Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 450 del 11/01/2018

Cassazione civile, sez. trib., 11/01/2018, (ud. 03/07/2017, dep.11/01/2018),  n. 450

Fatto

FATTI DI CAUSA

1- In relazione ai giudizio RGN 26747 del 2010, la Ferservizi s.p.a. propose ricorso avverso l’avviso d’accertamento, emesso a seguito di una verifica generale della contabilità, per il 2004, relativo a costi ritenuti indeducibili per mancanza dell’inerenza, in ordine al pagamento di royafties per l’uso di un marchio FS, di proprietà della controllante Ferrovie dello Stato spa.

In particolare, l’ufficio, rilevando che il costo in questione non costituiva una leva per produrre ricavi e proventi, recuperò a tassazione somme per irap e iva.

2- La Ctp di Roma accolse il ricorso, riconoscendo la piena inerenza dei suddetti costi.

3- L’Agenzia delle entrate propose appello, accolto dalla Ctr che ritenne di escludere l’inerenza dei costi, in quanto non era stato dimostrato un nesso di strumentalità tra i costi stessi e l’attività svolta dalla società, rilevando, in particolare, che il fatturato di quest’ultima aveva riguardato per la massima parte commesse ricevute da società del medesimo gruppo e che, eventualmente, sarebbero stati deducibili i soli costi sostenuti per la minor percentuale (7,50%) dei ricavi che il contribuente potrebbe aver realizzato da economie esterne.

4- La società ha proposto ricorso per cassazione, formulando sei motivi.

Resiste l’Agenzia con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.

Con il primo motivo, è stata denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 5, Tuir, vigente all’epoca, adducendo che il concetto d’inerenza delle spese è riferibile all’attività dell’impresa, e non ai ricavi, con riferimento alla produzione del reddito.

Con il secondo motivo, è stata denunciata l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in ordine all’inerenza dei costi contestati all’attività d’impresa.

Con il terzo motivo, è stata denunziata la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, eccependo la nullità della sentenza e del procedimento, avendo la Ctr ritenuto l’insussistenza dell’inerenza dei costi in questione anche argomentando dalla violazione degli artt. 102 e 103 – in ordine alla durata quinquennale minima del contratto – che costituiva invece una questione nuova, non dedotta nell’avviso d’accertamento e non tradotta nei motivi d’appello e, dunque, inammissibile.

Con il quarto motivo, è stata denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 103 Tuir, vigenti all’epoca, ritenendo che la Ctr non avesse correttamente sussunto la fattispecie di fatto nell’ambito di tale disciplina normativa.

Con il quinto motivo, è stata denunziata, in subordine al motivo precedente, l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso circa la dedotta inapplicabilità al caso concreto dei suddetti artt. 102 e 103 Tuir.

Con il sesto motivo, è stata denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 5, Tuir, nonchè la contraddittorietà della motivazione su un fatto decisivo (duplice motivo).

Al riguardo, la lamentata violazione di legge riguarda l’inerenza delle spese all’attività d’impresa, mentre il vizio di motivazione è stato correlato al rilievo per cui la Ctr ha escluso del tutto l’inerenza dei costi, pur rilevando incidentalmente che la deducibilità avrebbe potuto riguardare la minor percentuale di fatturato afferente alle commesse con soggetti esterni al gruppo.

5- In relazione al giudizio RGN 1707 del 2013, l’ufficio contestò che i costi in questione non costituivano una leva per produrre ricavi e proventi, recuperando a tassazione somme per irap e iva. Il relativo avviso d’accertamento (per irpeg ed iva del 2003) concernente le royalties connesse all’uso dei marchio fs venne impugnato dalla predetta s.p.a..

6- La Ctp di Roma respinse il ricorso, escludendo l’inerenza dei suddetti costi.

7- La società propose appello, respinto dalla Ctr che ritenne di escludere l’inerenza dei costi, in quanto non era stato dimostrato un nesso di strumentalità tra i costi stessi e l’attività svolta dalla società, rilevando, in particolare, che il fatturato di quest’ultima aveva riguardato per la massima parte commesse ricevute da società del medesimo gruppo e che, eventualmente, sarebbero stati deducibili i soli costi sostenuti per la minor percentuale (8,50%) dei ricavi che il contribuente potrebbe aver realizzato da economie esterne.

8- La società ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi.

