Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4492 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. III, 24/02/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 24/02/2010), n.4492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25510/2005 proposto da:

D.T.V., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14, presso lo studio dell’avvocato BARONE Carlo

Maria, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.L.A., (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato

ROMANO VANIA, rappresentata e difesa dall’avvocato GENTILE Vittorio

giusta delega a margine dei controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 298/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

Sezione Seconda Civile, emessa il 14/01/2005, depositata il

24/03/2005; R.G.N. 1290/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato Anselmo BARONE per delega avv. Carlo Maria BARONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 25 settembre 2000 il Tribunale di Foggia rigettò la richiesta di restituzione della somma asseritamene mutuata di L. 89.9666.000 richiesta da B.A. e M.L. A. nei confronti di D.T.V. e accolse la domanda ex art. 2041 c.c., che ritenne formulata in subordine, condannando il convenuto in favore degli attori al pagamento della somma di L. 89.966.000, oltre interessi legali dalla domanda per il titolo da ultimo ricordato.

Avverso siffatta decisione insorse il D.T.V., formulando diversi motivi di gravame.

Si costituirono gli originari attori e contestarono le avverse pretese e proposero appello incidentale per il maggior danno da rivalutazione monetaria, negato dal primo giudice.

La Corte di appello di Bari con sentenza del 24 marzo 2005 rigettava entrambi gli appelli e confermava la sentenza con diversa motivazione, oltre condannare l’appellante principale alle spese del grado.

Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione D.T. V., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso B.M.L..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Osserva il Collegio che prima di affrontare i motivi di doglianza del ricorrente va presa in esame la eccezione della resistente circa il passaggio in giudicato della sentenza notificata il 6 luglio 2005 al D.T.V..

Assume la resistente che il proprio difensore avv. Vitulli, già procuratore costituito nell’interesse dei B., nonchè domiciliatario con studio in Bari alla via Pasquale Fiore n. 14 non aveva ricevuto alcuna notifica dell’atto di appello, perchè la notifica era stata eseguita presso l’avv. Eda Lofoco alla Via P. Fiore n. 14.

“Infatti, ai fini della notificazione, l’elezione di domicilio opera rispetto alla persona indicata, che diviene solo il tramite attraverso il quale si realizza la legale conoscenza che la parte acquisisce dell’atto notificato”.

Nell’atto di costituzione e risposta in appello, gli appellati hanno chiaramente eletto domicilio presso l’avv. Vitulli e presso il suo studio in via P. Fiore n. 14.

La B. in seno a detta comparsa esplicito di essere rappresentata e difesa dagli avv. De Finis e Russo del foro di Foggia e dall’avv. Vitulli del foro di Bari, con studio in via Pasquale Fiore n. 14 presso lo studio legale Lofoco.

Tale indicazione non poteva valere come elezione di domicilio nè idonea ad indicare l’avv. Eda Lofoco come procuratore e domiciliatario officiato.

Quindi, la notifica del ricorso non andava fatta all’avv. Eda Lofoco che non è mai stata difensore e/o domiciliatario della B. neanche nei precedenti gradi di giudizio (p. 1-3 controricorso).

La eccezione è destituita di fondamento.

Al riguardo, è sufficiente leggere la intestazione della sentenza impugnata, come acutamente fa rilevare il ricorrente, per smentire l’assunto.

Peraltro, tale intestazione non è nemmeno contestata nel controricorso, per come si è avuto modo di chiarire in precedenza, non solo, ma sempre dalla intestazione della sentenza si evince che fu proprio l’avv. Eda Lofoco a sostituire l’avv. Vitulli per gli appellati, la quale si riporta alle conclusioni tutte dell’atto di costituzione delle qual chiede l’integrale accoglimento” (p. 2 sentenza impugnata).

2. – Passando al”merito” del ricorso il Collegio osserva quanto segue.

2.1. – Con il primo motivo ( violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1371, 1813, 1814, 2041, 2042 e 2697 c.c.; artt. 99, 100, 112, 115, 116 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – omessa o quanto meno insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia) il ricorrente pone la questione centrale dibattuta in corso di causa e che concerne la domanda ex art. 2041 c.c..

A suo avviso, il giudice dell’appello avrebbe illegittimamente ritenuto proponibile e, in effetti, proposta dalla controparte nei confronti del D.T.V. l’azione ex art. 2041 c.c..

In punto di fatto, ed è dato storico incontestato, i B.” commettendo lavori di finitura e completamento sull’immobile del D. T.V., vollero come azione causalmente diretta a tanto, consentire che detto immobile fosse rapidamente completato per essere prontamente posto a disposizione dei nubendi, poi coniugi, D.T. L. e B.M.L.”.

Onde perseguire questo intento, i B. si servirono di contratti d’opera con terzi, per cui il completamento dell’immobile fu direttamente voluto dagli stessi, senza alcun comprovato rifiuto da parte del D.T. (p. 5-6 sentenza impugnata).

La decisione del giudice dell’appello, peraltro, si fonda su numerosi elementi processualmente acquisiti, che contribuiscono a fondare la sua ratio decidendi.

Il primo elemento concerne la considerazione che l’arricchimento del D.T.V. non fu solo conseguenza indiretta e mediata della condotta dei B., ma presenta un rapporto di causalità diretta ed immediata con esso perchè quella condotta fu accettata per facta concludentia dal D.T.V..

Il secondo riguarda l’ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c., in quanto ritenuta subordinata e questa statuizione è corretta.

