Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4499 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22240-2018 proposto da:

D.M.A.M., T.V., T.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIACOMO BONI 15/D, presso lo studio

dell’avvocato EGIDIO GIUSTI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA T

SALVINI 2-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CIACCIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SIMEONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 237/2018 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZ.

DIST. di TARANTO, depositata il 29/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

D.M.A.M., T.C. e T.V. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo, per violazione degli artt. 817 e 2697 c.c., nonchè erronea e contraddittoria valutazione delle risultanze processuali avverso la sentenza n. 237/2018 della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, depositata il 29 maggio 2018.

Si difende con controricorso il Condominio di (OMISSIS).

Il Condominio di (OMISSIS), con citazione del 23 settembre 2010 convenne D.M.A.M., T.C. e T.V. dinanzi al Tribunale di Taranto, chiedendo di condannare i convenuti al pagamento della spesa di Euro 10.360,00, sostenuta dall’attore per la rimozione, in ottemperanza ad ordinanza sindacale, di una canna fumaria di proprietà D.M.- T., realizzata in tubi di cemento-amianto sulla facciata dell’edificio.

Il Tribunale adito, con sentenza del 30 agosto 2014, accolse la domanda.

La Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha poi respinto il gravame di D.M.A.M., T.C. e T.V., ritenendo che la proprietà della canna fumaria in capo agli appellanti fosse desumibile dalla destinazione funzionale della stessa ai locali loro appartenenti, posti al piano terra ed adibiti a panificio. I giudici di secondo grado hanno quindi considerato non rilevante la prova, emergente dai sopralluoghi della ASL di Taranto, che la canna fumaria non fosse collegata al panificio di proprietà D.M.- T., non essendo stata dimostrata la cessazione del vincolo pertinenziale sin da prima dell’acquisto dell’unità immobiliare, risalente al 23 aprile 1987, ovvero che la stessa canna fumaria fosse stata “scollegata” da epoca antecedente al subentro dei signori D.M.- T. nella titolarità della porzione a piano terra.

L’unico motivo di ricorso di D.M.A.M., T.C. e T.V. denuncia la violazione degli artt. 817 e 2697 c.c., e l’erronea e contraddittoria valutazione delle risultanze processuali, mancando la prova dell’appartenenza della canna fumaria, necessaria al fine di individuare la parte obbligata al pagamento delle spese della rimozione disposta dalla P.A.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Non sussiste l’inammissibilità del ricorso eccepita dal controricorrente, in quanto la censura contiene gli elementi necessari a porre questa Corte in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonchè di cogliere il significato e la portata delle critiche rivolte alle argomentazioni della sentenza impugnata.

Il Collegio, diversamente da quanto ipotizzato nella proposta del relatore, ritiene che il ricorso sia, piuttosto, manifestamente infondato.

Va all’uopo considerato come, in tema di giudizio di giudizio di cassazione per la decisione in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c., anche dopo le novità introdotte nell’art. 380-bis c.p.c. dal D.L. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016, il procedimento può essere definito con rito camerale ove ricorra un’ipotesi diversa da quella opinata nella proposta del relatore, atteso che la detta disposizione stabilisce che la Corte deve rimettere la causa alla pubblica udienza soltanto se ritiene che non ricorrano alcuna delle ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5 (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/03/2017, n. 7605).

Deve considerarsi che la controversia in esame non attiene in via principale all’accertamento della proprietà della canna fumaria, quanto all’individuazione di chi debba sostenere la spesa occorsa per la sua rimozione dalla facciata condominiale in ottemperanza ad ordine della pubblica autorità. Opera allora il principio per cui, in tema di condominio negli edifici, in ipotesi di spese inerenti alle parti comuni, le stesse sono ascrivibili ad uno o ad alcuni dei condomini, e non invece ripartite secondo le regole generali, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, soltanto ove sia accertata in sede giudiziale la responsabilità del singolo partecipante, il quale deve perciò assumere l’onere del relativo ripristino (Cass. Sez. 2, 24/04/2013, n. 10053; Cass. Sez. 2, 22/07/1999, n. 7890). Come allora già più volte affermato in giurisprudenza, con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, appoggiata alla facciata del fabbricato, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, ove sia destinata a servire esclusivamente l’appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione. Per superare tale presunzione, nascente dall’art. 1117 c.c., è dunque necessario dare prova che essa sia pertinente ad unità immobiliare di proprietà esclusiva (Cass. Sez. 2, 29/08/1991, n. 9231; Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350).

Negli stessi argomenti adoperati dai ricorrenti a sostegno della loro censura, si espone, appunto, che la canna fumaria oggetto di lite fosse stata collegata, per la sua specifica funzione di scarico dei fumi, al forno che era utilizzato per l’attività di panificio esercitata in precedenza nell’immobile di attuale proprietà esclusiva dei condomini D.M.- T.. In tal modo, si dà per dimostrato che la canna fumaria, della quale è stata disposta la rimozione, fosse in origine oggettivamente destinata, per le sue caratteristiche, a servire in via esclusiva l’unità immobiliare poi acquistata dai ricorrenti il 23 aprile 1987: ciò, secondo l’insegnamento di principio offerto da Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, vale a dire inoperante la “presunzione” di condominialità stabilita dall’art. 1117 c.c. riguardo all’impianto in questione.

In tal senso si spiega, perciò, la decisione della Corte d’appello di Taranto, la quale ha concluso, previo apprezzamento di fatto delle risultanze istruttorie, che la proprietà della canna fumaria “è da considerarsi radicata in capo ai proprietari del piano terra, essendo stata compiutamente acquisita… la pacifica prova che la pregressa destinazione funzionale della canna fumaria era posta all’esclusivo servizio dei locali, siti al piano terra, adibiti a panificio”.

Nè può rilevare, al fine di ripristinarne la comproprietà, il dato fattuale che l’iniziale destinazione pertinenziale della canna fumaria rispetto all’unità immobiliare ora di proprietà D.M.- T. fosse poi materialmente cessata ancor prima del loro acquisto, rendendosi il forno “indipendente” dal locale terraneo. Una volta ravvisato un rapporto di pertinenzialità, a norma dell’art. 817 c.c., tra una canna fumaria ed una porzione di proprietà esclusiva compresa in un edificio condominiale, la cessazione di tale vincolo avviene, invero, unicamente nei limiti dettati dall’art. 818 c.c., ovvero non facendo meramente venir meno il rapporto di connessione materiale con la cosa principale (e cioè mediante l’asportazione parziale dell’impianto ipotizzata dai ricorrenti), quanto elidendo il rapporto economico e giuridico di strumentalità e complementarità funzionale corrente tra le distinte res; con la conseguenza comunque che, nel caso di specie, il dante causa dei signori D.M. e T. si sarebbe al più così riservato la proprietà della canna fumaria, determinando la cessazione del vincolo pertinenziale ai sensi dell’art. 818 c.c., e non certo che lo stesso impianto fosse stato in tal modo “restituito” alla proprietà condominiale.

Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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