Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4496 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. I, 11/02/2022, (ud. 30/09/2021, dep. 11/02/2022), n.4496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 5211/2021 proposto da:

J.T., madre dei minori O.J.O., (nato a (OMISSIS)) e

Ok.Fr. (nato a (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

Torino, via Valfre’, 14, presso lo studio dell’avv. Mariella

Console, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di

Torino;

– intimato –

avverso il decreto n. cron. 433/2020, depositato il 16/07/2020, della

Corte di appello di Torino;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2021 dal Consigliere Dott. ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO Mauro, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità del ricorso;

udito l’avv. MARIELLA CONSOLE per la ricorrente;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto n. cron. 433/2020, depositato il 16/07/2020, la Corte di appello di Torino ha rigettato il reclamo proposto contro il provvedimento del Tribunale per i minorenni che non aveva rinnovato l’autorizzazione D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, richiesta da J.T. nell’interesse dei due figli minori, O.J.O. e Ok.Fr., nati entrambi a (OMISSIS), rispettivamente nel (OMISSIS).

Il giudice del riesame ha, in particolare, rilevato: che negli ultimi anni, mentre la ricorrente era detenuta in carcere, la figura di riferimento per i minori era sempre stata la signora Om., un’amica di famiglia che, dal (OMISSIS), aveva svolto il ruolo di affidataria dei fanciulli, seguendo anche il piccolo J. (affetto da ritardo mentale e autismo) nel suo percorso terapeutico; che la madre, una volta uscita dal carcere, non era andata a vivere con i minori; che i servizi sociali avevano ritenuto che, per garantire a questi ultimi un contesto di crescita stabile e protetto, fosse utile il proseguimento dell’affidamento familiare; che il percorso della madre rispetto alla consapevolezza delle problematiche del figlio J. era ancora lungo, nonostante il suo desiderio autentico di aiutare il figlio.

Il medesimo giudice ha anche constatato che era in atto un conflitto tra la madre e l’affidataria dei minori, che si manifestava anche in presenza dei bambini e che causava confusione di ruoli e timore di cambiamenti improvvisi, aggiungendo che i minori avevano accettato il ruolo dell’affidataria, nei confronti della quale provavano affetto profondo, pur riconoscendo nella ricorrente una figura materna, nei confronti della quale, però, nutrivano sentimenti ambivalenti.

In tale quadro, il giudice del reclamo ha dato rilievo all’adozione del provvedimento di espulsione unitamente alla condanna della ricorrente per la commissione di gravi e reiterati reati (detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti) e ha ritenuto che il legame di quest’ultima con i figli era, nel presente, insussistente e avrebbe dovuto essere ricostruito con una serie di incontri dall’esito tutt’altro che scontato.

In sintesi, la Corte d’appello ha escluso l’esistenza di gravi motivi che potessero giustificare la concessione dell’autorizzazione in favore della ricorrente D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, che non viveva con i minori e che aveva appena iniziato un percorso di recupero delle funzioni genitoriali che si prospettava lungo e incerto. La stessa Corte ha anche evidenziato che i reati commessi erano ostativi della regolarizzazione e pertanto, non essendo stata dedotta alcuna concreta esigenza preminente e di carattere temporaneo relativa ai minori, non vi erano i presupposto per concedere la richiesta autorizzazione, non potendo ravvisarsi un concreto interesse prevalente afferente alla tutela dei minori, che vivevano con un’altra persona per effetto di un provvedimento di affidamento familiare, tenuto conto che non vi era un positivo rapporto genitoriale attuale, non essendovi neanche il rischio di allontanamento dei bambini dall’Italia, ove potevano restare insieme all’affidataria.

Avverso tale statuizione, con ricorso notificato in data 16/02/2021, la J.T. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’intimato, nonostante la ritualità della notifica, non si è difeso con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta l’omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la Corte d’appello rigettato il reclamo senza considerare quanto segue:

1) la ricorrente non era mai stata privata della responsabilità genitoriale, benché i minori fossero stati affidati a un’amica di famiglia, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 4, tant’e’ che, in caso di espulsione, avrebbe potuto portare i figli con sé e questi ultimi avrebbero avuto il diritto di seguirla.

