Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4501 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. III, 24/02/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 24/02/2010), n.4501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28889-2005 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S.

ALBERTO MAGNO 9, presso lo studio dell’avvocato SEVERINI GAETANO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PRETTE MARIO con

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INERTA SRL, in persona del legale rappresentante Geom. O.

G. elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO ALBERTARIO

21, presso lo studio dell’avvocato DAVOLI VINCENZO, rappresentato e

difeso dall’avvocato BRACCO FERNANDO con delega a margine del

controricorso;

AHLSTROM TURIN SPA, in persona del suo Procuratore Dott. BO.

M. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FERDINANDO DI SAVOIA 3,

presso lo studio dell’avvocato SGROMO GIOVAMBATTISTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GARELLI GIOVANNI con

delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 336/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Terza Sezione Civile, emessa il 04/02/2005; depositata il 02/03/2005;

R.G.N. 2495/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato Vincenzo Davoli (per delega Avvocato FERNANDO

BRACCO);

udito l’Avvocato GIOVAMBATTISTA SGROMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter processuale viene così ricostruito nella sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 22 maggio 1997 B.D. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Mondovì, INERTA s.r.l., dichiarando di esercitare il diritto di riscatto relativamente ad alcuni fondi siti in (OMISSIS), nel cui affitto ella era subentrata al padre, terreni che con atto pubblico del (OMISSIS) erano stati acquistati da INERTA, in violazione del diritto di prelazione a lei spettante per legge.

Resisteva INERTA s.r.l., che chiedeva, e otteneva, l’autorizzazione a chiamare in causa la venditrice Bosso Carte Speciali s.p.a..

Questa, costituitasi in giudizio, contestava la pretesa attrice.

Con sentenza del 17 marzo 1999 il Tribunale di Mondovì rigettava la domanda.

Su gravame della soccombente, che evocava in giudizio la sola INERTA s.r.l., la Corte d’appello di Torino, in data 3 settembre 2000, in riforma della decisione del Tribunale, dichiarava che B. D. aveva diritto di esercitare il riscatto agrario dei beni immobili acquistati dalla convenuta, con ogni conseguente pronuncia.

Tale decisione veniva impugnata da INERTA con ricorso per cassazione e la Suprema Corte, con sentenza del 12 maggio 2003 n. 7193, la cassava, rinviando anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Con sentenza del 4 febbraio 2005 il giudice di rinvio respingeva l’appello.

Per quanto qui interessa, così motivava il giudicante il suo convincimento.

Ancorchè la consolidata giurisprudenza di legittimità non ritenesse necessario lo svolgimento in via esclusiva dell’attività di coltivazione per il riconoscimento della qualifica di coltivatore diretto e del connesso diritto di prelazione agraria, non appariva credibile la tesi dell’appellante, secondo cui, nel periodo compreso tra il (OMISSIS) (epoca della morte del suo genitore) e il (OMISSIS) (momento in cui aveva cessato l’attività di infermiera), ella aveva esercitato l’attività di coltivazione diretta dei fondi in contestazione, sia pure inizialmente con l’ausilio della madre.

Esplicitava in proposito il decidente, in piena aderenza all’opinione espressa dal giudice di prime cure, che la prestazione lavorativa di infermiere svolta presso una struttura ospedaliera, comunque organizzata, assorbe una rilevante quantità delle energie lavorative dell’interessato, tenuto conto della necessità giuridica e fisiologica del riposo. Erano quindi obiettivamente inattendibili, oltre che apodittiche, le deduzioni della B. in ordine alla normale compatibilità tra l’una e l’altra attività.

La Corte riteneva inoltre che correttamente non fosse stata ammessa la prova orale articolata in citazione e nella memoria del 23 marzo 1998, vertendo i relativi capitoli su circostanze irrilevanti ai fini del decidere: segnatamente, attività quali il mero taglio dell’erba dei prati, l’allevamento del gregge e la pulizia dei boschi (oggetto del primo e del secondo capitolo della citazione), quand’anche provati, non servivano ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione agraria, posto che, in base alla L. n. 590 del 1965, art. 8 tale diritto compete, quale beneficio eccezionale ed esclusivo, all’imprenditore agricolo che eserciti direttamente la coltivazione del fondo, e cioè solo una delle attività considerate dall’art. 2135 cod. civ.. Aggiungeva il decidente che irrilevante, in un contesto in cui, per quanto innanzi detto, non era stato dimostrato il possesso della qualifica di coltivatrice diretta quanto meno alla data della morte del padre, era altresì la prova della mancata vendita di fondi rustici nel biennio antecedente all’esercizio della prelazione (oggetto del terzo e del quarto capitolo), mentre le circostanze indicate ai nn. 5, 6 e 7 della memoria in data 23 marzo 1998 si riferivano all’attualità ovvero a un periodo che partiva dal (OMISSIS), ed erano come tali inidonee a giustificare il subingresso dell’attrice al padre nel rapporto di affitto a coltivatore diretto che andava verificato con riferimento all’anno (OMISSIS).

