscimento della sottoscrizione de qua, conseguentemente il ricorso va respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente in solido alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 15 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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