Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4499 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 22/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25860/2016 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e

difeso dall’Avvocato Antonino Li Causi, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e

rappresentata e difesa dall’Avvocato Giovanni Starrantino, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il

04/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.S. ricorre, ex art. 111 Cost., con due motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui la Corte di appello di Messina, rigettando il reclamo dal primo proposto, ha confermato il provvedimento con cui il locale tribunale aveva riconosciuto all’ex coniuge F.G. ex art. 12-bis Legge Divorzio, il 40% del trattamento di fine rapporto del primo, in quanto percepito in data 2 novembre 2005 e quindi in epoca successiva a quella in cui la resistente aveva conseguito il diritto all’assegno divorzile, giusta domanda in tal senso all’epoca già presentata e riconosciuta con sentenza del 7 novembre 2005 n. 2075.

Resiste con controricorso F.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’errata e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 12-bis e quindi l’ingiusto ed errato riconoscimento all’ex coniuge di una quota del T.F.R. per insussistenza dei requisiti di legge ovverosia la titolarità dell’assegno di divorzio.

Il Tribunale di Messina infatti con decreto depositato in data 3 aprile 2013 aveva revocato l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie sicchè alla data di presentazione della domanda di attribuzione della quota del T.F.R., intervenuta in data 8 settembre 2014, la stessa non era più titolare di un assegno di divorzio.

La Corte di appello con l’impugnato decreto non si era confrontata con l’indicata evidenza ed aveva erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che stabiliscono che, quanto al riconoscimento della quota di indennità di fine rapporto spettante, L. n. 898 del 1970, ex art. 12-bis, introdotto dalla L. n. 74 del 1987, art. 16, all’ex coniuge, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge va verificata al momento in cui è maturato per l’altro il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto, con l’effetto che il diritto ad una quota di esso non sorge in favore dell’ex coniuge passato a nuove nozze o che non sia più titolare di un assegno di divorzio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 91 c.p.c. e della L. n. 288 del 2012, art. 1, in cui era incorsa la Corte di appello nel condannare erroneamente il ricorrente al pagamento delle spese di lite e del contributo unificato non avendone accolto il reclamo.

3. Il primo motivo di ricorso è infondato.

La giurisprudenza di legittimità si è in più occasioni confrontata con la L. n. 898 del 1970, art. 12-bis, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 16, là dove, al comma 1, è previsto che: “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”.

Dell’indicata disposizione questa Corte ha avuto modo di individuare la portata con il valorizzare che per la liquidazione della quota del T.F.R. occorre avere riguardo a quanto percepito dall’ex coniuge lavoratore, per detta causale, dopo l’instaurazione del giudizio divorzile, con esclusione di eventuali anticipazioni riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto (Cass. 29/10/2013 n. 24421).

Si è altresì precisato che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell’assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato (Cass. 06/06/2011 n. 12175).

La “ratio” della norma, infatti, è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all’assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, con l’effetto che, indipendentemente dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, ove l’indennità sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno è riconnessa l’attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. (Cass. n. 12175 cit.).

Il principio guarda al rapporto tra domanda di assegno divorzile e di riconoscimento della quota del T.F.R. nelle loro reciproche interrelazioni provvedendo a stringere, nell’assolta loro comune funzione assistenziale e compensativa, la prima al secondo con lo stabilire che il riconoscimento del trattamento di fine rapporto, quale condizione dell’azione proposta L. n. 898 del 1970, ex art. 12-bis, dall’ex coniuge, ben possa sopravvenire alla domanda di divorzio e di riconoscimento del relativo assegno e tanto fino al passaggio in giudicato del relativo accertamento.

Tanto si è affermato coerentemente con la natura costitutiva della sentenza sullo “status” e con la possibilità, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza a partire dalla data della domanda (Cass. 22/03/2018 n. 7239).

Il sorgere del diritto alla quota dell’indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti, ma presuppone che l’assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, ovvero successivamente quando si verifichino le condizioni per la sua attribuzione ai sensi dell’art. 9 legge cit. (Cass. 01/08/2008 n. 21002).

Fermi gli indicati principi, ad ulteriore definizione del perimetro applicativo della norma, si è ancora ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte che ai fini del riconoscimento della quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-bis (introdotto dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 16), all’ex coniuge, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge va verificata al momento in cui matura per l’altro ex coniuge il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso, con la conseguenza che il diritto ad una quota di esso non sorge, ad esempio, a favore dell’ex coniuge passato a nuove nozze o che non sia più titolare di assegno di divorzio (enfasi aggiunta) (Cass. 10/02/2004 n. 2466).

3.1. Del principio da ultimo indicato va qui ribadita l’applicazione al fine di dare soluzione alla controversia in esame, con le precisazioni che seguono.

