Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4507 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. III, 24/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 24/02/2011), n.4507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16211-2006 proposto da:

D.V. (OMISSIS), D.S.,

D.A., elettivamente domiciliati “ex lege” in ROMA

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati SCOGNAMIGLIO PASQUALE con studio in 80056

ERCOLANO (NA), VIA 4 OROLOGI 19, SCOGNAMIGLIO MASSIMILIANO e

SCOGNAMIGLIO MARCO giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

SO.GE. (OMISSIS), quale procuratore generale di

So.Ga., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LAMBIASE PASQUALE giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.C. (OMISSIS), D.G.,

D.C., D’.CA., D.I.;

– intimati –

sul ricorso 16584-2006 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA EUGENIO CHIESA 55, presso lo studio

dell’avvocato SCETTI ROBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato

TORRESE GENNARO giusta delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente –

contro

SO.GE., quale procuratore generale del figlio Sig.

SO.GA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LAMBIASE PASQUALE giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.S., D.G., D’.CA.,

D.V., D.A., D.I.,

D.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI –

SEZIONE SPECIALIZZATA AGRARIA, emessa il 4/1/2006, depositata il

22/02/2006, R.G.N. 3814/2003 e 3833/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

SO.Ge., nella qualità di procuratore generale del figlio SO.Ga., premesso che questi era proprietario di un fondo rustico sito in (OMISSIS), concesso in affitto a d.C. e V. nonchè a C.A. e C., con ricorso notificato il 28 gennaio 1994 ha convenuto costoro in giudizio, innanzi al tribunale di Napoli, sezione specializzata agraria, perchè fosse dichiarato cessato – alla data dell’11 novembre 1992 o a quella diversa ritenuta dal giudicante – il rapporto inter partes, con condanna dei convenuti al rilascio del fondo.

Preso atto del decesso, anteriormente al deposito dell’atto introduttivo, di d.C., con atto notificato il 20 giugno 1995, parte attrice ha evocato in giudizio, innanzi al tribunale di Torre Annunziata, sezione specializzata agraria, cui era stato trasmessa la controversia, gli eredi di quest’ultimo.

Instauratosi il contraddittorio, i convenuti, costituitisi in giudizio, hanno resistito alla avversa domanda deducendone la infondatezza e chiedendone il rigetto.

Sia D.A., V. e S., che C.C., inoltre, hanno spiegato domanda riconvenzionale inerente ai miglioramenti apportati al fondo, nonchè, la sola C.C., per ottenere la restituzione dei canoni corrisposti oltre i massimi tabellari.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adita sezione con sentenza n. 997 del 2003 ha dichiarato cessata la affittanza agraria con i fratelli D. (fu c.) e C.C., e cessata la materia del contendere, per intervenuta transazione, nei confronti di D.V. e di C.A..

Gravata tale pronunzia sia da D.V., A. e S. sia da C.C., la Corte di appello di Napoli, nel contraddittorio di SO.Ge. che, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto delle avverse impugnazione, nonchè di C.A., D.C., D. G., D.I. e D’.Ca., rimasti contumaci, ha rigettato gli appelli, con sentenza 4 gennaio – 22 febbraio 2006.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia – notificata il 23-24 marzo 2006 – hanno proposto distinti ricorsi, da un lato, D. V., A. e S., affidato a un motivo, con atto 11 maggio 2006 e date successive, dall’altro, C.C., affidato a 4 motivi, con atto 22 maggio 2006.

Resiste, a entrambi i ricorsi, con distinti controricorsi SO. G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Con un unico motivo i ricorrenti principali D.V., A. e S. censurano la sentenza impugnata denunziando violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 101, 112, 132, 153, 161, 162, 299 e 355 c.p.c. e all’art. 1 c.c., nonchè nullità della sentenza e del procedimento ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rilevabile anche d’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 per avere la Corte di appello disatteso le eccezioni di insanabile e di giuridica inesistenza della sentenza per morte della parte d.

c. avvenuta prima del deposito e della notifica del ricorso introduttivo, sollevate da essi ricorrenti.

