Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4487 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15630-2018 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELI II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO

TAGLIALATELA;

– ricorrente –

contro

ENEL ENERGIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI

32, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO LANIGRA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIO FRANCESCO LUCIANO MANCUSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1482/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHI ARA

GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

Avendo P.E. proposto opposizione a decreto ingiuntivo n. 27195/2014 emesso dal Tribunale di Roma che le ordinava di pagare a Enel S.p.A. la somma di Euro 22.889,57, oltre interessi e spese, quale corrispettivo alla somministrazione di energia elettrica, ed avendo l’opposta insistito nella sua pretesa, il Tribunale, con sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., il 21 novembre 2016, revocava il decreto ingiuntivo reputandolo inefficace per tardiva notificazione e condannava l’opponente a pagare comunque la somma ingiunta, oltre a interessi e spese di lite.

P.E. presentava appello, cui resisteva Enel Energia S.p.A. e che la Corte d’appello di Roma rigettava con sentenza del 7 marzo 2018.

P.E. ha presentato ricorso affidato a un unico motivo, denunciante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 342,115 e 183 c.p.c. per avere la corte territoriale dichiarati inammissibili i motivi d’appello secondo, terzo e quarto.

Enel Energia S.p.A. si è difesa con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

Osserva la ricorrente che la corte territoriale, a pagina 4 della motivazione della sentenza impugnata, ha esposto che il secondo motivo d’appello aveva negato che fosse vero che l’appellante avesse contestato le pretese della controparte soltanto nelle memorie di cui all’art. 183 c.p.c., “avendo invece contestato la fondatezza del credito vantato da Enel già nell’atto di opposizione a pagina 4”.

La corte ha poi vagliato il motivo nel modo seguente (a pagina 5 della motivazione): contrariamente alla censura, il giudice di prime cure nella esposizione del fatto “aveva riferito che l’opponente aveva contestato… anche la mancanza di prova della fondatezza della pretesa creditoria”, e in seguito, laddove aveva esternato le sue ragioni, aveva richiamato l’ordinanza dell’1 marzo 2016 relativa alla fondatezza della pretesa risultante dalle fatture mai contestate prima del decreto ingiuntivo, “non essendo stata contestata in giudizio l’esistenza del rapporto”, argomentando successivamente in base alla presunzione della veridicità delle fatture contabilizzate e alla non contestazione del contatore. Quindi il giudice d’appello ha affermato che il secondo motivo del gravame prescindeva totalmente da tale motivazione del Tribunale, così violando l’art. 342 c.p.c.

Oppone ora la ricorrente che fin dall’atto di citazione ella aveva contestata la fondatezza del credito, e che non aveva contestato la fatturazione e il contatore “perchè ha dedotto e provato un fatto estintivo del rapporto che sta a monte”, ovvero “la cessione dell’azienda e del contratto di fornitura elettrica”.

La censura appena illustrata gode in effetti di chiara fondatezza: non è invero sostenibile che il motivo d’appello in questione prescindesse dal contenuto della sentenza di primo grado, in quanto, in realtà, il primo giudice motiva proprio sulla base di fatture e contatore, ignorando così la contestazione relativa alla esistenza ancora permanente del contratto, contestazione che si rinveniva invece a pagina 4 dell’atto di citazione.

Il secondo motivo d’appello, pertanto, non è stato conformato in modalità inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c., come erroneamente ha affermato la corte territoriale.

Quanto al terzo motivo del gravame – con cui l’attuale ricorrente aveva addotto che “in ogni caso era stata documentata la cessione d’azienda già richiamata nelle note di cui all’art. 183 c.p.c.” e che il primo giudice nell’ordinanza 11 ottobre 2016 “aveva erroneamente ritenuto non idoneo (sic) a configurare il subentro la richiesta di cessione e la prova della richiesta di voltura, nè aveva tenuto conto del deposito del contratto di cessione di azienda insieme con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2” (così lo riassume la stessa corte territoriale a pagina 4 della motivazione della sentenza impugnata) -, il giudice d’appello ha affermato che era “del tutto avulso” dalla motivazione della sentenza del primo giudice, non essendo quest’ultimo “entrato nel merito della valutazione del fatto impeditivo o estintivo della cessione”, per aver rilevato la tardiva allegazione nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2 (motivazione della sentenza d’appello, pagina 6).

Questa affermazione costituisce, ictu oculi, conseguenza dell’errore relativo al secondo motivo d’appello, appena constatato: pertanto anche in parte qua il motivo del ricorso deve essere accolto.

Il quarto motivo d’appello, relativo allo storno di fatture come prova della cessione del contratto di somministrazione, è stato reputato dalla corte territoriale una “deduzione… nuova”, violante quindi l’art. 345 c.p.c.; al riguardo, nonostante la rubrica del motivo investa pure la quarta censura del gravame, su di esso il ricorso tace.

Il ricorso, in conclusione, deve essere accolto quanto alla censura relativa al secondo e al terzo motivo d’appello; la sentenza impugnata deve dunque essere cassata in relazione, con rinvio, anche per le spese processuali, ad altra sezione della stessa corte territoriale.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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