Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4491 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26461-2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FELICE MARTINO;

– ricorrente –

contro

ST.VI., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO

32, presso lo studio dell’avvocato CESARE PLACANICA, rappresentata e

difesa dall’avvocato SANTI ATTILIO ILACQUA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 121/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRAZIOSI

CHIARA.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato l’11 ottobre 2012 St.Vi. presentava appello avverso sentenza del 18 luglio 2011 con cui il Tribunale di Messina aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da S.M., decreto avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali della St. quale architetto, ritenendola inadempiente il riferimento alla sua obbligazione professionale. Il S. si costituiva, resistendo. La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 13 febbraio 2018, accoglieva il gravame, rigettando, in parziale riforma, l’opposizione al decreto ingiuntivo, e per il resto confermando.

Il S. ha proposto ricorso, da cui si è difesa con controricorso la St..

Diritto

RITENUTO

che:

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1 Il primo motivo denuncia la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 346 c.p.c. nella parte in cui sarebbe stata omessa la valutazione di presupposti in fatto del constatato inadempimento, per la loro mancata riproposizione nella forma dell’appello incidentale.

La corte distrettuale, con argomentazioni “ermetiche” e anche “paradossali”, avrebbe attribuito al ricorrente “una sorta di acquiescenza rispetto ad una supposta domanda avanzata in primo grado”, così determinando “implicita rinunzia alla domanda” in forza dell’art. 345 c.p.c. L’attuale ricorrente, in particolare, non avrebbe proposto appello incidentale – osserva la corte – “per lamentare l’omessa pronuncia circa l’inadempimento alla richiesta di consegna dei documenti in mano alla progettista e per contrastare il rigetto della domanda risarcitoria”.

Afferma il ricorrente che “indubitabilmente vero” è che egli “si è acquietato rispetto al rigetto della subordinata domanda risarcitoria”, domanda non riproposta per ragioni non di diritto, ma “di pratica utilità”. Nonostante ciò la corte sarebbe “caduta in un macroscopico errore”. Il Tribunale avrebbe infatti “dichiarato l’inadempimento della professionista”, accogliendo così la domanda principale dell’attuale ricorrente e “rigettando quella accessoria risarcitoria”. E dunque il ricorrente “risultava vittorioso rispetto alla domanda principale “eccezione in senso proprio”, mentre la circostanza osservata dalla Corte distrettuale aveva ad oggetto semplicemente uno degli elementi offerti a sostegno della domanda avanzata “inadempimento della professionista”… La valutazione sull’dedotto inadempimento… Avrebbe dovuto essere espressa valutando tutte le circostanze di fatto” esposte dall’attuale ricorrente, tra cui la mancata consegna degli atti predisposti nell’interesse del cliente, che la controparte avrebbe dato per “ammessa e documentata”. In conclusione la corte territoriale avrebbe viziato il suo percorso valutativo e cognitivo per aver omesso di valutare uno degli elementi di fatto posti a supporto dell’inadempimento, violando in tal modo l’art. 346 c.p.c..

Il motivo è formulato in modo incongruo, definendo domanda principale quella che al tempo stesso definisce “eccezione di inadempimento”, e comunque censurando la corte territoriale per avere attribuito all’attuale ricorrente acquiescenza quanto alla domanda risarcitoria ma al tempo stesso riconoscendo che l’attuale ricorrente si era al riguardo “acquietato”; e in seguito si dispiega in argomentazioni che, pur intendendo schermare tramite riferimento all’art. 346 c.p.c., vertono direttamente sul fatto.

Già di per sè questa contorta forma, che non consente di percepire in modo nitido e lineare la censura, porta il motivo all’inammissibilità.

Comunque, la mancata proposizione dell’appello incidentale come rappresentata nella frase artificiosamente estrapolata dalla sentenza della Corte d’appello, cioè “per lamentare l’omessa pronuncia circa l’inadempimento alla richiesta di consegna dei documenti in mano alla progettista e per contrastare il rigetto della domanda risarcitoria”, è un argomento eccentrico, dal momento che la ratio decidendi eletta dalla corte non riposa sul rilievo della mancata proposizione dell’appello incidentale su tale questione, bensì sulla riconducibilità causale del pregiudizio non alla condotta della professionista, bensì alla circostanza indicata al primo capoverso della pagina 10 della sentenza impugnata.

Anche così intendendolo, dunque, il motivo rimane inammissibile.

1.2 Il secondo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dei principi in materia di colpa professionale, richiamando gli artt. 2222 c.c. ss. e gli artt. 1176 e 1460 c.c. quanto alla esclusione della responsabilità professionale di controparte.

Questo motivo si dispiega, nonostante il testo della rubrica, in una valutazione direttamente fattuale dell’opera della professionista, tentando di rimettere in discussione l’evento dannoso e il relativo nesso causale attraverso, appunto, una analisi dell’opera stessa, richiamando pure osservazioni estratte dalla consulenza tecnica d’ufficio, e pertanto perseguendo una revisione del merito. Ne deriva una evidente inammissibilità.

1.3 Il terzo motivo denuncia “omessa-contraddittoria motivazione” su un fatto controverso decisivo, “tale da qualificare la condotta della professionista”.

Nonostante la rubrica intenda, evidentemente, inquadrare la censura nella species di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (l’introduzione della contraddittorietà pur a essa eccedendo), il suo contenuto patisce la stessa inammissibilità del precedente motivo. Infatti, lungi dall’evidenziare l’omesso esame di un fatto discusso e decisivo, riprende a valutare l’esito del merito su un piano direttamente fattuale – ancora una volta anche alla luce degli elementi estratti dalla consulenza tecnica d’ufficio – quanto all’opera della professionista, per ottenerne una revisione.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla controricorrente; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012 ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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