Si assume, infatti, che sussistendo il difetto di vocatio in ius di cui all’art. 101 c.p.c., concerneva la interruzione automatica ipso iure del processo ex art. 299 c.p.c. l’estinzione del processo per mancata o irrituale prosecuzione o tardiva riassunzione nel termine perentorio di sei mesi di cui all’art. 305 c.p.c..

3. L’assunto è infondato.

Come assolutamente pacifico e del resto, invocato dalla stessa difesa dei ricorrenti principali, il decesso della parte avvenuto prima della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado comporta la nullità dell’intero giudizio, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, e non suscettibile di sanatoria per effetto dell’intervento in giudizio degli eredi (Cfr., ad esempio, con riguardo alla eventualità sia venuta a morte la parte attrice, Cass. 6 agosto 2002, n. 11778).

Certo quanto sopra, non controverso che può aversi “interruzione” di un “procedimento” solo allorchè questo sia stato validamente instaurato è di palmare evidenza in termini opposti rispetto a quanto del tutto immotivatamente assume la difesa dei ricorrenti principali che perchè possa trovare applicazione l’art. 299 c.p.c. è indispensabile che il decesso della parte, anteriormente alla costituzione in giudizio, avvenga dopo la rituale instaurazione, tra le parti stesse, del con-traddittorio e, pertanto, dopo la valida notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (in questo senso.

ad esempio, Cass. 17 agosto 2004, n. 16020, nonchè Cass. 16 maggio 2003, n. 7699).

Pacifico quanto precede, non controverso che nella specie la notificazione de il ricorso introduttivo del giudizio al d.

c. è stata eseguita recte: tentata il 28 gennaio 1994, allorchè lo stesso d. era deceduto da oltre tre mesi (essendo deceduto il (OMISSIS)) è evidente che il giudizio nei confronti di costui, mai ritualmente instaurato, non si è interrotto ai sensi dell’art. 299 c.p.c..

Sono, di conseguenza, irrilevanti tutte le argomentazioni svolte dalla difesa dei ricorrenti principali al fine di dimostrare che il giudizio doveva essere riassunto entro sei mesi dall’interruzione e che – pertanto – il processo (nei confronti del predetto d.

c., nei cui confronti lo stesso non si è mai instaurato) si è estinto.

Come invoca la stessa difesa dei ricorrenti principali è risultato accertato, altresì, dalla sentenza impugnata, che nella specie:

– il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato depositato nella cancelleria del giudice adito il 28 ottobre 1993;

– il presidente della sezione specializzata agraria ha fissato, per la comparizione delle parti, l’udienza del 27 marzo 1996;

– dopo avere inutilmente tentato la notificazione del ricorso – decreto nei confronti di d.c. in data 28 gennaio 1994, parte attrice – preso atto della morte del convenuto – ha notificato – per la prima udienza del 27 marzo 1996, il ricorso decreto a tutti gli eredi di d.c. in data 17 giugno 1995;

– la notifica nei confronti dei detti eredi si è perfezionata, per tutti, entro lo stesso mese di giugno 1995 come accertato dalla sentenza impugnata.

Pacifico quanto precede è palese che non vi è stata – da parte dei giudici a quibus – contrariamente a quanto si invoca da parte dei ricorrenti principali, alcuna violazione delle norme indicate nella rubrica del motivo.

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 415 c.p.c., comma 4 “il ricorso introduttivo del giudizio, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza deve essere notificato al convenuto, a cura dell’ attore, entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto …”.

La giurisprudenza di questa Corte regolatrice, peraltro, è fermissima, al riguardo nel ritenere che il termine in questione non è perentorio, ma ordinatorio.