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione B. D., articolando cinque motivi.

Resistono con controricorso INERTA s.r.l. e AHLSTROM TURIN s.p.a.

(già Bosso Carte Speciali s.p.a.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 244 cod. proc. civ., ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di merito dichiarato inammissibili, in quanto irrilevanti, i capitoli di prova orale nn. 1 e 2 dell’atto introduttivo del giudizio affermando che gli stessi, quand’anche confermati da testimoni, non sarebbero stati sufficienti a dimostrare la qualità di coltivatrice diretta del fondo della B., e ciò sia ai fini del suo subentro nel contratto di affitto a coltivatore diretto stipulato dal padre, sia ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione agraria ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8. Escludendo che le attività di taglio dell’erba, di pulizia e di pascolo del gregge sui terreni in contestazione rientrassero tra quelle idonee ad attribuire la predetta qualifica, la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno della norma processuale innanzi richiamata la quale richiede certamente la specificazione dei fatti da provare, ma non esige affatto una individuazione analitica degli stessi, rimettendo la precisazione dettagliata delle circostanze oggetto dei capitoli – quali, nella fattispecie, la tipologia delle attività agricole esercitate sul fondo – alla diligenza del giudice e delle parti nel corso dell’espletamento del mezzo.

1.2 Col secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale escluso la configurabilità in capo alla B. della qualifica di coltivatrice diretta, nell’arco temporale compreso tra il (OMISSIS), in ragione della attività di infermiera dalla stessa svolta in tale periodo. Il giudice a quo avrebbe così ignorato il disposto della L. n. 203 del 1982, artt. 6 e 49 secondo cui è coltivatore diretto chi dispone di una forza di lavoro pari ad almeno un terzo di quella occorrente per far fronte alle normali necessità del fondo, in relazione al tipo di coltivazione esistente sullo stesso. E in tale prospettiva non poteva omettersi di considerare che i terreni in contestazione erano rappresentati da prati irrigui, boschi e pascoli siti in zona prealpina, la cui coltivazione richiede solo sporadici interventi di pulizia e taglio dell’erba.

1.3 Col terzo motivo l’impugnante deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il giudice di merito motivato il suo convincimento in ordine alla insussistenza della qualifica di coltivatore diretto in capo alla B. sulla impossibilità di radicarla in un’attività consistente nel mero taglio dell’erba, così mostrando di non aver considerato la natura dei fondi de guibus.

1.4 Col quarto mezzo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte considerato che la prova doveva avere ad oggetto due momenti temporali diversi: e invero, con riferimento all’anno (OMISSIS), l’onere probatorio dell’attore aveva ad oggetto la sussistenza dei presupposti richiesti dalla L. n. 203 del 1982, art. 49 mentre, con riferimento all’anno (OMISSIS), andavano provati i requisiti previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8 per l’esercizio del diritto di prelazione. Invece il giudice di merito non aveva affatto distinto tra l’uno e l’altro periodo, il che spiegava il suo insufficiente approccio con le istanze istruttorie formulate dall’attrice.

Evidenzia quindi l’esponente come, in relazione alla affermazione di essere subentrata al padre nel contratto di affitto, la ricorrente fosse tenuta a dimostrare di avere esercitato, dopo la morte del genitore, attività agricola sui fondi in contestazione in qualità di coltivatore diretto, e cioè impiegando almeno un terzo della forza lavorativa necessaria alle normali esigenze di conduzione degli stessi, con conseguente centralità delle circostanze dedotte nel primo e nel secondo capitolo. E una volta raggiunta tale prova, avrebbe dovuto il decidente valutare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il valido esercizio della prelazione, con riferimento al (OMISSIS), data in cui era avvenuta la vendita dei terreni de quibus, al che erano diretti i capitoli di prova articolati al capo 7 della memoria in data 23 marzo 1998 e 2 dell’atto di citazione.

