Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4491 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4491 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

del padre di
famiglia
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 100031’08) proposto da:
BOSI CLAUDIA in CROTTI; CHIARI BIANCA in DANIELI e AMORUSO MARIA in
ARRIGHI, tutte rappresentate e difese, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli
Avv.ti Franco Perfetti e Nicola D’Agostino ed elettivamente domiciliate presso lo studio del
secondo, in Roma, via G. Antonelli, n. 47; – ricorrenti contro
PAGLINI PAOLINI FRANCA, MAGGIANI LORELLA e MAGGIANI ANDREA (quali eredi di
Maggiani Franco e la terza anche in proprio), rappresentati e difesi, in virtù di procura
speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Alberto Pincione, Paolo Canepa e Mario
Contaldi ed elettivamente domiciliati presso lo studio del terzo, in Roma, alla v. P.L. da
Palestrina, n. 63; – controricorrenti q,

cs-N

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Data pubblicazione: 25/02/2014

Avverso la sentenza n. 1201’07 della Corte di appello di Genova, depositata il 15 febbraio
2007 e non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2014 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

conseguente assorbimento degli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato 1’11 ottobre 1990, le signore Bosi Claudia in Crotti, Chiari
Bianza in Danieli e Amoroso Maria in Arrighi, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale
di Massa, i sigg. Paglini Paolini Franca, Maggiani Lorella e Maggiani Franco esponendo: che avevano acquistato tre diversi appartamenti siti in Marina di Carrata ruga Maggiani 129
dai coniugi Maggiani-Paglini; – che, successivamente, questi ultimi avevano venduto
l’appartamento ubicato al primo piano dello stesso stabile a Maggiani Lorella, costituendo
servitù di passaggio sul cortile condominiale, senza l’assenso degli altri condomini; – che,
inoltre, la Maggiani Lorella aveva ampliato una terrazza posta sul menzionato cortile,
appropriandosi di parte dello stesso; tanto premesso, chiedevano che la Maggiani Lorella
fosse condannata a demolire quanto illecitamente edificato in ampliamento del preesistente
terrazzo, con conseguente rimessione dei luoghi in pristino stato, e che venisse, altresì,
dichiarata l’illegittimità e l’inefficacia della costituita servitù. Nella sola costituzione dei due
convenuti Maggiani, il Tribunale adito, con sentenza n. 502 del 2002, dichiarava
l’inesistenza della servitù di passaggio sul cortile condominiale dedotto in controversia e
rigettava, invece, la domanda relativa alla rimessione in pristino della terrazza.
Interposto gravame da parte di Paglini Paolina Franca, Maggiani Andrea e Maggiani Lorella
(quali eredi di Maggiani Franco e la terza anche in proprio), la Corte di appello di Genova,
nella costituzione delle parti appellate, con sentenza n. 120 del 2007 (depositata il 15
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Alberto Celeste, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con il

febbraio 2007), in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda come formulata in
primo grado in ordine alla servitù, sul presupposto che — alla stregua degli atti e delle prove
costituende espletale — la corte dedotta in giudizio non poteva qualificarsi come comune.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) hanno proposto ricorso per
cassazione le signore Bosi Claudia in Crotti, Chiari Bianza in Danieli e Amoroso Maria in

controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno dedotto — ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4,
c.p.c. — la supposta violazione dell’art. 345, comma 1, c.p.c., in virtù del quale non possono
proporsi in appello domande nuove. In relazione alla previsione dell’art. 366 bis c.p.c.
(“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la sentenza impugnata il 15
febbraio 2007), le ricorrenti hanno formulato il seguente quesito di diritto: ” Affermi la S.C. il
principio (opposto a quello applicato dalla sentenza impugnata) secondo il quale il giudice
di appello deve, ai sensi dell’art. 345, comma 1, c.p.c., dichiarare inammissibile il gravame,
ove in primo grado l’attore abbia chiesto di accertare l’inesistenza di una servitù a carico di
un suo bene e con l’atto di appello il convenuto soccombente chieda esclusivamente e per
la prima volta al giudice di accertare il proprio diritto di proprietà sul predetto bene, nonché
l’inesistenza di servitù di passo su un bene diverso, essendosi in primo grado limitato a
chiedere il rigetto della domanda”.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno denunciato — in relazione all’art. 360, comma 1,
n. 4, c.p.c. — la violazione dell’art. 112 c.p.c. relativo alla corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, indicando il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se, nel caso in cui
l’appellante chieda solo pronunce dichiarative e l’appellato solo il rigetto del gravame, al
giudice di secondo grado è inibito, ai sensi dell’ad. 112 c.p.c., di accogliere le diverse