2) tutte le relazioni acquisite agli atti avevano evidenziato che la ricorrente, anche durante la detenzione, aveva mantenuto rapporti con i figli minori e che la stessa, nonostante le difficoltà e i conflitti di recente sorti con l’affidataria, costituiva un importante punto di riferimento per i figli (relazione dei servizi sociali del (OMISSIS), relazione del servizio NPI dell’ASL di (OMISSIS), relazione del Centro (OMISSIS) e relativo aggiornamento, relazione rilasciata dal Progetto (OMISSIS)), avendo, in particolare, la Dott.ssa M. del servizio NPI dell’ASL di (OMISSIS) ritenuto indispensabile, per il benessere psicologico dei minori, che sia la madre sia l’affidataria ottenessero l’autorizzazione a restare in Italia;

3) il percorso compiuto durante e dopo la detenzione evidenziava la possibilità per la ricorrente di avere un ruolo positivo nella vita dei figli, nonostante gli errori commessi in passato, ottenendo dal (OMISSIS) la semilibertà per andare al lavorare e avviando un percorso di sostegno alla genitorialità (inserimento nel progetto (OMISSIS) della (OMISSIS) e presa in carico presso il Centro (OMISSIS));

4) il provvedimento di espulsione disposto dal giudice penale ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86, al momento della condanna non era automaticamente esecutivo, ma era subordinato all’accertamento della 4 effettiva pericolosità sociale, da compiersi in concreto, una volta finito il periodo di detenzione, da parte del Magistrato di sorveglianza, come poi era stato fatto, tenuto conto che, in data 10/09/2020 (dopo la pubblicazione del provvedimento impugnato), quest’ultimo aveva sostituito la misura di sicurezza dell’espulsione con quella della libertà vigilata per un anno.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 19, 28 e art. 31, comma 3, dell’art. 8 CEDU, degli artt. 3, 9 e 10 della Convenzione sui diritti del fanciullo, oltre che della Direttiva 2003/86/CE e degli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost., perché la Corte d’appello aveva deciso senza considerare che la privazione del familiare, in conseguenza della sua espulsione, costituisce di per sé un danno grave per la crescita psicofisica dei minori, privandoli di un legame affettivo determinante nel percorso evolutivo, oltre che del necessario sostentamento economico e del costante riferimento educativo. Secondo la ricorrente, ciò era sicuramente vero nella fattispecie, tenuto conto che la stessa Corte d’appello aveva rilevato che i minori nutrivano nei confronti della ricorrente un affetto profondo, riconoscendo in essa una figura materna, aggiungendo che il danno derivante dalla perdita dei contatti con la madre poteva essere particolarmente grave per il figlio J., già affetto da un grave disturbo del comportamento e della personalità.

Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28 e art. 31, comma 3, della L. n. 184 del 1983, art. 1, dell’art. 8 CEDU, degli artt. 3, 9 e 10 della Convenzione sui diritti del fanciullo, degli artt. 7 e 24 della Carta di Nizza e degli artt. 2,3,29,30 e 31 Cost., per avere la Corte d’appello escluso il pregiudizio ai minori derivante dal rischio di dover abbandonare l’Italia, in conseguenza dell’espulsione della madre, rilevando che avrebbero potuto comunque rimanere in Italia insieme all’affidataria, senza tenere conto che ciò avrebbe comportato la rescissione del rapporto con il genitore, espressione del diritto del minore di crescere nell’ambito della famiglia di origine, nella specie trascurato in modo ingiustificato e sproporzionato.

2. Il secondo e il terzo motivo, per ragioni di ordine logico, devono essere trattati per primi e vanno esaminati insieme, essendo tra loro strettamente connessi, risultando entrambi infondati.

2.1. In una pronuncia oramai risalente, le Sezioni Unite (Cass., Sez.U., n. 21799/2010) hanno evidenziato che, nel valutare la concessione dell’autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, il giudice di merito non deve necessariamente riscontrare situazioni di emergenza o circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del minore, potendo l’accertamento comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico del minore, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare (se il minore resta in Italia) o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto (se il minore segue il familiare).

E’, infatti, imposto al giudice il compito di svolgere un giudizio prognostico che, alla luce delle allegazioni delle parti e dei riscontri probatori anche provenienti da relazioni di agenzie pubbliche o indagini tecniche, conduca a comprendere se l’allontanamento del familiare possa determinare nel minore, in relazione alla sua attuale condizione di vita, un grave disagio psico-fisico o, nell’ipotesi in cui, al rigetto della domanda possa conseguire l’allontanamento del minore, se il definitivo sradicamento dall’habitat sociale, relazionale, culturale e linguistico nel quale vive, possa produrre le conseguenze pregiudizievoli previste dalla norma, tenuto conto delle condizioni di salute e dell’età del minore stesso.

