Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4495 del 08/03/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 4495 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso 22623-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

4721

PEZZELLA ORNELLA;
– intimata avverso la sentenza n.

2836/2010 della CORTE

Data pubblicazione: 08/03/2016

D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/05/2010 R.G.N.
9819/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;

verbale Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

/
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udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega

FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 26.5.2010 la Corte di Appello di Roma rigettava l’appello proposto da Poste
Italiane avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 1.12..2004 che aveva ritenuto la nullità del
termine apposto al contratto stipulato tra Le Poste spa e Pezzella Ornella e condannato le Poste a
versare le retribuzioni non percepite dalla messa in mora della società del 14.4.2003.

contratto stipulato con l’appellata dal 1.2.2002-30.4.2002 ( primo dei tre contratti a termine stipulati
tra le parti) in quanto il detto contratto aveva richiamato una serie di Accordi di riorganizzazione
aziendale ma da parte delle Poste non era stata offerta la prova che l’assunzione della lavoratrice
fosse avvenuta in relazione ai detti processi riorganizzativi. La prova richiesta era del tutto
generica non consentendo di accertare il nesso tra la concreta assunzione e le complesse vicende
Lia

riorganizzative delle Poste anche con riferimento all’Ufficio ove la petrucclj era stata impiegata.
Per la cassazione di tale pronunzia propone ricorso la società Poste Italiane con cinque motivi; la
Pezzella è rimasta intimata.
MOTVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 2 D. Lgs n.
368/2001, dell’art. 4 comma secondo D. Lgs n. 368/2001, dell’art. 12 preleggi, degli artt. 1362 e ss.
c.c. e dell’art. 1325 c.c. La sussistenza delle ragioni, tecniche, organizzative produttive o sostitutive
di cui al decreto n. 368/2001 potevano essere ricostruire indirettamente in base all’indicazione nel
contratto degli Accordi che disciplinano i processi di ristrutturazione aziendale delle Poste.
Con il secondo motivo si allega l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio. La Corte non aveva verificato quanto stabilito dagli Accordi richiamati nel
contratto.
I motivi appaiono infondati. Va premesso che il contratto è stato stipulato per il periodo dal
1.10.2002 al 31.10.2012 “ai sensi della vigente normativa, per esigenze tecniche, organizzative
produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processo di riorganizzazione, ivi
ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione di nuove tecnologie, prodotti o servizi
nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12 2001 e 11
gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002.n Ora la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto

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La Corte territoriale rilevava, in sintesi, l’illegittimità della clausola di apposizione del termine al

necessario in fattispecie del tutto analoghe in cui è applicabile il decreto n. 368/2011 che – di
fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione dell’apposizione del
termine – l’esame del giudice di merito deve estendersi a tutti gli elementi di specificazione
emergenti dal contratto allo scopo di acclarame l’effettiva sussistenza, ivi ricomprendendo l’analisi
degli accordi collettivi indicati al contratto (v. Cass. 2279/ 2010; Cass. n. 8296/2012). La sentenza
impugnata tuttavia non ha violato tale orientamento del Giudice di legittimità procedendo ad una
valutazione di merito di detti Accordi e delle prove e delle allegazioni offerte dalle Poste circa il
ordine produttivo e organizzativo indicate negli Accordi. La Corte di appello ha verificato nel merito
che tali Accordi e le prove offerte dalle Poste non comprovano il nesso tra le esigenze degli
accordi, l’assunzione della lavoratrice e l’attività svolta da quest’ultima nell’Ufficio ove ha operato.
Pertanto il primo motivo è infondato così come il secondo perché non sussiste la dedotta carenza
motivazionale posto che, come detto, i contratti e le prove sono state esaminate dalla Corte di
appello con motivazione congrua e logicamente coerente.
Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma secondo D. Lgs n.
368/2001 , dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 244 c.p.c., dell’art. 253 c.p.c., dell’alt 421
c.p.c. Non spettava al datore di lavoro la prova della sussistenza delle ragioni organizzative e
produttive necessarie per l’apposizione del termine, ma al lavoratore. In ogni caso le Poste
avevano offerto la prova che non è stata ammessa.
li motivo appare infondato in quanto solleva un questione già risolta dalla giurisprudenza di
legittimità. Con sentenza del 2279/2010 la Corte ha ribadito che ” questa Corte (Cass. 21 maggio
2008 n. 12985, cit. nonché gli obiter dicta in Cass. 21 maggio 2002 n. 7468 e 26 luglio 2004 n.
14011) ha infatti avuto già modo di osservare che, anche anteriormente alla esplicita introduzione
del comma “premesso” dalle L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 39 (secondo cui “il contratto di
lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”), il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha
confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a
tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria.
Lo testimonia la stessa tecnica legislativa adottata dal decreto legislativo, secondo la quale
l’apposizione del termine “è consentita” solo “a fronte” di determinate specifiche ragioni
derogatorie, come tali normalmente da provare in giudizio da chi le deduce a sostegno delle
proprie difese. Lo conferma poi il dato relativo alla “vicinanza” al datore di lavoro delle situazioni
che consentono la deroga, anch’essa elemento normalmente significativo del conseguente carico
probatorio in giudizio. Infine e soprattutto, un tale risultato ermeneutica è sostenuto dal richiamo
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fatto che effettivamente l’assunzione dell’intimata fosse avvenuta per sopperire alle esigenze di