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Arrighi, riferito a sei motivi. Tutti gli intimati si sono costituiti in questa fase con

conclusioni, limitate alla richiesta di reiezione della domanda, precisate dal convenuto in
primo grado”.
3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno prospettato — sempre in virtù dell’art. 360, comma
1, n. 4, c.p.c. — la nullità per mancanza nell’atto processuale dei requisiti indispensabili per
il raggiungimento dello scopo, formulando, in proposito, il seguente quesito di diritto: “dica

dell’inesistenza di una servitù gravante su una determinata area dopo aver affermato, nella
parte motiva, che detta area appartiene allo stesso proprietario del fondo presunto
dominante, determinandosi in caso contrario una ipotesi di nullità della sentenza per
impossibilità del raggiungimento dello scopo della stessa (che è quello di dettare in termini
in equivoci la regola giuridica del caso concreto) non apparendo compatibile con l’esigenza
di certezza delle decisioni una statuizione da ricostruire attraverso una valutazione di
prevalenza di una delle due ipotesi contrarie contenute entrambe le suo testo”.
4. Con il quarto motivo le ricorrenti hanno inteso dedurre — ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c. — il vizio di contraddittorietà della motivazione in ordine all’interpretazione dei
contratti di vendita degli appartamenti condominiali in relazione alla ricostruzione del fatto
controverso consistente nel regime proprietario (condominiale o meno) dell’area
immediatamente retrostante l’immobile.
5. Con il quinto motivo le ricorrenti hanno dedotto un ulteriore vizio di insufficienza della
motivazione per omessa considerazione di elementi rilevanti al fine di stabilire chi sia il
proprietario del cortile retrostante l’edificio condominiale.
6. Con il sesto ed ultimo motivo le ricorrenti hanno denunciato un altro vizio in
inadeguatezza motivazionale in ordine alla ingiustificata mancata ammissione di mezzi di
prova.
7. Rileva il collegio che il primo motivo è fondato nei termini e per le ragioni che seguono.

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la S. C. se il giudice può rigettare la domanda giudiziale che chieda l’accertamento

Dalle sentenze di primo grado e di appello nonché dal contenuto del gravame proposto in
secondo grado da Paglini Paolini Franca, Maggiani Lorella e Maggiani Andrea (esaminabile
anche in questa sede in virtù della natura processuale del vizio denunciato) si evince che
questi ultimi — quali convenuti nel giudizio di prime cure — si erano limitati a chiedere il
rigetto dell'”actio negatoria servitutis” formulata dalle attrici in relazione all’utilizzazione del

riconvenzionale formulata con riferimento alla supposta costituzione di una servitù per
destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.). Senonché, gli stessi convenuti, con l’atto
di appello proposto avverso la sentenza di primo grado per la parte in cui aveva accolto la
domanda di accertamento dell’inesistenza della servitù, avevano invocato i diversi “petita”
orientati all’ottenimento della dichiarazione della inesistenza della servitù sull’edificio
condominiale e della correlata esistenza della loro proprietà esclusiva su una determinata
area della corte ritenuta comune.
Pertanto, con l’atto di appello, gli originari convenuti avevano avanzato una duplice
domanda di accertamento che esorbitava dalle allegazioni difensive consentite nel giudizio
di secondo grado dall’art. 345 c.p.c. (nella formulazione previgente alla novellazione
intervenuta per effetto della legge n. 353 del 1990, poiché il giudizio in questione era stato
introdotto con atto di citazione notificato nell’ottobre 1990), ampliando così
inammissibilmente il “thema decidendum”. In altri termini, mentre con la difesa
originariamente esercitata in primo grado i convenuti avevano dedotto di essere titolari del
controverso diritto di servitù (invece contestato dalle attrici), sostenendo di esercitare tale
diritto in forza della destinazione del padre di famiglia, successivamente, con la
proposizione dell’atto di appello (e senza che, in primo grado, fosse stata formulata alcuna
apposita domanda riconvenzionale), avevano prospettato — operando una vera e propria
“mutatio” della loro impostazione difensiva – di essere proprietari esclusivi dell’area posta