La sua inosservanza – pertanto – non produce alcuna decadenza nè implica la vulnerazione della costituzione del rapporto processuale, a condizione che risulti garantito al convenuto il termine per la sua costituzione in giudizio non inferiore ai trenta giorni, come stabilito dal comma 5 della stessa norma (ovvero a quaranta giorni nell’ipotesi prevista dal successivo comma 6) (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21774; Cass. 29 novembre 2005, n. 26039; Cass. 22 giugno 1994, n. 5997; Cass. 16 agosto 1993, n. 8711, tra le tantissime).

Certo che nella specie, con riguardo alla notifica del ricorso con pedissequo decreto agli eredi di d.c. è stato più che ampiamente osservato il termine, perentorio, di cui all’art. 415 c.p., comma 5 e, è palese – come anticipato – la infondatezza del ricorso principale.

4. Quanto al ricorso della C. parte SE. deduce, in limine, la inammissibilità dello stesso, notificato il 22 maggio 2006, perchè non proposto come controricorso al ricorso dei D. (notificato il 16 maggio 2006) ma autonomamente, come ricorso principale.

5. L’assunto è manifestamente infondato.

Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui – senza alcuna motivazione – totalmente prescinde la difesa del SO., deve ribadirsi che il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso .

Quest’ultima modalità – peraltro – non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (in termini, ad esempio, Cass. 16 novembre 2010, n. 23095; Cass. 19 aprile 2006, n. 9085; Cass. 6 dicembre 2005 n. 26622, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede, non controverso che il ricorso principiale dei D. è stato notificato il maggio 2006 e quello incidentale della C. è stato notificato il 22 maggio 2006, è palese che i termini di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c. sono stati osservati e che, di conseguenza, la invocata inammissibilità del ricorso incidentale non sussiste.

6. Con il primo motivo la ricorrente incidentale C. denunziando – come i ricorrenti principali – violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 101, 112, 132, 153, 161, 162, 299 e 355 c.p.c. e all’art. 1 c.c., nonchè nullità della sentenza e del procedimento ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rilevatile anche d’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, si duole che la Corte di appello abbiano disatteso le eccezioni di insanabile e di giuridica inesistenza della sentenza per morte della parte d.c. avvenuta prima del deposito e della notifica del ricorso introduttivo.

7. Il motivo prima ancora che manifestamente infondato come si è dimostrato in sede di analisi del motivo – avente identico contenuto – sviluppato nel ricorso principale è inammissibile.

Per carenza di interesse.

Come assolutamente pacifico in causa ancorchè contestualmente evocati in giudizio la C. e d.c. conducevano, in forza di distinti contratti, distinte porzioni di un più ampio fondo, di proprietà di SO.Ga. (come del resto sempre dedotto proprio dalla difesa della C. che – come riferito dalla sentenza impugnata – aveva, in sede di merito, dedotto la pluralità degli asseriti rapporti con le altre parti convenute).

E’ di palmare evidenza, pertanto, che nei rapporti tra la C. e gli eredi d.c. si è in presenza di una ipotesi di litisconsorzio facoltativo, ex art. 103 c.p.c. e non di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. si che anche nella eventualità questa Corte avesse dichiarato la nullità della sentenza nei rapporti tra l’attore e i D. la circostanza era irrilevante nei – diversi – rapporti tra l’attore SO. e la C..

E’ incontroverso infatti che l’autonomia delle posizioni processuali delle parti rispetto alle singole cause trattate unitariamente per effetto di litisconsorzio facoltativo comporta che le eventuali nullità attinenti ad una di tali cause non possano ripercuotersi sulla decisione delle altre (in termini, ad esempio, Cass. 16 giugno 1984, n. 3604).

8. Deducendo l’appellante C. che parte attrice “non ha provato documentalmente neppure di essere proprietaria del fondo, con conseguente difetto di legittimazione attiva” i giudici di secondo grado hanno evidenziato che la titolarità del fondo è certa e non contestata in primo grado e certa era fra le parti in causa, dal momento che verso i miglioramenti dello stesso fondo e nei confronti del ricorrente si è indirizzata la domanda riconvenzionale di parte convenuta e si è svolto il contraddittorio tra le parti.

9. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denunzia nella parte de qua la sentenza impugnata lamentando violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Richiamato il principio che il giudice deve decidere iuxta alligata e probata e ricordato che i fatti allegati dall’attore a fondamento della sua pretesa possono essere considerati pacifici solo quando siano stati esplicitamente ammessi dal convenuto ovvero quando quest’ultimo abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili, la ricorrente incidentale evidenzia che la domanda riconvenzionale ha carattere subordinato e residuale rispetto all’interesse della parte convenuta a ottenere il rigetto di una domanda, proposta da un soggetto del quale si dubita della stessa legittimazione attiva.

10. Il motivo non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

10.1. Giusta quanto assolutamente pacifico – presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice da cui totalmente e senza alcuna motivazione totalmente prescinde la difesa della ricorrente incidentale – si ha violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, perchè in questo caso vi sarà solo un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr., ad esempio, Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155).

E’ palese, pertanto, già sotto tale profilo, la inammissibilità della censura in esame.

10.2. A prescindere da quanto precede si osserva – ancora una volta in conformità di una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice e in termini opposti rispetto a quanto, del tutto apoditticamente invoca la difesa della ricorrente incidentale – che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza.

Ne consegue che, a differenza della legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo appunto al merito, non è rilevabile d’ufficio, ma è affidata alla disponibilità delle parti e, dunque, per farla valere proficuamente, deve essere tempestivamente formulata (in termini, ad esempio, Cass. 10 maggio 2010, n. 11284; Cass. 13 giugno 2009, n. 12832).

Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie è palese che assumendo la odierna ricorrente che non esisteva la prova, in atti, che SO.Ga. fosse proprietario del fondo da lei detenuto a titolo di affitto è evidente che la stessa non ha prospettato una questione attinente alla legittimazione attiva al presente giudizio del SO., ma la diversa questione della non titolarità, in capo al SO., del diritto da costui azionato, questione che doveva essere eccepita a istanza di parte nel rispetto delle regole del contraddittorio già in primo grado.

10.3. Deve ribadirsi, al riguardo, infatti, che il convenuto a norma dell’art. 416 c.p.c., nel rito del lavoro (e, non diversamente, a norma dell’art. 167 c.p.c., nella nuova formulazione, nel rito ordinario), nella memoria di costituzione in primo grado “deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto e in diritto …”.

Nel caso in cui il convenuto nulla abbia eccepito in relazione a tali fatti, gli stessi devono considerarsi come pacifici sicchè l’attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo ed è inammissibile la contestazione dei medesimi fatti nei successivi gradi del giudizio (cfr. Cass, 16 dicembre 2010, n. 25526; Cass. 5 marzo 2009, n. 5356;

Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

Pacifico quanto sopra, non controverso che nella comparsa di costituzione – in primo grado – la C. non solo non ha negato la qualità di concedente invocata dall’attore ma ha tenuto una condotta processuale assolutamente incompatibile con la negazione di una tale affermazione (spiegando domanda riconvenzionale per i miglioramenti apportati e la restituzione dei canoni corrisposti oltre la misura legale) è palese che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto non controversa la titolarità del rapporto di affitto in discussione, in qualità di concedente, in capo al SO..

11. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale C. censura la sentenza impugnata nella parte in cui questa ha accertato che il rapporto di affittanza agraria per cui è controversia ha avuto inizio nella annata agraria 1939-40 o altra antecedente, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione circa il momento di inizio del rapporto di affitto agrario, per avere i giudici del merito fondato la propria conclusione sulla deposizione resa dal teste C.V..

12. Al pari dei precedenti il motivo non può trovare accoglimento.

Il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – come assolutamente pacifico – deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

Certo quanto sopra deve escludersi che i giudici a quibus siano incorsi – nella motivazione della sentenza impugnata, quanto all’accertamento della data di inizio del rapporto di affitto inter partes – nei vizi denunziati dalla ricorrente incidentale.

