Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4512 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. II, 19/02/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 19/02/2021), n.4512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25022/2016 proposto da:

P.B.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE

BELLE ARTI, 8, presso lo studio dell’avvocato PAOLA TOPI PAGLIETTI,

che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L.T., B.P.M.N., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 8, presso lo studio

dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ENRICO IANNOTTA, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5214/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso e in subordine il rigetto;

udito l’Avvocato ANGIOLO MORETTI, comparso in sostituzione con delega

scritta dell’Avvocato PAOLA TOPI PAGLIETTI, difensore della

ricorrente, che ha chiesto di riportarsi agli atti depositati;

udito l’Avvocato ENRICO IANNOTTA, difensore delle resistenti, che ha

chiesto di riportarsi agli scritti difensivi depositati, insistendo

nell’istanza ex art. 96 c.p.c..

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 13650 del 2006, pubblicata il 14 giugno 2006, rigettò la domanda proposta da P.L.T. e da P.B.M.N., in qualità di eredi di P.B.E., nei confronti di P.B.A.M., quale coerede di P.B.M., e dell’esecutore testamentario avv. M.F., di pagamento della somma di Euro 65.081,32 oltre accessori in favore di ciascuna attrice, a titolo di restituzione della somma in assunto mutuata dal de cuius E. alla germana M..

Fu rigettata anche la domanda riconvenzionale svolta da P.B.A. nei confronti di P.B.M.N., di risarcimento dei danni in assunto causati dalla mancata e/o ritardata consegna dei saldi dei conti correnti e dei titoli appartenuti alla de cuius M., attribuiti in via testamentaria alla convenuta.

1.1. Il Tribunale affermò che P.L.T., coniuge del defunto P.B.E., era priva di legittimazione attiva in quanto il de cuius aveva rinunciato all’eredità della germana M. premorta, mentre la domanda proposta da P.B.M.N., che aveva accettato l’eredità di M. in rappresentazione del padre, era rimasta priva di riscontro, non essendo stato prodotto il contratto di mutuo a firma P.B.M.. L’entità della somma in assunto mutuata, pari a Lire 504.060.000, rendeva inammissibili la prova per testimoni e quella presuntiva.

2. In accoglimento dell’appello principale proposto da P.L.T. e da P.B.M.N. la Corte d’appello di Roma ha riformato la decisione.

2.1. Con la sentenza non definitiva n. 7058 del 2014, pubblicata il 18 novembre 2014, la Corte territoriale ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo ad entrambe le attrici ed ha ammesso la prova testimoniale da esse dedotta, rimettendo la causa sul ruolo per il prosieguo dell’istruttoria.

2.2. Con la sentenza definitiva, pubblicata il 31 dicembre 2015 e notificata il 6 settembre 2016, la stessa Corte ha ritenuto raggiunta la prova del mutuo ed ha quindi condannato l’appellata al pagamento delle somme richieste, maggiorate di interessi legali dal 31 dicembre 2001 al saldo.

La stessa Corte ha rigettato in parte e ritenuto assorbito per la restante parte l’appello incidentale con il quale P.B.A.M. aveva riproposto la domanda riconvenzionale.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.B.A.M., sulla base di tre motivi. Resistono con controricorso P.L.T. e P.B.M.N..

Il ricorso, già fissato per l’udienza pubblica del 26 marzo 2020, è stato rinviato a nuovo ruolo per l’emergenza sanitaria, e quindi chiamato in decisione all’odierna udienza. In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., artt. 519,520,521,525 c.c., la ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza non definitiva, nella parte in cui ha ritenuto sussistente in capo alle appellanti la legittimazione ad agire per la restituzione del credito asseritamente vantato dal de cuius dei confronti della germana premorta.

Sulla premessa che l’eredità di P.B.M., deceduta il (OMISSIS), si era devoluta per testamento ai germani E. ed A.M.; che E. aveva rinunciato all’eredità con atto per notaio B. in data 1 dicembre 1999, e che sua figlia M.N., con atto in pari data, aveva accettato l’eredità in luogo del padre, la ricorrente sostiene che l’atto di rinuncia all’eredità avrebbe privato P.B.E. di qualsiasi diritto e credito vantato nei confronti della de cuius, stante il carattere onnicomprensivo della rinuncia. Da ciò la duplice conseguenza, che il rinunciante non avrebbe potuto intraprendere alcuna azione di accertamento o recuperatoria nei confronti della de cuius, non essendo divenuto erede, e che, dopo il decesso del rinunziante, i suoi eredi non avevano titolo per agire iure hereditatis.