3.1.1. Il giudicato in materia di assegno di divorzio è contrassegnato quanto ai suoi effetti dall’applicazione della regola del rebus sic stantibus; l’inciso contenuto nell’art. 12-bis L. cit. per il quale il diritto alla quota del T.F.R. va riconosciuto all’ex coniuge “in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5” deve essere pertanto inteso nel senso che l’accertamento e la liquidazione dell’assegno divorzile, cui si correla quello alla quota percentuale del trattamento di fine rapporto percepito dall’altro coniuge, deve intervenire per provvedimento non più impugnabile in punto di sussistenza ab origine dei presupposti legittimanti il riconoscimento. L’indicato rilievo apre ad ulteriori considerazioni che, decisive nella fattispecie in esame, riguardano il rapporto tra il giudicato in materia di assegno divorzile e l’incidenza sullo stesso della successiva revoca.

L’operatività rebus sic stantibus del giudicato sul diritto all’assegno L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6, fa sì che là dove, nel tempo, i presupposti legittimanti il riconoscimento dell’assegno divorzile siano venuti meno, determinando la revoca del primo, tanto non valga, in ragione dell’operatività ex nunc del nuovo accertamento, a porre nel nulla il diritto all’assegno per il periodo coperto dal giudicato.

Il nuovo accertamento ove di accoglimento della revoca varrà a far data dalla proposizione della relativa domanda lasciando fermo il diritto all’assegno di divorzio per il pregresso periodo corrispondente al formatosi giudicato e come tale entrato a far parte del patrimonio dell’ex coniuge.

3.1.2. Appartiene ai principi costantemente affermati da questa corte, quello per il quale, in materia di revisione dell’assegno di divorzio, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell’altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (“rebus sic stantibus”), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. 22/05/2009 n. 11913; Cass. 30/07/2015 n. 16173).

3.2. Il rapporto tra l’accertamento del diritto all’assegno divorzile, nell’operatività rebus sic stantibus del relativo giudicato, con quello del diritto dell’ex coniuge alla quota del T.F.R. L. n. 898 del 1970, ex art. 12-bis e succ. modif. fa sì che, costituendo il primo il presupposto per il godimento del secondo, l’operatività del successivo provvedimento di revoca dell’assegno per il sopravvenuto venir meno delle condizioni del suo riconoscimento ha efficacia ex nunc, a far data dalla domanda di revoca, e non per il pregresso e, negli stessi termini, quanto al diritto ex art. 12-bis Legge cit..

4. Nella fattispecie in esame è incontestato che il signor A. abbia maturato il diritto al T.F.R. in data 2 novembre 2005 e quindi in epoca successiva alla proposizione della domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile in favore della signora F. attribuitole con sentenza del Tribunale di Messina n. 2075 del 7 novembre 2005.

La Corte di appello di Messina, in corretta applicazione dei sopra richiamati principi, ha pertanto rigettato il reclamo proposto dal signor A. avverso il provvedimento in data 14 aprile 2015 del locale Tribunale che, in accoglimento del ricorso proposto ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 12-bis e success. modif., aveva riconosciuto a F.G. il diritto ad una percentuale pari al 40% dell’indennità di fine rapporto percepita dall’ex coniuge divorziato, riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio, condannando il signor A. al pagamento della relativa quota.

L’ulteriore successione di date individuate nel ricorso per cassazione nella sottolineata evidenza che l’ex moglie aveva proposto in data 8 settembre 2014 domanda per il riconoscimento della quota del T.F.R. maturato dall’altro coniuge e tanto dopo che con decreto del 3 aprile 2013, in separato giudizio, il tribunale le aveva revocato l’assegno divorzile, è del tutto irrilevante nel dare soluzione alla fattispecie in esame.

Per i principi sopra indicati, destinati a governare il rapporto tra le domande dell’ex coniuge di accertamento del diritto all’assegno divorzile e di corresponsione della quota del T.F.R. maturata dall’altro cit. L. n. 898, ex art. 12-bis, quanto vale è l’operatività ex nunc della successiva revoca dell’assegno che, efficace a far data dalla relativa domanda, non è capace di incidere, elidendolo, sul pregresso positivo accertamento del diritto all’assegno su cui è caduto il giudicato rebus sic stantibus e, negli stessi termini, sul diritto al mantenimento del correlato diritto alla quota del T.F.R..

Il diritto alla quota del T.F.R. spetta all’ex coniuge titolare di assegno divorzile, che del primo costituisce il presupposto, ove quel trattamento sia stato corrisposto all’altro ex coniuge dopo la proposizione della domanda di divorzio e non può essere posto nel nulla dalla sopravvenuta revoca dell’assegno stesso, destinata ad operare ex nunc, a far data dalla proposizione della relativa domanda.

5. Il secondo motivo resta assorbito.

6. Conclusivamente il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo soccombenza e come in dispositivo indicato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi e generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, A.S., a rifondere a F.G. le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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