Resiste l’Agenzia con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.

Con il primo motivo del secondo ricorso in esame, è stata denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 5, Tuir, vigente all’epoca, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, riproducendo la medesima questione del primo motivo del precedente ricorso.

Con il secondo motivo, è stata denunciata l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in ordine all’inerenza dei costi contestati all’attività d’impresa.

Con il terzo motivo, la ricorrente, premessa la denunzia della violazione e falsa applicazione del suddetto art. 75, comma 5, Tuir, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19,comma 1, ha criticato l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso afferente alla valutazione di elementi decisivi in ordine all’utilità del costo del marchio, sotto il profilo della minimizzazione dei prezzi dei beni e servizi procurati sui mercato a favore del gruppo, sia sotto il profilo diretto dell’acquisizione di clienti esterni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1- Al giudizio RGN 26747/10 va riunito quello RGN 1707/13, per connessione soggettiva ed oggettiva.

2- Il primo motivo di entrambi i ricorsi riuniti merita accoglimento.

2.1- Parte ricorrente ha lamentato che il giudice d’appello, muovendo dalla premessa generale per cui l’inerenza dei costi relativi al pagamento delle royalties alla Ferrovie dello Stato s.p.a. per l’utilizzo del marchio F.S., richiede un nesso di strumentalità con l’attività svolta dalla società, ha argomentato che il contribuente non ha dimostrato una concreta utilità dell’uso di tale marchio nell’incrementare i ricavi societari, considerando che il fatturato della Ferservizi s,p.a. era rappresentato per il 92,50% da commesse conferite da società del gruppo.

Pertanto, la ricorrente ha censurato la decisione della Ctr in quanto emessa in violazione dell’art. 75, comma 5, Tuir (ora art. 109) che esprimerebbe il principio secondo cui l’inerenza dei costi è legata al’attività d’impresa, con la conseguenza che si rendono deducibili tutti i costi relativi all’attività aziendale, correlati ad operazioni che concorrono a formare il reddito imponibile.

Alla stregua di tale assunto, la ricorrente ha rilevato altresì che l’elemento caratterizzante l’inerenza, come disciplinata dalla suddetta norma, consiste nell’idoneità del costo sostenuto di fornire, anche se in via mediata ed indiretta, una qualche utilità d’impresa.

Ora, il Collegio ritiene che la pronuncia della Ctr sia fondata, sebbene in base ad argomentazioni diverse da quelle adottate in sentenza.

Invero, in conformità di parte della dottrina e in adesione alla prospettazione della ricorrente, l’inerenza esprime la riferibilità del costo sostenuto all’attività d’impresa, anche se in via indiretta, potenziale od in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera estranea all’esercizio dell’impresa (giudizio qualitativo oggettivo). In proposito va precisato che il principio dell’inerenza, quale vincolo alla deducibilità dei costi, non discende dall’art. 75, comma 5, Tuir, che si riferisce invece al diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti (ferma l’inerenza), cioè alla correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili.

Ciò premesso, va disattesa la definizione della nozione dell’inerenza, utilizzata da parte della giurisprudenza di questa Corte, formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente e indirettamente, una utilità all’attività d’impresa, e costituente requisito generale della deducibilità dei costi, con richiamo dal predetto art. 75 (in termini, Cass., n. 10914/15).

Tale orientamento, se, da un lato, correla l’inerenza al rapporto tra costi e attività d’impresa (non riducibile, perciò, ad una relazione necessaria del costo con il reddito o con i ricavi), dall’altro pone erroneamente un necessario legame tra il costo e l’attività d’impresa secondo un parametro d’utilità, all’interno di una relazione deterministica che sottende rapporti di causalità.

In altri termini, secondo la tesi criticata, l’utilità deve essere apprezzata considerando anche la dimensione quantitativa della spesa, per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte.

Tuttavia, come sopra accennato, l’impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all’elemento dell’utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all’attività d’impresa.

Viceversa, l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo.

In questo quadro concettuale, occorre precisare che l’evidenziazione di un comportamento antieconomico in relazione all’imposta sui redditi e dell’iva non può giustificarsi identificando l’inerenza con la sproporzione o l’incongruità dei costi (in tali termini, invece, Cass., n. 10269/17): si è già visto, infatti, che l’inerenza si risolve in un giudizio qualitativo, non quantitativo, e non si ricollega all’art. 75, comma 5, Tuir (ora 109), ma è strettamente correlata alla nozione stessa di reddito d’impresa.