1.5 Col quinto mezzo l’impugnante lamenta omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere il giudice di merito considerato che la qualità di coltivatore diretto integra una circostanza di fatto che può essere dimostrata sia a mezzo di testimoni che con il ricorso a presunzioni.

Conseguentemente aveva errato il decidente nell’escludere ogni valore probatorio al documento attestante l’iscrizione allo SCAU della B., a far data dal (OMISSIS), data del suo pensionamento.

2.1 Ragioni di ordine logico consigliano di partire dall’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso che, in quanto relativi entrambi alla negativa valutazione della qualifica di coltivatrice diretta della B. nell’arco temporale compreso tra il (OMISSIS), si prestano a essere esaminati congiuntamente.

Con essi la ricorrente critica anzitutto il giudizio di normale incompatibilità formulato dal giudice di merito tra l’attività di infermiere presso una struttura pubblica e altre attività lavorative, quale quella di coltivatore diretto dei fondi per cui è controversa. Contesta inoltre l’assunto secondo cui incombenze quali il taglio dell’erba dei prati, l’allevamento del gregge e la pulizia dei boschi, quand’anche provate, non sarebbero idonee ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione agraria.

2.2 Le censure sono infondate per le ragioni che seguono.

Contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente, che nel secondo motivo ha lamentato il malgoverno del disposto della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 6, a tenor del quale è affittuario coltivatore chi coltiva il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, semprechè tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità del terreno medesimo, il giudice di merito non ha affatto ignorato i principi giuridici che presidiano la materia, avendo anzi specificamente richiamato la lettura che ne da la giurisprudenza di questa Corte.

Il decidente ha piuttosto formulato una valutazione di inattendibilità della tesi di parte attrice di avere svolto, a partire dalla morte del genitore, una doppia attività, argomentando tale suo convincimento sia con precisi riferimenti alle concrete modalità di svolgimento del lavoro di infermiere presso una struttura ospedaliera, sia attraverso la confutazione del tentativo dell’appellante di ridurre al mero taglio dell’erba dei prati e alla pulizia dei boschi l’impegno richiesto dalla coltivazione dei fondi in contestazione.

Ma, se così è, benchè nel secondo motivo sia stato evocato il vizio di violazione di legge, ciò di cui in definitiva la ricorrente è venuta qui a lamentarsi non è già l’erronea ricognizione della fattispecie astratta individuata dalla norma, da parte del giudice di merito, ma piuttosto l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, e cioè la valutazione della vicenda dedotta in giudizio compiuta dal decidente, valutazione la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

2.3 Ciò posto, va in ogni caso affermata l’assoluta condivisibilità, alla luce di massime di comune esperienza, dei giudizi formulati dalla Corte territoriale, sia in ordine al carattere assorbente dell’attività professionale svolta dalla B. – tale da rendere assolutamente implausibile la compatibilità della stessa con la coltivazione dei terreni de quibus – sia in punto di connotati propri di quest’ultima, in un’ottica che sostanzialmente bolla come mero espediente difensivo la prospettiva minimizzatrice che cerca di farne l’impugnante.

2.4 Sotto altro, concorrente profilo va poi osservato che neppure colgono nel segno le critiche relative alla nozione di coltivatore diretto rilevante ai fini dell’esercizio della prelazione, accolta dal giudice a quo.

E invero, se l’intento dal legislatore perseguito mediante gli istituti della prelazione e del riscatto è quello di favorire la coltivazione di un fondo più ampio per una maggiore efficiente produzione (nel caso del confinante), e di un fondo col quale già sussiste una relazione (nell’ipotesi del titolare di un rapporto agrario), giuridicamente utile, ai fini dell’attribuzione dei relativi diritti, deve considerarsi la sola attività di vera e propria coltivazione della terra, l’attività, cioè, che punti sul fondo quale fattore produttivo idoneo, in combinazione con altri, a produrre ricchezza, restandone conseguentemente esclusa e l’attività di mera manutenzione e pulizia del predio, e quella connessa alla esistenza di bestiame da allevare o da governare, degradata al rango di mera evenienza (confr. Cass. civ., 3, 20 dicembre 2005, n. 28237).

