Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4512 del 21/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 21/02/2017, (ud. 30/11/2016, dep.21/02/2017), n. 4512
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27549-2015 proposto da:
EQUITALIA SUD SPA, (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO CANTORE 5,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MARIA GAZZONI,
rappresentata e difesa dall’avvocato VIVIANA DE BELLO giusta procura
in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ GLOBO CAR SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato
GABRIELE IULIANO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5866/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE SEZIONE DISTACCATA di SALERNO del 28/01/2015, depositata
il 16/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/11/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Atteso che ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata e ritualmente comunicata la seguente relazione:
“Con sentenza in data 28 gennaio 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, rigettava l’appello proposto da Equitalia Sud spa avverso la sentenza n. 431/15/12 della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva accolto il ricorso di Globo Car srl contro i fermi amministrativi per IRES, IRPEF, IVA, IRAP, TARSU, tasse automobilistiche ed altro per gli anni 1998, 2000/2004. La CTR in particolare rilevava che nemmeno in grado di appello l’Agente della riscossione avesse comprovato, adeguatamente, l’avvenuta notificazione degli atti “presupposti” di quelli impugnati (cartelle di pagamento).
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione Equitalia Sud deducendo due motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 – 4, – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 c.c. e violazione dell’art. 112 c.p.c.. In particolare afferma che il giudice di appello, integrando la correlativa mancante motivazione del primo giudice, ha basato la propria decisione su ragioni diverse da quelle esposte in via di eccezione dalla controparte, con specifico riferimento alla contestazione della conformità all’originale delle copie delle cartelle notificate ed alla mancanza di prova dell’osservanza della procedura notificatoria di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26.
Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e di ultrapetizione particolarmente in ordine al rilievo della sussistenza di vizi della notificazione delle cartelle di pagamento de quibus, con particolare riguardo alla mancata produzione degli atti relativi alla stessa.
Esaminate congiuntamente per la stretta connessione, le censure, formulate ai limiti dell’ammissibilità (come pure eccepito dalla controricorrente), comunque si palesano infondate.
Oggetto della cognizione del giudice di appello era la questione posta dalla società contribuente sin dalle prime cure – anche con eccezione specifica in punto conformità agli originali delle copie degli atti prodotti dall’Agente della riscossione – della mancata prova dell’avvenuta rituale notificazione delle cartelle di pagamento costituenti “atti presupposti” dei fermi amministrativi oggetto diretto del petitum impugnatorio.
Sia il primo che il secondo giudice hanno affermato che tale prova sussistesse, rispondendo quindi intra petita, con un giudizio fattuale e di merito che non può essere ulteriormente sindacato in questa sede, essendo peraltro principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis, da ultimo v. Sez. 5, n. 26610 del 2015).
Non sono quindi ravvisabili le denunciate violazioni di legge nè tantomeno il lamentato vizio di ultrapetizione.
Si ritiene pertanto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 375 c.p.c. per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e se ne propone il rigetto”.
Il Collegio condivide la relazione depositata.
Il ricorso va dunque rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio secondo generale principio della soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese del esente giudizio che liquida in Euro 3.000, oltre a spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017