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cortile retrostante dell’immobile dedotto in controversia sulla base di una mera eccezione

immediatamente sul retro dell’edificio condominiale, chiedendo, pertanto, una pronuncia di
accertamento di tale loro qualità (mai dedotta prima).
A tal proposito si noti come, proprio nella sentenza di appello, si evidenzia testualmente,
per un verso (cfr. pag. 4), che gli appellanti — quali convenuti in primo grado – avevano
dedotto che la servitù oggetto della domanda principale si sarebbe dovuta ormai ritenere

stessi, con il formulato gravame (v. conclusioni riportate a pag. 2 della sentenza della Corte
genovese), avevano chiesto, in riforma della sentenza di primo grado, di “dichiarare
l’inesistenza della servitù di passo limitatamente all’edificio condominiale delle parti,
eliminando il riferimento al cortile comune da considerarsi ad ogni effetto di proprietà
privata degli appellanti”.
Conseguentemente, la Corte territoriale, rigettando la domanda come proposta in primo
grado per effetto dell’accoglimento dei diversa “petita” dedotti dagli appellanti (nei precisati
termini, avuto riguardo alla rilevata fondatezza del motivo con il quale era stata sostenuta
l’esclusione della condominialità della corte), è incorsa nella violazione del divieto previsto
dall’art. 345 c.p.c, poiché ha posto a fondamento della sua decisione una domanda in
senso proprio, da qualificarsi inammissibile siccome nuova (v., per idonei riferimenti, Cass.
n. 3835 del 1985; Cass. n. 12258 del 2002 e Cass. n. 24024 del 2004), risultando fondata
su un titolo del tutto diverso dal contenuto della difesa esperita in primo grado e senza che,
ad ogni modo, il “petitum” della stessa fosse stato dedotto nel giudizio di prima istanza a
sostegno di una domanda riconvenzionale in senso proprio (cfr., in termini, Cass. n. 367
del 1969 e Cass. n. 710 del 1973, nonché, per opportuni riferimenti, la più recente Cass. n.
9356 del 2012). Deve, perciò, affermarsi, in accoglimento del primo motivo, il principio di
diritto secondo cui una volta che sia stata proposta domanda di declaratoria di
inesistenza di una servitù di passaggio attraverso un cortile, il convenuto, il quale in
primo grado di sia limitato ad opporre di essere titolare della servitù contestatagli
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costituita per destinazione del padre di famiglia (e si erano limitati a tanto), mentre gli

dall’attore (senza formalizzare alcuna domanda riconvenzionale), non può dedurre,
per la prima volta, in appello di essere proprietario esclusivo o comproprietario del
cortile, perché, con la deduzione di tale “petitum”, egli propone una domanda nuova
(e non una mera eccezione), fondata su un titolo diverso ed idonea ad estendere
inammissibilmente il “thema decidendum”, con la conseguenza che incorre nella

(come verificatosi nella specie).
8. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, deve pervenirsi
all’accoglimento del primo — pregiudiziale — motivo, dal quale consegue l’assorbimento di
tutte le altre dipendenti censure in virtù del rilievo che, nella fattispecie, il giudice del
gravame non avrebbe potuto ritenere ammissibili le domande nuove formulate dagli
appellanti e, quindi, per effetto della loro ravvisata fondatezza, giungere al rigetto della
domanda così come formulata dagli attori in primo grado relativamente alla “negatoria
servitutis”, accolta dal giudice di prime cure.
Pertanto, ricorrendo una delle situazioni processuali riconducibili al disposto dell’art. 382, /
comma 3, seconda parte, c.p.c., occorre disporre la cassazione senza rinvio della
sentenza impugnata, pervenendo direttamente, in questa sede, a pronunciare il rigetto
dell’appello proposto nell’interesse di Paglini Paolina Franca, Maggiani Lorella e Maggiani
Andrea. A tale statuizione definitiva consegue la necessità di provvedere alla regolazione
delle spese del giudizio di appello e di quelle della presente fase di legittimità (ferma
restando quella del giudizio di prime cure), che, in base al principio della totale
soccombenza, vanno poste integralmente a carico delle predette Paglini Paolina Franca,
Maggiani Lorella e Maggiani Andrea (già appellanti), in solido fra loro.
Esse si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, precisando che quelle della fase di
legittimità vengono quantificate sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di

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violazione dell’art. 345 c.p.c. il giudice di appello che, invece, la ritenga ammissibile

cassazione dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù
dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa senza rinvio
la sentenza impugnata e, decidendo sull’appello proposto da Paglini Paolina Franca,

solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio di appello, liquidate in totale nella
misura di euro 3.890,00, di cui euro 1300,00 per diritti, euro 2.500,00 per onorari ed euro
90,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, nonché al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, quantificate in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 10 gennaio 2014.

Maggiani Lorella e Maggiani Andrea, lo dichiara inammissibile. Condanna questi ultimi, in

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