alla cd. clausola di non regresso contenuta nella direttiva a cui il decreto dà attuazione, alla luce
delle argomentazioni in precedenza svolte nonché il riferimento al contenuto della delega alla base
del decreto legislativo, limitato appunto sostanzialmente all’attuazione della direttiva, che non
contiene disposizioni che si attaglino ad una diversa distribuzione dell’onere della prova con
riguardo al primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato”. Circa la prova la stessa non è
ut
stata riprodotta,ymotivo e comunque il Giudice di appello ha verificato la sua inidoneità in quanto
richiesta su capitoli generici che comprovano al più l’esistenza di una fase riorganizzativa in
fosse necessario assumere a termine e non a tempo indeterminato.
Con il quarto motivo si allega l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto
controverso e decisivo per il giudizio. La prova era ammissibile e comunque il Giudice poteva
integrarla d’ufficio.
Il motivo appare infondato per quanto sopra detto / posto che il Giudice di appello ha verificato la
genericità dei capitoli formulati dalle Poste. Circa la mancata attivazione dei poteri di ufficio è
giurisprudenza costante di questa Corte che può lamentarsi del mancato esercizio dei poteri
ufficiosi del Giudice del lavoro solo la parte che ne abbia preventivamente richiesto l’attivazione, il
che non è stato neppure dedotto da parte delle Poste.
Con il quinto motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207, 1217, 1219,
2094, 2099 e 2697 c.c. L’atto di messa in mora non conteneva alcuna offerta della prestazione
lavorativa, così come il ricorso introduttivo. Inoltre andavano accolte le istanze istruttorie in ordine
all’aliunde perceptum.
Il motivo appare inammissibile in quanto si contesta il valore di atto di messa in mora del
documento che il Giudice di prime cure ha individuato come una offerta di prestazione lavorativa,
ma senza produrre il documento e senza nemmeno riprodurlo in radicale violazione, quindi, del
principio di autosufficienza del ricorso in cassazione. Peraltro non si dimostra neppure che la
questione sia stata sollevata in appello (la sentenza non ne parla limitandosi a dichiarare
inammissibile le richieste in ordine ad un preteso aliunde perceptum). Circa l’ulteriore doglianza,
sul punto questa Corte ha più volte affermato che “l’esibizione di documenti non può essere
chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla
effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra
le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943). Peraltro “il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di
disporre l’ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla
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generale delle Poste, ma non che fosse coinvolto l’Ufficio nel quale ha operato l’intimata e che

parte non è sindacabile in cassazione, perché, trattandosi di strumento istruttorio residuale,
utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti
finalità esplorative, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale
del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione, il mancato
esercizio di tale potere non essendo sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione”
(v. fra le altre Cass. 14-7-.2004 n. 12997, Cass. sez. 1^ 17-5-2005 n. 10357, Cass. sez. 3^ 2-2-

Alla luce del costante orientamento di questa Corte, in via di principio Mcostituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass.
8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie,
benché, con sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 siano state dichiarate non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge 4 novembre 2010, n.
183 sollevate, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117, primo comma, della
Costituzione, in quanto l’unico motivo concernente l’entità del risarcimento ( il quinto motivo) è
inammissibile.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Nulla sulle spese in quanto la lavoratrice è rimasta
intimata.

P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in ROMA, il 3.12.2015

2006 n. 2262).

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