Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4500 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. III, 24/02/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 24/02/2011), n.4500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRIVELLUCCI 35, presso lo studio dell’avvocato RASPA

FABRIZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato DINI BRUNO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCO BRESCIA SAN PAOLO CAB S.P.A. (OMISSIS), in persona del

Dirigente Sig. B.E. elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TEMBIEN 15, presso lo studio dell’avvocato FERRETTI ALESSANDRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARILI GIORGIO

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

IMMOBILIARE DM S.R.L., S.L.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 447/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 29/02/2008, depositata il 13/03/2008

R.G.N. 555/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato BRUNO DINI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FERRETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso con il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL FATTO

Con ricorso ex art. 619 c.p.c. L.V. proponeva opposizione di terzo alla esecuzione immobiliare, avente ad oggetto un fondo rustico con sovrastanti fabbricati, promossa dalla Banca del Cimino S.p.a. (ora Banco di Brescia San Paolo Cab Spa) nei confronti della Immobiliare D.M. Spa. Assumeva che D.M.Q., responsabile legale della Immobiliare aveva preteso il trasferimento della proprietà dell’immobile di cui sopra, a garanzia di una serie di prestiti in denaro concessigli, con rogito notarile del 5 maggio 1990, accompagnato da dichiarazione scritta delle parti in cui si riconosceva che l’alienazione aveva esclusiva funzione di garanzia dei prestiti effettuati. Essendo stato il bene, nel frattempo, aggredito da esecuzione immobiliare, il L. chiedeva che il Tribunale di Grosseto, previa sospensione dell’esecuzione, dichiarasse la nullità del pignoramento o la sua inefficacia. In esito al giudizio, in cui si erano costituiti il Banco di Brescia San Paolo Cab e l’avv. S.L.R., creditore procedente intervenuto, il Tribunale adito respingeva l’opposizione con sentenza avverso la quale il L. proponeva appello dolendosi preliminarmente della condanna al pagamento delle spese di giudizio nei confronti del convenuto avv. S.L.R., con il quale era intervenuta una transazione, e lamentando nel merito che l’art. 2915 c.c., comma 2 non fosse applicabile al caso in esame, stante la malafede dell’istituto di credito. Nel giudizio di secondo grado si costituiva il Banco di Brescia San Paolo Cab S.p.a., chiedendo il rigetto dell’impugnazione. In esito al giudizio, con sentenza depositata il 13 marzo 2008, la Corte dichiarava cessata la materia del contendere tra il L. ed il S.L. e respingeva per il resto l’interposto appello. Avverso tale sentenza il L. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso l’istituto di credito il quale ha altresì depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione dell’art. 2652 c.c., n. 6, il ricorrente, pur ammettendo che nel caso di specie il pignoramento de quo era stato trascritto prima della trascrizione della citazione, volta alla declaratoria della nullità della compravendita, ha lamentato che sarebbe stato però rilevante accertare e verificare, da parte dei giudici di merito, la buona fede della Banca al momento della concessione del mutuo. E ciò, in quanto l’esistenza della malafede renderebbe vana ed inefficace la trascrizione effettuata precedentemente. Ha quindi concluso chiedendo che la Corte volesse rispondere al seguente quesito di diritto “se ai sensi dell’art. 2652 c.c., n. 6, la malafede nel compimento di atti giuridicamente rilevanti rende inefficace la trascrizione degli stessi effettuata precedentemente alla trascrizione di altri atti”.

La censura non merita di essere condivisa. Ed invero, a parte ogni considerazione circa l’irrilevanza del richiamo fatto all’art. 2652 c.c., n. 6, trattandosi di norma la quale si riferisce all’acquisto derivativo e non può essere estesa all’ipotesi del pignoramento, mette conto di sottolineare l’assoluta mancanza di correlazione della doglianza de qua con le ragioni poste dalla Corte territoriale a base della propria decisione. Ed invero, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, la ragione fondamentale, posta a base della decisione, non si fonda affatto sulla tesi secondo cui sarebbe stato irrilevante accertare la buona fede del Banco di Brescia San Paolo cab all’atto della concessione del mutuo, bensì sul rilievo che “l’asserita malafede dell’istituto di credito, ancorchè fosse rilevante agli effetti della normativa, non trova alcun riscontro probatorio in causa”.

