Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4491 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. III, 24/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 24/02/2010), n.4491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31655/2006 proposto da:

G.R. (OMISSIS), F.E.

(OMISSIS), in proprio e quali eredi del signor F.

V., elettivamente domiciliate in ROMA, CIRC.NE CLODIA 29,

presso lo studio dell’avvocato BEVILACQUA Claudio, che li rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MELCHIONDA ACHILLE, FORNI ANGELO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1103/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 6/5/2005, depositata il 11/10/2005,

R.G.N. 1094/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato ANGELO FORNI;

udito l’Avvocato MASSIMO GIANNUZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata nel gennaio 1991 G.R. ed F.E. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Bologna il Ministero dell’Interno, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati da omissioni di indagini da parte di funzionari e dipendenti di quell’amministrazione che, col loro comportamento, gravemente colpevole, non avevano impedito il sequestro di F.A., rispettivamente figlio e fratello delle attrici, e neppure l’esito infelice del crimine con la morte dell’ostaggio e l’inutile versamento del riscatto.

Tale domanda veniva respinta dal Tribunale di Bologna con sentenza del 27 febbraio 1996.

Proposto gravame dalle soccombenti, la Corte d’appello, in data 11 ottobre 2005, lo respingeva.

In motivazione osservava il giudicante che l’ampia e appagante motivazione della sentenza che aveva mandato assolti tutti gli imputati mostrava l’assoluta inconsistenza dei rilievi formulati dalle appellanti in ordine alle pretese inerzie delle Questure di Bologna e di Firenze, essendo rimasto indimostrato l’assunto che l’assoluzione fosse stata determinata da carenze investigative.

Aggiungeva che, in ogni caso, quand’anche gli imputati fossero stati condannati, mancava qualsivoglia elemento per sostenere che una più penetrante attività d’indagine avrebbe permesso di individuare l’obiettivo delle attività criminose in gestazione. Nè infine era irragionevole la prospettiva che, pagando il riscatto, vi sarebbero state maggiori probabilità di ottenere la liberazione dell’ostaggio.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione G. R. ed F.E., formulando tre motivi di ricorso.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo le impugnanti denunciano violazione degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., nonchè dell’art. 28 Cost., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Sostengono che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno del disposto dell’art. 2043 cod. civ., non avendo accolto la domanda, malgrado l’esito positivo della prova in ordine a comportamenti di funzionar e dipendenti dello Stato compiuti in violazione di diritti ed eziologicamente connessi all’evento. Nè a diverse conclusioni poteva condurre la sentenza penale di assoluzione dell’imputato per insufficienza di prove, atteso che essa era dipesa da mancanza di quell’attività investigativa che avrebbe permesso di inchiodarlo alle sue responsabilità, salvando l’ostaggio o addirittura evitando il sequestro.

1.2 Col secondo mezzo le ricorrenti lamentano, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, che il giudice di merito abbia qualificato il rapporto tra la famiglia F. e il Dott. L., come un rapporto atipico, piuttosto che come un rapporto tra cittadini e funzionari dello Stato. Deducono che il Dott. L. aveva fatto credere ai familiari della vittima che al pagamento del riscatto sarebbe seguita la liberazione del loro congiunto e l’arresto dei responsabili.

1.3 Col terzo motivo le ricorrenti denunciano omessa o, quanto meno, insufficiente motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in ordine a un punto decisivo della controversia. Riportati i capitoli della prova orale articolata nel giudizio di merito e non ammessi, deducono che essi erano invece volti a dimostrare il comportamento illecito e irresponsabile tenuto dai funzionari di polizia durante il sequestro, comportamento che aveva colpevolmente ingenerato un affidamento nei genitori del ragazzo.

2.1 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

Esse, denunziando in termini puramente assertivi la violazione degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., nonchè dell’art. 28 Cost., tendono surrettiziamente a introdurre una revisione del merito del convincimento del giudice di appello in ordine alle pretese responsabilità di funzionari di polizia, preclusa in sede di legittimità. Le allegazioni sono peraltro inemendabilmente contraddittorie e generiche, posto che le ricorrenti, mentre da un lato si dolgono del malgoverno delle risultanze istruttorie, a loro dire univocamente dimostrative della responsabilità dei predetti agenti, denunciano, dall’altro, la mancata ammissione della prova volta a palesare la colpevole leggerezza degli investigatori.

2.2 I rilievi svolti nel primo motivo difettano peraltro anche di autosufficienza.

Costituisce invero affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte che, nella formulazione dei motivi, il ricorrente il quale denunci il vizio di omessa e insufficiente motivazione in relazione alla valutazione del materiale istruttorio, ha l’onere di specificare – anche per il tramite dell’integrale trascrizione – i mezzi ritenuti non correttamente vagliati e il carattere decisivo dei medesimi. La censura non può infatti risolversi nel difforme apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quanto emerso dalla decisione, spettando esclusivamente al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. civ., sez. lavoro, 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. civ., 5^, 28 settembre 2007, n. 20392).

2.3 Quanto poi alle critiche formulate nel secondo mezzo, le ricorrenti, pur evocando l’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, non precisano la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia impugnata, limitandosi a censurare l’erronea qualificazione giuridica della fattispecie, e cioè, per quanto è dato evincere dalla successiva illustrazione del motivo, del rapporto tra la famiglia F. e il Dott. L., senza che neppure sia dato cogliere con chiarezza gli effetti che dalla sua qualificazione in termini di rapporto tra cittadini e funzionario dello Stato sarebbero derivati alla soluzione della controversia.

Si ricorda in proposito che quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, non si specificano le disposizioni normative asseritamente violate, nè si indicano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con esse – o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 2 014 5; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).

2.4 Neppure hanno pregio le critiche svolte nel terzo motivo.

La Corte territoriale, evidenziata l’ingenerosità degli addebiti mossi all’agente che aveva consigliato il versamento del riscatto, per essere stata tale condotta indotta dalla plausibile aspettativa che tutti avevano di salvare la vita del sequestrato, ha ritenuto irrilevanti le prove chieste con l’atto di appello, vertendo esse su fatti che erano già stati accertati nel giudizio penale.

A fronte di tale impianto motivazionale, le impugnanti si limitano a reiterare l’istanza di ammissione delle prove non ammesse, benchè queste, a ben vedere, vertano su circostanze neppure contestate dalla controparte, circostanze delle quali, in maniera puramente assertiva, si sostiene l’idoneità a dimostrare la illiceità e/o irresponsabilità del comportamento del Dott. L..

Manca, in definitiva, una reale confutazione della ratio decidendi della decisione impugnata, In tale contesto il ricorso deve essere rigettato.

La peculiarità della materia consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

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