1.1. Il motivo è privo di fondamento.

Per effetto della rinuncia all’eredità, che non può essere parziale nè a termine nè condizionata (art. 520 c.c.), il rinunziante rimane estraneo alla vicenda successoria, ma ciò non comporta affatto, come pretenderebbe l’odierna ricorrente, il venir meno delle posizioni creditorie vantate nei confronti del de cuius, che al contrario rimangono integre e possono essere fatte valere nei confronti di coloro i quali siano subentrati nella posizione del de cuius, con l’accettazione dell’eredità.

Nella vicenda in esame, risulta incontestato che P.B.E. rinunziò all’eredità della germana M., rimanendo in tal modo estraneo alla successione e conservando le eventuali ragioni creditorie vantate nei confronti della de cuius, ragioni creditore che si sono trasmesse agli eredi di E., individuati nella coniuge P.L. e nell’unica figlia, P.B.M.N.. Costei, peraltro, aveva già accettato l’eredità di P.B.M. per rappresentazione, subentrando in luogo e nel grado del padre rinunziante, ed era quindi succeduta direttamente alla de cuius (ex plurimis, Cass. 07/10/2004, n. 20018).

Entrambe le eredi di E. hanno quindi agito legittimamente nei confronti di P.B.A.M., erede di M. unitamente a M.N., per la restituzione del credito pari alla metà di quello originario.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 2721 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo e si contesta l’ammissione della prova per testimoni del contratto di mutuo in assunto concluso da P.B.E. e M.. La Corte d’appello, in particolare, non avrebbe considerato le molteplici circostanze rappresentate con l’appello incidentale, tutte convergenti in senso contrario all’esistenza del mutuo.

In data (OMISSIS), quando P.B.E. e M. acquistarono da G.A. un pacchetto per ciascuno di quote della s.r.l. Fabbrica di Biscotti P. G., al prezzo di Lire 560.000.000, e il venditore dichiarò di avere ricevuto in precedenza parte del corrispettivo dai singoli cessionari, e rilasciò quietanza a saldo. Risultava quindi, quanto meno in via presuntiva, che P.B.M. aveva acquistato le quote sociali pagando il corrispettivo con danaro proprio in due tranches – la prima in data anteriore all’atto di acquisto, e la seconda contestualmente all’acquisto.

Tale conclusione troverebbe conferma nel contenuto della procura speciale rilasciata da M. al germano E., per il compimento dell’atto, nella quale non vi era menzione del prestito di danaro.

Ulteriormente, non era stato considerato che il testamento di M., redatto due mesi prima dell’atto di acquisto delle quote, quando era già nota l’intenzione di G.A. di vendere le quote, non recava alcuna indicazione del prestito. E poichè si trattava di atto di ultime volontà particolarmente dettagliato, come anche accertato dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 21079 del 2003 passata in giudicato, risultava inverosimile che M., ove avesse avuto bisogno del prestito di una somma così significativa dal germano E., non si fosse preoccupata di disporre in qualche modo a favore di costui, tanto più che ella aveva nominato E. erede di tutte le sue quote societarie già possedute e da optare.

Ulteriormente, la Corte d’appello aveva trascurato di considerare il documento datato (OMISSIS) (giorno dell’acquisto delle quote sociali) e sottoscritto dalle parti, che attestava il prestito di 300 milioni di Lire effettuato da P.B.E. ai cugini G.E., P. e R. per l’acquisto di quote sociali, mentre non vi era traccia del più consistente prestito effettuato, nel medesimo contesto, da E. alla germana M..

Non si era tenuto conto, infine, delle notevoli risorse economiche di P.B.M., che risultava titolare di un ingente patrimonio immobiliare e mobiliare (titoli finanziari per oltre 500.000.000 di Lire, utili da partecipazioni societarie, diritti d’autore, TFR, gioielli, mobili e una ricca biblioteca), donde l’implausibilità del mutuo per fare fonte all’acquisto delle quote societarie.