Infatti:

– il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata sì che è onere della parte che lamenta la sussistenza di un tale vizio trascrivere – in ricorso – le espressioni tra loro contraddittorie, che rendono impossibile la identificazione della ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata;

– certo, per contro, che nella specie la ricorrente pur invocando – del tutto apoditticamente – la contraddittoria motivazione della sentenza impugnata si astiene, totalmente, dall’indicare quali siano i passaggi motivazionali censurati, è palese che il motivo, prima ancora che manifestamente infondato, è, sotto il profilo in esame, inammissibile;

– il vizio di insufficiente motivazione, denuncia-bile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, contemporaneamente, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi. Lo stesso, per contro, non può essere prospettato con censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta operata mediante il coordinamento dei vari elementi probatorì, atteso che tale ricostruzione rimane nell’ambito delle possibilità di apprezzamento dei fatti e, non contrastando con criteri logici, attiene al convincimento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità;i – non controverso quanto sopra si osserva che nella specie la ricorrente lungi dall’indicare circostanze, di fatto, emerse dalla esperita istruttoria, che ove tenute presenti dai giudici a quibus avrebbero, con certezza, condotto a una soluzione della lite totalmente diversa da quella fatta propria dalla sentenza impugnata, si limita a opporre la scarsa attendibilità del teste C., parente delle parti in causa;

– la deduzione non può trovare accoglimento, atteso – da una parte – che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 24 luglio 2007, n. 16346; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412), dall’altra, che il teste, che a soggettivo parere della ricorrente ha reso dichiarazioni sfavorevoli ai conduttori aveva rapporti di parentela unicamente con le parti conduttrici e non con quella concedente e lo stesso – inoltre – ha riferito – proprio quanto alla data di inizio del rapporto – circostanze apprese dalla stessa odierna ricorrente, da ultimo, che ancora una volta in ispregio dell’onere di prendere posizione sui fatti di causa imposto al convenuto dall’art. 416 c.p.c. la C., nel costituirsi in giudizio pur Contestando la data indicata nel ricorso introduttivo quale data di inizio del rapporto non ha indicato quale fosse, in realtà la data di inizio del rapporto.

13. Con il quarto, e ultimo, motivo la ricorrente incidentale C. censura la sentenza gravata nella parte in cui ha rigettato la domanda di indennizzo per i miglioramenti che si assume siano stati apportati al fondo oggetto di controversia, per assenza del previo consenso del proprietario – concedente, lamentando violazione o falsa applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art 11.

Motivazione palesemente insufficiente e contraddittoria se non addirittura omessa, circa punti decisivi della controversia. Si osserva, in particolare:

– da una parte, che il consenso del concedente, può essere anche tacito e sotto tale profilo la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato le risultanze di causa e, in particolare, le deposizioni raccolte;

– dall’altra, che i miglioramenti eseguiti sul fondo rustico dall’affittuario coltivatore diretto in epoca anteriore alla promulgazione della L. 1 febbraio 1971 n. 11, che non siano stati autorizzati nè concordati con il locatore sono indennizzabili in forza dell’art. 1651 c.c. e il diritto all’indennizzo è soggetto alla prescrizione decennale che nella specie non può operare non essendo mai stata eccepita dalla controparte.

14. Il motivo non può trovare accoglimento. Sotto nessuno dei profili in cui si articola.

14.1. I giudici del merito, lungi dal negare che possa essere rilevanza, al fine dell’accoglimento della domanda della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 17 un consenso tacito rilasciato dal concedente nella quale eventualità, per ipotesi, l’assunto di parte ricorrente avrebbe un qualche spessore hanno rigettato la domanda sulla base del diverso rilievo che sulla base delle risultanze di causa doveva escludersi che la C., gravata del relativo onere, avesse dato la prova di un consenso ai pretesi miglioramenti anteriore alla loro esecuzione;

Certo essendo, contemporaneamente, che un eventuale consenso successivo è assolutamente irrilevante, al fine del sorgere il diritto alla indennità per eventuali miglioramenti apportati al fondo (cfr. Cass. 5 settembre 2005, n. 17772; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22667, tra le tantissime) è palese la assoluta irrilevanza – al fine del decidere, delle considerazioni svolte nel motivo allorchè si afferma che appare difficile pensare che il proprietario di un fondo permetta vengano effettuati interventi … nell’arco di un periodo di oltre 60 anni con ciò ulteriormente confermando la fondatezza degli assunti di controparte quanto alla data di inizio del rapporto agrario in discussione e di cui al precedente motivo senza manifestare, benchè tacitamente, un consenso.