Occorre, dunque, partire dalla valutazione della situazione attuale del minore come primo termine di paragone per la prognosi da svolgere, in relazione all’ipotesi di allontanamento di uno o di entrambi i genitori o a quella dell’abbandono del territorio italiano da parte del minore stesso, insieme a uno o a entrambi i genitori.

Per svolgere questa indagine è necessario tenere conto di tutte le emergenze probatorie esterne ai soggetti coinvolti oltre alle condizioni soggettive ed oggettive degli stessi.

Solo all’esito della valutazione di tutti questi elementi si può pervenire alla verifica della sussistenza o della mancanza del grave disagio psicofisico del minore, derivante dal rimpatrio del familiare o dal suo sradicamento dal contesto in cui vive.

Si tratta di un giudizio che ha ad oggetto indici provenienti esclusivamente dalla situazione fattuale, da eventuali accertamenti tecnici su di essi, e anche, trattandosi della tutela dei minori, su relazioni di servizi pubblici, dedicati all’osservazione e al sostegno dei minori e della famiglia, o scolastici.

La S.C. ha anche precisato che i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, che consentono la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del suo familiare, devono consistere in situazioni oggettivamente gravi, comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa.

La norma in esame non può, infatti, essere intesa come destinata ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori, che comporterebbe l’effetto di superare, e porre nel nulla, la disciplina del ricongiungimento familiare tutte le volte in cui, a causa dell’espulsione del genitore irregolare, si dovesse i realizzare la rottura dell’unità di una famiglia con minori, determinando l’applicazione automatica dell’autorizzazione de qua (Cass., Sez. 1, n. 9391/2018 e Sez. 6-1, n. 773/2020).

In questo stesso senso si sono pronunciate anche le Sezioni Unite (Cass., Sez.U., n. 15750/2019), che hanno ribadito come una diversa interpretazione avrebbe l’effetto di superare e porre nel nulla tutta la disciplina del ricongiungimento familiare, ogni volta in cui, per effetto dell’espulsione, si realizzi la rottura dell’unità familiare comprendente un minore, qualora si parta dal presupposto che ciò determina sempre e comunque un danno psichico.

In proposito, la S.C. ha reiteratamente affermato che incombe sul richiedente l’onere di allegare la specifica situazione di grave pregiudizio, che potrebbe derivare al minore dall’allontanamento del genitore (Cass., Sez. 1, n. 9391/2018 e Cass., Sez. 6-1, n. 773/2020), precisando anche che non basta la mera indicazione del pericolo di disgregazione della famiglia, né l’allegazione di un generico disagio in caso di rimpatrio insieme ai genitori o a causa dell’allontanamento di uno di essi (Cass., Sez. 1, n. 3029/2020).

2.2. Solo una volta accertato il grave disagio psicofisico del minore, occorre, poi, operare quel bilanciamento che può condurre, nel caso concreto, in considerazione della peculiare situazione del genitore o dei genitori, a ritenere che l’interesse del minore pur prioritario nella considerazione della norma, sia recessivo, ove le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano, nella singola fattispecie, prevalere (v. ancora Cass., Sez 1, n. 10849/2021 e Cass., Sez. 6-1, n. 1563/2020).

Come evidenziato dalle Sezioni Unite (Cass., Sez.U., n. 15750/2019), infatti, il diniego dell’autorizzazione non può essere fatto derivare automaticamente dall’esistenza di una pronuncia di condanna per uno dei reati che il D.Lgs. n. 286 del 1998, considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero, anche se tale pronuncia è destinata ad assumere rilievo, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto dell’istanza di autorizzazione, all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto.

Ovviamente, il precedente rilascio dell’autorizzazione temporanea alla permanenza in Italia del familiare del minore ai sensi del31 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, non esclude la possibilità di una nuova autorizzazione, poiché l’elemento temporale non è condizione per il riconoscimento del diritto, ma indica esclusivamente una caratteristica legata alla durata del permesso in relazione alle singole richieste, sempre che la valutazione del prioritario interesse del minore sia compiuto in termini favorevoli all’esito di un giudizio prognostico attuale (così Cass., Sez. 1, n. 10849/2021; v. anche Cass., Sez. 1, n. 29996/2020).

