Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4493 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. III, 24/02/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 24/02/2010), n.4493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11576/2005 proposto da:

Z.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI

Luigi, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BELLONI

PERESSUTTI GIAN PAOLO con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 28,

presso lo studio dell’avvocato MANZO TOMMASO, rappresentato e difeso

dagli avvocati POIRE’ Claudia, ROSSI MICAELA con delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1722/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione Quarta Civile, emessa il 27/09/2004; depositata il

18/10/2004; R.G.N. 1759/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato LUIGI MANZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova N.P. e Z.A. chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni nell’importo di L. 184.280.000, oltre accessori, per le lesioni che asseriva di aver riportato a seguito della loro violenza.

Costituitesi in giudizio le convenute chiedevano il rigetto della domanda attrice. In particolare, la N. invocava la legittima difesa, mentre la Z. si dichiarava completamente estranea al fatto dannoso da cui erano derivate le lesioni.

Con sentenza del 31.3.2000/4.7.2000 il Tribunale di Padova condannava N.P. a risarcire all’attrice l’importo di L. 112.920.000, oltre accessori.

La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla P. la quale riteneva evidente che le lesioni subite fossero state procurate sia dalla N. che dalla Z., le quali l’avevano insieme aggredita.

Con sentenza del 18.10.2004 la Corte d’Appello di Venezia accoglieva il ricorso della P. e in riforma della sentenza impugnata condannava la Z., in solido con la N., al pagamento in favore dell’appellante delle somme riconosciute nella sentenza di primo grado.

Proponeva ricorso per cassazione Z.A..

Resisteva con controricorso P.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso la Z. denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5”.

Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza nel punto in cui ritiene che costituiscano elemento di prova a sostegno della responsabilità della Z. “le pur laconiche dichiarazioni rese dalla N. davanti al giudice penale”. Tali dichiarazioni, secondo la Corte veneta, offrono conferma della presenza della Z. nella colluttazione.

Inoltre la motivazione, sostiene la ricorrente, è contraddittoria e insufficiente. Le dichiarazioni della N., secondo la Z., dimostrano infatti l’ipotesi contraria, avendo l’imputata escluso che quest’ultima abbia partecipato all’evento da cui è originata la caduta a terra della P..

Con il secondo mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia “Omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 350 cod. proc. civ., n. 5.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3”.

La corte d’Appello secondo parte ricorrente non spiega perchè, pur ritenendo che le dichiarazioni rese dall’imputata siano suscettibili di una duplice lettura, pervenga a una conclusione di responsabilità fondata sulla prima lettura.

Con il terzo mezzo d’impugnazione si denuncia “Omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5”.

La Corte veneta non spiega, secondo la Z., perchè le informazioni riferite de relato dal teste in merito allo stesso fatto allegato dalla danneggiata nel processo, ed oggetto di onere probatorio a suo carico, dovrebbero, per il solo fatto di essere riferite dal teste, acquisire autonoma e distinta rilevanza probatoria.

Con il quarto mezzo d’impugnazione si denuncia “Omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3”.

Rileva parte ricorrente, che dalle varie dichiarazioni della P. emerge un’evidente incertezza in merito non solo alla precisa individuazione dei soggetti che hanno partecipato alla colluttazione, ma ancor prima alla ricostruzione delle modalità della stessa.

Non essendo stata raggiunta la prova certa del nesso di causalità tra la partecipazione della Z. alla colluttazione e il fatto di aver provocato la caduta a terra della P., la Corte veneta avrebbe dovuto escludere, sostiene la Z., la responsabilità di quest’ultima.

Con il quinto motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia “Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 445 cod. proc. pen.. In relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3”.

Sostiene parte ricorrente che la Corte d’Appello, in assenza di un quadro probatorio da cui far discendere i presupposti per configurare la responsabilità della ricorrente, finisce per configurare la responsabilità della Z. sulla sola sentenza penale di patteggiamento, in violazione del disposto dell’art. 445 cod. proc. pen., a norma del quale la sentenza, effetto dell’applicazione della pena su richiesta, non ha efficacia nei giudizi civile e amministrativi.

I motivi, strettamente connessi, devono essere congiuntamente esaminati e vanno rigettati.

Si rileva in particolare che i primi quattro motivi vertono sull’interpretazione del materiale probatorio e propongono una nuova, diversa valutazione delle risultanze processuali, più favorevole alla stessa ricorrente. Tale diversa valutazione non può tuttavia essere accolta in questa sede considerato come la valutazione del materiale probatorio rientri nella discrezionalità del Giudice di merito e non sia sindacabile in presenza di un congruo iter argomentativo, immune da vizi logici o giuridici.

Ancora sul profilo probatorio verte il quinto ed ultimo motivo che merita rigetto perchè la Corte d’Appello ha correttamente valutato la sentenza penale, in relazione alle risultanze processuali, in un più ampio contesto di elementi di prova, limitandosi a far discendere dalla sentenza di cui all’art. 444 c.p.c., la prova dell’ammissione di responsabilità da parte dell’imputata.

Secondo la giurisprudenza infatti, la sentenza penale non irrevocabile, ancorchè non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, ed attribuendo perciò al giudice civile il potere- dovere di accertarli e valutarli in via autonoma, costituisce in ogni caso una fonte di prova che il predetto giudice è tenuto ad esaminare e dalla quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge, soprattutto quando essi non risultino da mere valutazioni del giudice penale, ma trovino rispondenza, come nell’ipotesi del “patteggiamento”, nella stessa natura della pronuncia adottata, recante pur sempre un accertamento che, benchè non vincolante, deve comunque essere esaminato ed apprezzato, palesandosi capace di concorrere al convincimento del detto giudice, il quale è perciò legittimato a sottoporlo a vaglio critico, utilizzandolo come elemento istruttorio emerso in sede penale o, per converso, considerandolo insufficiente per il raggiungimento della prova, ferma restando la necessità, in entrambi i casi, di dare adeguata ragione dei motivi della scelta ((Cass., sez. un., 31 luglio 2006, n. 17289;

Cass., 24.2.2004, n. 3626; Cass., 6.5.2003, n. 6863).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato mentre si ritiene sussistano giusti motivi per una intergale compensazione delle spese del processo di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del processo di cassazione.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

 

 

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