Risulterebbe violato il disposto dell’art. 2721 c.c., giacchè il prudente apprezzamento affidato al giudice ai fini dell’ammissione della prova testimoniale avrebbe imposto la valutazione dell’intero materiale probatorio, nel quadro di una indagine unitaria ed organica, che nella specie non era stata svolta, con la conseguenza che il richiamo ai rapporti di parentela tra le parti ed al contesto nel quale sarebbe avvenuto il prestito di danaro non risultavano sufficienti a giustificare l’ammissione della prova testimoniale.

2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

La ricorrente ha posto in evidenza fatti che, a suo dire, militavano almeno in via presuntiva nel senso di escludere il mutuo, e che avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello a non ammettere la prova per testimoni, come già aveva fatto il Tribunale. Di contro, la Corte d’appello ha argomentato sul superamento del divieto posto dall’art. 2721 c.c., in ragione del rapporto esistente tra le parti e del contesto nel quale era avvenuto e il prestito, e ciò è sufficiente ad escludere la denunciata violazione di legge, essendo l’accertamento dei fatti posti alla base del prudente apprezzamento estraneo dal sindacato di legittimità (ex plurimis, Cass. 09/01/2020, n. 190; Cass. 22/05/20076, n. 11889).

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione di norme, nonchè omesso esame di fatti decisivi con riferimento alle risultanze istruttorie ed ai riscontri documentali.

La ricorrente, dopo aver ribadito che l’ammissione della prova testimoniale sul mutuo sarebbe frutto di valutazione parziale degli elementi acquisiti al giudizio, lamenta che la Corte d’appello non avrebbe preso in esame le deduzioni di essa ricorrente successive all’assunzione della prova testimoniale, e sarebbe infine pervenuta ad una ricostruzione dei fatti non giustificata dal tenore delle testimonianze.

Dalle dichiarazioni testimoniali non sarebbe emerso alcun elemento dal quale ricavare che il presunto mutuo era stato concluso in forma orale in ragione dei rapporti di parentela tra E. e M.. Al contrario, il carattere della trattativa per l’acquisto delle quote, che aveva visto lo svolgimento di più riunioni, alle quali avevano partecipato anche legali di fiducia delle parti, rendeva inverosimile che le parti avessero deciso di per un prestito concordato oralmente, considerato l’ingente importo.

Ad avviso della ricorrente, le circostanze fattuali accertate confermerebbero l’ipotesi di una intestazione fiduciaria a favore della de cuius delle quote, come prospettato sin dalla comparsa di risposta e poi con la comparsa in appello. E infatti, P.B.M. – che al momento dell’acquisto delle quote aveva già disposto in favore del germano E. attribuendogli tutte le quote “possedute e da optare” del capitale sociale della società G. – non aveva alcun interesse all’acquisto delle quote, a differenza di P.B.E., il quale aveva sicuramente interesse a far subentrare l’unica figlia nella partecipazione alla società, escludendo altri eredi.

3.1. Il motivo è inammissibile poichè attinge la valutazione degli elementi acquisiti al processo, che spetta soltanto al giudice di merito.

Come evidenziato nella sentenza impugnata, i testimoni hanno confermato che nel corso delle riunioni che avevano preceduto la stipula della cessione di quote sociali, P.B.M. aveva dichiarato di non avere la disponibilità necessaria per l’acquisto, ed E. si era reso disponibile ad anticipare la somma necessaria, con obbligo di restituzione entro il 31 dicembre 2001. La circostanza risultava confermata dalla documentazione relativa alla emissione di 4 assegni circolari, per importi pari a quelli versati per l’acquisto delle quote societarie (l’importo complessivo era di Lire 1.308.150.000), il cui prelievo era avvenuto in data (OMISSIS) dal conto corrente Cariplo n. (OMISSIS) intestato a P.B.E. e P.L.T. (pagg. 7 e 8 della sentenza definitiva).

La Corte d’appello ha esaminato anche le circostanze di segno contrario dedotte dall’appellata-appellante incidentale, e, con argomentazioni congrue, ne ha evidenziato la inidoneità a smentire l’avvenuto prestito, sicchè non vi sono margini per il sindacato di legittimità, che non può avere ad oggetto nè l’apprezzamento del materiale probatorio operata dal giudice di merito, ove si tratti di prove non legali, nè il giudizio di attendibilità dei testimoni (ex plurimis, Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 21/07/2010, n. 17097).

4. Le resistenti, nella memoria ex art. 378 c.p.c., hanno sollecitato la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ma la norma invocata non è applicabile al presente giudizio, iniziato dopo il 4 luglio 2009.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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