2.3. Nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto che “non essendo stata dedotta alcuna concreta esigenza preminente e di carattere temporaneo relativa ai minori, non appare giustificato il rilascio di un permesso D.P.R. n. 286 del 1998, ex art. 31” (p. 5 della sentenza impugnata). E, in effetti, parte ricorrente non ha prospettato alcun concreto pregiudizio che potrebbe derivare allo sviluppo psicofisico dei minori dal rimpatrio della madre, curando di evidenziare solo la buona volontà di quest’ultima nel recuperare, non senza difficoltà, il rapporto con i figli, affidati da tempo a un’amica di famiglia.

Come sopra evidenziato, non è sufficiente a integrare i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione l’esigenza di conservare la coesione familiare, nella specie peraltro in fase di recupero, ma è necessaria l’allegazione di un concreto pregiudizio che i minori rischino di supere per effetto dell’allontanamento del genitore.

Ne’ può ritenersi che la madre possa liberamente portare con sé i bambini fuori dell’Italia, come prospettato sempre dalla ricorrente, tenuto conto della disciplina dell’affidamento familiare, contenuta nella L. n. 184 del 1983, art. 4 e della conseguente, sia pure temporanea, compressione della responsabilità genitoriale.

3. Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.

3.1. Com’e’ noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le Sezioni Unite hanno rilevato che la modifica normativa appena richiamata ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge. La riformulazione deve, infatti, essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053/2014).

Esula, dunque, dal vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5), qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di cassazione (Cass., Sez. 3, n. 15276/2021).

Se il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento, la censura in cassazione è ammissibile, ma solo nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che, come sopra evidenziato, consente l’impugnazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

In altre parole, l’omesso esame di elementi istruttori può integrare il vizio appena descritto quando tale omissione determini l’omesso esame di un fatto storico, primario o secondario, rilevante ai fini della decisione e discusso dalle parti (cfr. Cass., Sez. 2, n. 27415/2018).

Il libero convincimento del giudice è sindacabile, dunque, per mancato esame di fatti storici, anche se veicolati da elementi indiziari non esaminati e, dunque, non considerati dal giudice, nonostante siano decisivi, con l’effetto di invalidare l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato (Cass., Sez. 1, n. 10253/2021).

Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non una questione o un punto, ma un vero e proprio “fatto”, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 2, n. 26274/2018).

Non costituiscono, viceversa, fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., Sez. 2, n. 14802/2017; Cass., Sez. 5, n. 21152/2014), gli elementi istruttori in sé considerati, le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello.

3.2. In tale quadro, è evidente che le censure riportate al punto 1 e punto 2 del primo motivo di ricorso sono inammissibili perché costituiscono critiche alla valutazione delle risultanze processuali operata dal giudice di merito, effettuata contrapponendo ad essa un’altra valutazione.

Gli argomenti presentati, peraltro, non assumono i caratteri della decisività, perché sono rivolti a rappresentare la capacità genitoriale della ricorrente (punto 1), anche per il percorso di riabilitativo seguito (punto 2), che, come sopra evidenziato, non sono sufficienti ad integrare quei gravi motivi che giustificano il rilascio della richiesta autorizzazione, posto che questi ultimi vanno ben oltre l’esigenza di tutelare la coesione familiare nella specie, peraltro, in via di recupero.

Anche la censura riportata all’ultimo punto del primo motivo di ricorso (punto 3), non può ritenersi riferita alla mancata considerazione di un fatto decisivo, tenuto conto che essa attiene al bilanciamento tra i gravi motivi attinenti ai minori e la valutazione di pericolosità della ricorrente.

Come sopra evidenziato, tale bilanciamento deve compiersi ove sia ritenuta l’esistenza di conseguenze pregiudizievoli allo sviluppo psicofisico dei minori, che invece nella specie non è stato neppure in concreto allegato dalla ricorrente.

4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

5. Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non essendosi l’intimato difeso con controricorso.

6. Rilevato che il processo, riguardante minori, è esente dal contributo unificato, non si deve dare applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

PQM

la Corte;

respinge il ricorso;

dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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