Tutto ciò considerato, appare evidente come la censura proposta eluda il punto nodale della pronunzia non sia correlata con la ratio decidendi della decisione impugnata difettando della necessaria specificità, attesa la non riferibilità della censura alla sentenza d’appello impugnata fondata – giova ripeterlo – sulla mancanza di prova circa la cognizione del patto commissorio intervenuto tra il venditore ed il compratore dell’immobile. Ed è appena il caso di osservare che le ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare la motivazione della sentenza, devono correlarsi con la stessa, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell’impugnante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime.

Parimenti inammissibile, oltre che infondata, è la successiva doglianza per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con cui il ricorrente, dopo aver dedotto che nell’atto di appello aveva invano insistito per l’ammissione delle prove testimoniali volte a dimostrare la malafede degli organi responsabili della Banca, ha lamentato che la Corte di appello avrebbe omesso di motivare o comunque avrebbe motivato in maniera insufficiente in ordine alla mancata ammissione della prova richiesta.

A riguardo, deve sottolinearsi come il motivo di impugnazione non sia stato affatto accompagnato dal momento di sintesi richiesto, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006.

Ed invero, qualora il vizio di legittimità sia denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5, come insegna questa Corte, la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

La censura inoltre è infondata in quanto, contrariamente all’assunto del ricorrente, la Corte di merito ha adeguatamente chiarito le ragioni per cui ha ritenuto che la pretesa malafede dell’istituto bancario non avrebbe ricevuto il minimo riscontro probatorio anche qualora fosse stata ammessa l’attività istruttoria richiesta dal L.. Ed invero, la circostanza che in un colloquio informale tenuto tra il D.M. e l’allora direttore di una filiale dell’istituto fosse emersa la sussistenza di un patto commissorio tra il L. e il D.M. – così scrivono i giudici di seconde cure – non sarebbe stata comunque idonea a provare che anche la dirigenza dell’istituto di credito fosse, all’epoca del pignoramento, a conoscenza di una diversa situazione proprietaria del bene rispetto a quella emergente dai pubblici registri. E ciò, in considerazione del fatto che il presunto colloquio sarebbe avvenuto – due anni prima dell’iscrizione ipotecaria e sei anni prima della trascrizione del pignoramento – tra il D.M. ed un preteso direttore di filiale, rimasto però ignoto pur essendo stato ricercato durante il primo grado del giudizio al fine di raccoglierne la testimonianza.

Ciò posto, vale la pena di sottolineare che ricorre il vizio di omessa motivazione, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione insufficiente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. Al contrario, nel caso di specie, come è stato evidenziato in precedenza, i giudici della Corte territoriale hanno spiegato con una motivazione sufficiente, logica ed assolutamente non contraddittoria le ragioni per cui hanno ritenuto l’irrilevanza e la superfluità dell’istanza istruttoria non accolta, la quale, essendo diretta a provare circostanze estranee al punto nodale della controversia, non avrebbe potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata.

Considerato che i rilievi della parte ricorrente consistono, in sostanza, in una diversa valutazione in ordine alla valenza probatoria ed alla concludenza delle richieste istruttorie avanzate, senza riuscire ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nella valutazione della Corte di merito, non rimane che rigettare la doglianza. Ne deriva altresì il rigetto del ricorso.

Con riferimento al rapporto processuale tra il L. ed il controricorrente Banco di Brescia San Paolo le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Non deve invece provvedersi sulle spese a favore delle altre parti intimate in quanto le stesse, non costituendosi, non ne hanno subite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, in favore del Banco di Brescia San Paolo Cab Spa, che liquida in Euro 9.400,00 di cui Euro 200,00 per accessori oltre rimborsi di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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