3.1 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, il primo e il quarto motivo di ricorso.

Con essi la ricorrente, sotto forma di vizio di motivazione, critica in sostanza la mancata ammissione delle prove orali volte a dimostrare la sussistenza dei presupposti e per il suo subentro nel rapporto di affittanza di cui era titolare il padre, L. n. 203 del 1982, ex art. 49 e per l’esercizio della prelazione agraria, L. n. 590 del 1965, ex art. 8.

Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

E’ invero giurisprudenza assolutamente costante di questa Corte che, qualora in sede di legittimità venga denunciata la mancata ammissione in appello di una prova testimoniale, l’impugnante ha l’onere, se non di trascrivere addirittura nell’atto i relativi capitoli, almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza il supporto di indagini integrative (confr. Cass. civ., 1, 21 marzo 1995, n. 3233 ecc.).

Nella fattispecie l’ottemperanza a siffatto incombente era poi tanto più necessaria in quanto il giudice di merito ha esplicitato in maniera addirittura analitica le ragioni della ritenuta inconferenza della prova richiesta, evidenziando come le circostanze dedotte, quand’anche dimostrate, non fossero utili ai fini del riconoscimento della pretesa attrice. La riproduzione del contenuto dei capitoli era quindi assolutamente indispensabile per apprezzare l’esistenza della denunciata disarticolazione tra materiale istruttorie al quale il decidente ha negato accesso in giudizio, e scelta decisoria adottata.

3.2 Non troppo chiaro è il senso della censura svolta nel primo mezzo, nella parte in cui la ricorrente deduce che, in sede di chiarimenti, le circostanze oggetto dei capitoli sarebbero state più dettagliatamente indicate. E invero, tenuto conto dell’opzione esegetica accolta dalla Corte territoriale in punto di connotati che deve presentare l’attività di coltivazione del conduttore per dare diritto alla prelazione (alla stregua di quanto esposto sub 2.4), la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 cod. proc. civ., giammai avrebbe potuto condurre allo stravolgimento dei fatti che l’attore aveva chiesto di provare – con riferimento ai quali soltanto era stata correttamente valutata l’ammissibilità del mezzo – determinando la loro trasmigrazione dalla sfera della irrilevanza a quella della rilevanza (confr. Cass. civ., 3, 12 febbraio 2008, n. 3280).

3.3 A tali rilievi, già di per se dirimenti, va anche aggiunto (e conclusivamente su questo punto), che, contrariamente a quanto affermato dall’impugnante segnatamente nel quarto motivo, la curia territoriale ha mostrato di essere assolutamente consapevole e della diversa scansione temporale dei fatti da provare, e della scrutinabilità dei momenti topici della vicenda dedotta in giudizio in base a due diverse disposizioni: la L. n. 203 del 1982, art. 49 in ordine ai presupposti perchè, morto l’affittuario, l’erede abbia diritto di continuare nella conduzione del fondo, e la L. n. 590 del 1965, art. 8 perchè, trasferito a titolo oneroso il terreno concesso in affitto, sussista il diritto di prelazione agraria del conduttore.

4.1 Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione risulta peraltro disatteso anche nella formulazione del quinto motivo di ricorso.

Si ritiene infatti, con perfetto parallelismo a quanto testè detto in ordine alla prova orale, che il ricorrente il quale, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, le deduzioni o le istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (confr. Cass. civ. 3, 25 agosto 2006, n. 18506).

4.2 Pacifico quanto precede, v’è da aggiungere, in ordine al valore probatorio dell’iscrizione allo SCAU, che la valutazione espressa dal giudice di merito è assolutamente aderente al consolidato orientamento di questa Corte, pienamente condiviso dal collegio, secondo cui la verifica della sussistenza della qualità di agricoltore non può basarsi su dati empirici e formali, quali gli elenchi redatti dal servizio contributi agricoli unificati (Scau), trattandosi di certificazione rilasciata a fini prevalentemente assistenziali, idonea al più a fornire elementi indiziari, inutilizzabili in assenza di altre emergenze probatorie (confr. Cass. civ., sez. 3, 22 giugno 2001, n. 8595).

In tale contesto il ricorso deve essere rigettato.

Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio di cassazione, liquidate per ciascuno dei controricorrenti nel complessivo importo di Euro 1.700 (di cui Euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

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