Per quanto esposto, la sentenza impugnata non può essere condivisa in ordine alla motivazione che ha escluso l’inerenza dei costo invocato, poichè esso non aveva incrementato i ricavi aziendali, recependo un’accezione di inerenza non corretta.

2.3- Tuttavia, dall’esame degli atti emerge ugualmente che la Ctr ha ritenuto correttamente che il costo in esame non si correla con l’attività in concreto esercitata dalla s.p.a. Infatti, tale attività si svolge per il 92,5% del fatturato con società del gruppo, e per il resto con soggetti esterni ai gruppo, costituiti da enti pubblici (con procedure di gara pubblica).

In entrambi i casi l’uso del marchio FS è irrelato rispetto all’attività concreta d’impresa. In tali ipotesi, infatti, il costo per l’uso del marchio, più che eccessivo, appare del tutto estraneo alla suddetta attività, insensibile all’efficacia economica del suddetto uso: l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rilevatori della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa.

3. Il secondo motivo è infondato, avendo la Ctr motivato ampiamente in ordine all’insussistenza dell’inerenza dei casti, pur considerando le diverse argomentazioni esplicitate dalla Corte, come esposto, in integrazione di quella originaria.

Il terzo motivo non è ammissibile per carenza di autosufficienza.

Invero, parte ricorrente ha riprodotto solo una parte dell’avviso d’accertamento impugnato (pag. 3 del ricorso), precludendo con ciò la verifica della critica concernente l’inammissibilità della domanda nuova in appello, che l’Agenzia avrebbe presentato in ordine alla questione della durata triennale del contratto di licenza dell’uso del marchio FS.

Il motivo è inammissibile anche perchè non decisivo, in quanto la questione della durata triennale del suddetto contratto non incide sull’insussistenza dei presupposti della deducibilità dei costi in esame, che deriva, per quanto detto, dall’estraneità degli stessi costi rispetto all’attività d’impresa.

Tale motivo sarebbe comunque infondato, poichè la questione della durata del contratto di licenza d’uso del marchio FS è irrilevante riguardo alla sussistenza dei presupposti dell’inerenza dei costi, da escludere, come detto, per la relativa estraneità all’attività d’impresa.

Il quarto e quinto motivo sono, infondati per il medesimo rilievo dell’estraneità dei costi, oggetto dell’avviso impugnato.

Invero, la critica relativa alla violazione degli artt. 102 e 103 del Tuir (pro tempore vigenti), norme che disciplinano determinate modalità di deducibilità dei costi, presuppone l’inerenza degli stessi costi che, invece, la Ctr ha correttamente escluso, anche considerando i motivi sopra esposti.

Infine, sesto motivo non merita accoglimento.

Al riguardo, la prospettata violazione dell’art. 75, comma 5, del Tuir (ora art. 109) non sussiste, attesa la suddetta estraneità dei costi utilizzati per l’uso del marchio FS all’attività d’impresa.

In particolare, la parte ricorrente ha altresì lamentato che per la ridotta percentuale del 7,50% il fatturato della Ferservizi s.p.a. aveva riguardato attività svolta nei confronti di soggetti estranei al gruppo, per cui la deducibilità avrebbe dovuto essere riconosciuta almeno per tali costi.

Al riguardo, se è censurabile la valutazione della Ctr circa la sostanziale irrilevanza economica del fatto che solo uno dei sei contratti stipulati con soggetti terzi rispetto al gruppo non riguardava un ente pubblico, va comunque ribadito che l’indeducibilità dei suddetti costi deriva dalla estraneità dei costi all’attività d’impresa.

Per le medesime argomentazioni, è da escludere il vizio di motivazione, correlato ai fatto che la Ctr aveva escluso del tutto l’indeducibilità dei costi relativi all’uso del marchio FS.

4. Considerata la complessità della questione trattata e i non univoci orientamenti giurisprudenziali, sussistono i presupposti per compensare le spese dei giudizi di legittimità.

PQM

La Corte, disposta la riunione del giudizio n. 26747/10 con la causa iscritta ai n. 1707/13, rigetta i motivi del ricorsi.

Dichiara compensate le spese di entrambi i giudizi di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2018

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