Infatti, il carattere sussidiario dell’azione de qua e la conseguente non proponibilità di essa da parte del danneggiato che abbia altri rimedi per farsi indennizzare del pregiudizio subito non preclude la possibilità di introdurre l’azione stessa in via subordinata, qualora, come nel caso, venga negata l’esistenza di altra azione, fondata su titolo specifico, proposta in via principale (Cass. n. 7201/95; Cass. n. 2157/75).

Nella fattispecie, ai B. è stata negata l’azione principale perchè non fornita di prova, ma i fatti esposti nell’atto di citazione non solo non erano identici, ma hanno indotto gli stessi ad evidenziare che l’attuale ricorrente aveva ottenuto un rilevante arricchimento a danno degli attori, per cui era evidente il loro interesse ad avere, in un modo e, in subordine, in un altro la restituzione delle somme versate (p. 3 sentenza impugnata).

Il giudice di primo grado accolse la domanda dei B. ex art. 2041 c.c., perchè, come precisa il giudice dell’appello, escluse la sussistenza del mutuo”dalla semplice narrazione dei fatti” (p. 7 sentenza impugnata), dalla quale emergeva che il convenuto aveva beneficiato di una prestazione senza pagarne il corrispettivo.

Non vi è stata, quindi, nessuna sostituzione surrettizia della domanda a quella propriamente contrattuale.

La prova dell’arricchimento, la cui valutazione è compito esclusivo del giudice del merito, è stata individuata sulla base del fatto che il D.T.V. non è beneficiario di nessuno degli assegni, essendone, invece beneficiari i genitori o il figlio L.; che i testimoni hanno potuto affermare “con certezza” (p. 9 sentenza impugnata) che i versamenti dei B. contribuirono all’ampliamento della villa che il D.T. stava realizzando; che il D.T.V., contrariamente al suo assunto difensivo, era ed è proprietario del fabbricato rurale, realizzato abusivamente, per cui chiese la sanatoria.

Questa sanatoria, come si evince dal verbale redatto il 28 aprile 1988, riguardava sia il V. che il figlio L. contro i quali si promosse azione penale e non è risultato che la oblazione prescritta sia stata ridotta, come accade nella ipotesi in cui altri (direttore dei lavori, esecutori di essi ex art. 31, comma 3 in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 6 e art. 37, comma 8) l’abbiano richiesta, nè il verbale di accertamento coinvolse la ditta Calcestruzzi o l’amministratore pro tempore della società.

In sintesi, attraverso tutti questi elementi univoci, gravi e concordanti, ivi compreso il periodo in cui i B. corrisposero le somme (anni 1987-1989) – le nozze della loro figlia con il figlio del D.T.V. furono celebrate il (OMISSIS) – il giudice dell’appello ha dedotto che proprietario dell’immobile fosse solo il V. e che solo il V. avesse beneficiato delle addizioni eseguite sull’immobile stesso.

Di fatti, l’arricchimento che ne seguiva andava a favore anche del figlio solo se gli sposi avessero avuto cointestato l’immobile, per cui il figlio non ne fu – nè risulta – donatario nè, quindi, arricchito finale.

Questi argomenti, che rispondono pienamente ai criteri interpretativi ormai elaborati con giurisprudenza costante da questa Corte, valorizzano elementi fattuali come circostanze idonee a consentire deduzioni secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit, attesa anche la loro cadenza temporale e la loro significanza nel concreto (Cass. 9225/05) e rendono la esistenza del fatto da accertare come conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto (Cass. n. 13169/04).

In altri termini, attraverso l’esame di quanto allegato dalle parti, il giudice dell’appello ha rinvenuto una connessione fra i fatti accertati e quelli che vennero evidenziati dalle parti con una motivazione logica che è immune da ogni vizio.

Ciò posto anche il principio richiamato nella memoria (Cass. n. 16964/09) non appare inosservato dal giudice dell’appello, che, all’epoca, evidentemente lo ignorava, per cui non è stato affatto violato il principio di sussidiarietà ex art. 2042 c.c..

Infatti, una volta ritenuta come proposta in via subordinata l’azione ex art. 2041 c.c., il requisito della sussidiarietà rende l’azione de qua proponibile anche se l’espletamento dell’azione tipica abbia avuto esito negativo per carenza del titolo posto a suo fondamento, come è accaduto nella specie (Cass. n. 3228/95).

In estrema sintesi, una volta dichiarato inesistente il vincolo contrattuale ed essendo i fatti posti a sostegno della domanda contrattuale identici a quelli per cui era stata proposta la subordinata, diveniva proponibile solo l’azione ex art. 2041 c.c., (già Cass. n. 6810/00; Cass. n. 16340/02).

Diventano, quindi, in conferenti i richiami indicati nel ricorso a Cass. n. 23625/04 ed assorbite le altre considerazioni di cui a p. 21 e p. 27 dello stesso.

3. – Il secondo motivo (v. p. 27-35 del ricorso) resta assorbito sotto un profilo e va dichiarato inammissibile sotto il profilo del difetto di motivazione, atteso che non solo non si tratta di presunzione, come assume il ricorrente nè di violazione dell’onere della prova, ma di motivazione fornita di prova logica, corredata da numerosi elementi, peraltro, documentali, testimoniali e ricavati da disposizioni di legge che sono logicamente affrontati, scrutinati in modo complessivo e non atomistico (Cass. n. 3390/05) ed, in quanto tali, confortano la statuizione del giudice dell’appello.

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di Cassazione che liquida in Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

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