Era, onere, infatti, della parte ora ricorrente dare la prova che prima dell’esecuzione di ciascun intervento la proprietà avesse dato, espressamente, o tacitamente, il consenso alla sua realizzazione.

Essendo mancata, sul punto, qualsiasi prova è evidente, come già anticipato, l’impossibilità di accogliere il motivo.

Il tutto a prescindere dal considerare che i giudici del merito hanno accertato – altresì – che alcuni interventi, m quanto eseguiti senza previa autorizzazione amministrativa, integravano costruzioni abusive come tali aleatorie e alle quali non poteva, quindi, riconoscersi la qualifica di miglioramento, e che la ricorrente non censura in alcun modo tali accertamenti in fatto.

14.2. Quanto al secondo profilo di censura lo stesso è inammissibile.

Si osserva, infatti, che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente – nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270; Cass. 12 luglio 2005, nn. 14599 e 14590, tra le altre).

Contemporaneamente, non può tacersi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Certo quanto sopra e pacifico che la odierna ricorrente, dopo avere chiesto, in sede di merito, la tutela di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 17 unicamente in sede di legittimità ha chiesto l’applicazione dell’art. 1651 c.c. è palese la inammissibilità della nuova deduzione (non solo non risulta neppure dedotto che in realtà in primo grado fosse stata svolta una domanda a norma di tale disposizione, ma la circostanza è decisamente da escludere, atteso il contenuto del controricorso avversario, ove sono stati fotocopiati gli atti difensivi, del giudizio di merito, della C..

Nè, infine, può dedursi – per ipotesi – che con la nuova richiesta è stata unicamente immutata la norma di riferimento, essendo rimasti invariati i fatti costitutivi della pretesa, atteso che totalmente diversi sono gli accertamenti da compiersi – da parte del giudice – a seconda che sia proposta una domanda L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 17 o, piuttosto, ex art. 1651 c.c..

Al riguardo, in particolare, è sufficiente osservare che mentre in caso di azione ex lege n. 203 del 1982, ex art. 17 il conduttore deve dare la prova, oltre che del consenso (anteriore alla loro esecuzione) del concedente o – in alternativa – dell’autorizzazione dell’Ispettorato agrario (anche esso anteriore alla esecuzione degli interventi), che trattasi di opere che rientrano nella puntuale previsione di cui al precedente, della stessa L. n. 203 del 1982, art. 16, comma 1, l’indennità attribuibile all’affittuario coltivatore diretto, per miglioramenti compiuti anche senza il consenso del concedente, a norma dell’art. 1651 c.c. (abrogato dalla L. n. 11 del 1971, art. 29), in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. n. 11 del 1971, riguarda non già qualsiasi miglioramento, anche di minima entità, apportato al fondo, bensì miglioramenti di durevole utilità per il fondo stesso e per la produzione e che non siano il risultato dell’ordinaria e razionale coltivazione, dovendosi, cioè, trattare di miglioramenti incrementanti, alternativamente, il reddito e la produzione o il valore di mercato del fondo: detta norma, inoltre, non conferiva all’affittuario un diritto all’indicata indennità, rimettendone l’attribuzione alla facoltà discrezionale del giudice (cfr. Cass. 13 maggio 1995, n. 5277).

15. Entrambi i ricorsi, in conclusione, devono rigettarsi, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 2.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 3^ sezione civile della Corte di Cassazione, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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