Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4487 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 08/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16843/2017 proposto da:

E.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via delle

Quattro Fontane n. 10, presso lo studio dell’avvocato Ghia Lucio,

rappresentata e difesa dall’avvocato Saccone Nicola, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit S.p.a., e per essa doBank s.p.a. (già Unicredit Credit

Management Bank S.p.a.) quale mandataria, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Lungotevere A. da Brescia n. 9-10, presso lo studio dell’avvocato

Fioretti Andrea, rappresentata e difesa dall’avvocato Tedeschi Guido

Uberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

R.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Quattro

Fontane n. 10, presso lo studio dell’avvocato Ghia Lucio,

rappresentato e difeso dall’avvocato Saccone Nicola, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit S.p.a., e per essa doBank s.p.a. (già Unicredit Credit

Management Bank S.p.a.) quale mandataria, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Lungotevere A. da Brescia n. 9-10, presso lo studio dell’avvocato

Fioretti Andrea, rappresentata e difesa dall’avvocato Tedeschi Guido

Uberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 609/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/01/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 609/2017, depositata in data 7/3/2017, – in controversia concernente opposizione promossa dalla (OMISSIS) srl, in qualità di debitrice principale, e da E.C. e R.P., in qualità di fideiussori (in forza di fideiussione omnibus del 29/4/1998, nei limiti dell’importo massimo di Euro 180.759,91, integrata, con atto successivo del giugno 1998, di aumento dell’importo garantito ad Euro 516.456,90), nei confronti di Unicredit spa (quale successore di Rolo Banca spa), al decreto ingiuntivo con il quale si era loro ingiunto, in solido, di pagare alla suddetta banca l’importo di Euro 860.567,61 (per i fideiussori l’importo era limitato ad Euro 516.456,90), oltre interessi, a titolo di saldo passivo del conto corrente n. (OMISSIS) e di tre conti anticipi fatture accesi dalla società, – ha, negli appelli riuniti proposti dai due fideiussori, confermato, per quanto qui interessa, la decisione di primo grado, che aveva, all’esito di istruttoria condotta con consulenze tecniche d’ufficio grafologica (stante il disconoscimento della sottoscrizione operato dalla E.) e contabile, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, rideterminato l’importo a debito della società nella minor somma di Euro 551.765,19 (esclusa l’applicata capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, riconosciuti i soli interessi legali, in difetto di pattuizione scritta di tasso superiore, respinta la doglianza in ordine alle commissioni di massimo scoperto, in difetto di riscontro positivo in sede peritale), con condanna al relativo pagamento in favore di Unicredit della società in bonis (in difetto di riassunzione, a seguito di interruzione del giudizio per fallimento della società, nei confronti della procedura), condanna estesa, in solido, ai fideiussori, il R., nei limiti di Euro 516.454,90, e la E., nei limiti di Euro 180.759,91 (essendo risultata apocrifa, a seguito di disconoscimento, la sottoscrizione da quest’ultima apposta sulla successiva integrazione datata 12/6/1998, relativa all’aumento dell’importo garantito). La Corte di merito dichiarava poi inopponibile nei confronti del Fallimento della (OMISSIS) srl la sentenza di condanna emessa nei confronti della società in bonis e dei fideiussori.

In particolare, la Corte di merito, quanto alla doglianza sollevata dalla E., relativa al fatto che il Tribunale non avesse esaminato la propria eccezione in punto di abusivo riempimento della fideiussione da lei rilasciata nell’aprile 1998 (contra pacta, dovendosi la garanzia intendersi limitata alla somma di Lire 50.000.000, non di Euro 350.000.000), la riteneva fondata, ma respingeva la sottesa eccezione, con correzione della motivazione, a seguito di reiezione, perchè inammissibili, in quanto implicitamente rinunciate, delle richieste di prove, testimoniali e per interrogatorio formale, articolate e comunque non ammesse in primo grado (avendo l’opponente chiesto ed ottenuto che la causa, all’esito delle espletate consulenze tecniche d’ufficio, contabile e grafologica, fosse rinviata per la precisazione delle conclusioni), e declaratoria di inammissibilità della querela di falso proposta, mancando la prova di un diverso accordo tra le parti; in ogni caso, la prova per interrogatorio formale del R., “a conferma dell’asserito abusivo riempimento”, sarebbe stata inammissibile vertendo su circostanza priva di effetto confessorio per il medesimo; quanto poi alla comune doglianza dei due fideiussori, in punto di omessa pronuncia sulle eccezioni da loro sollevate ex art. 1956 c.c., di liberazione del fideiussione, la Corte d’appello, parimenti, riteneva fondato il motivo ma respingeva, nel merito, l’eccezione, considerata la qualità rivestita dai fideiussori nella società garantita (essendo il R. amministratore della società e la E. socia, titolare, fino al (OMISSIS), di quota pari al 90% del capitale sociale, e moglie dell’amministratore, sia pure attualmente separata) e quindi la loro conoscenza della situazione della società.

Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 24/4/2017, con separati ricorsi propongono ricorso per cassazione E.C., con atto notificato il 23/6/2017, e R.P., con atto notificato in pari data, affidati ciascuno a sei motivi, nei confronti di Do Bank spa, già Unicredit Credit Management Bank spa, quale mandataria di Unicredit spa (che resiste con controricorso, notificato il 24/8/2017). La ricorrente E. e la controricorrente hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente E. lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, artt. 115,183,187 e 189 c.p.c., in punto di prova dell’abusivo riempimento di foglio firmato in bianco, quanto alla fideiussione del 29/4/1998, che, sin dall’atto introduttivo del giudizio era stata contestata nel suo contenuto (non nella sottoscrizione) ed in punto di rinuncia implicita alle richieste istruttorie già articolate, deducendo che la causa, in primo grado, era stata rinviata, su richiesta dell’istituto di credito, “per la precisazione delle conclusioni in ordine all’istanza di verificazione, all’udienza del 28/11/2012” e che essa, concludendo “come in atti”, aveva inteso richiamare “tanto le conclusioni istruttorie che quelle di merito già formulate”; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, artt. 2702 e 1362 c.c., nonchè art. 221 c.p.c., in punto di ritenuta inammissibilità della querela di falso proposta sempre in relazione alla fideiussione del 29/4/1998, perchè diretta ad accertare la falsità materiale di detto atto, contrario alle pattuizioni convenute in punto di importo garantito; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè artt. 1956,1372 e 26967 c.c., in punto di eccepita liberazione del fideiussore, dovendo ritenersi che fosse pacifica la circostanza che essa E., estromessa dalla gestione e conoscenza delle vicende sociali del coniuge separato, legale rappresentante della società, così da vincere la presunzione di conoscenza a suo carico, quantomeno dal 1998 e sino alla data del fallimento della società intervenuto nel 2010, e dovendosi dare rilievo altresì alla pacifica abnorme concessione di linee di credito alla società debitrice da parte della banca ed alla situazione di dissesto economico della società, iniziata già nel 2000; 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè L. n. 154 del 1992, art. 10, art. 116 c.p.c., essendo emerso dal giudizio il comportamento di assoluta malafede tenuto dall’Istituto di credito, attesa l’accertata falsità della sottoscrizione apposta sull’atto integrativo del giugno 1998, utilizzato dalla banca per concedere alla società un credito ulteriore e smisurato, ribadita anche l’illiceità dell’abusivo riempimento della fideiussione del 29/4/1998, fraudolentemente elevata, all’insaputa di essa E., a Lire 350.000.000; 5) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 1230 e 1362 c.c., nonchè artt. 112 e 116 c.p.c., non avendo nè la Corte d’appello, nè il Tribunale considerato che la fideiussione del 12/6/1998 costituiva novazione di quella precedentemente rilasciata il 29/4/1998, con conseguente estinzione della suddetta fideiussione, unica ascrivibile anche alla E., per quanto emerso in giudizi, e che quindi, essendo stata accertata la falsità della sottoscrizione e la conseguente inefficacia della fideiussione del 12/6/1998, unica valida inter partes, non potevano farsi rivivere le obbligazioni di cui alla scrittura del 29/4/1998, ormai estinta e priva di efficacia, per effetto dell’intervenuta novazione; 6) con il sesto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 91 e 88 c.p.c., in punto di condanna alle spese del giudizio di opposizione, integralmente poste a carico degli opponenti, pur essendo stata accolta gran parte delle loro doglianze, con sensibile riduzione dell’originaria pretesa creditoria ex adverso azionata.

2. Il ricorrente R. lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 342 e 348 bis c.p.c., in punto di ritenuta inammissibilità, per difetto di specificità, del primo motivo di appello, inerente all’eccezione di nullità della fideiussione per abusiva concessione del credito, fondata sulla circostanza che la banca avesse continuato ad accogliere le richieste di finanziamento della società senza correttamente valutarne le condizioni patrimoniali; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè artt. 1956,1372 e 26967 c.c., in punto di eccepita liberazione del fideiussore, dovendosi dare rilievo altresì alla pacifica abnorme concessione, in assenza di specifica autorizzazione da parte del fideiussore, di linee di credito alla società debitrice da parte della banca ed alla conoscenza da parte della stessa della situazione di dissesto economico della società debitrice; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè L. n. 154 del 1992, art. 10, art. 116 c.p.c., essendo emerso dal giudizio il comportamento di assoluta malafede tenuto dall’Istituto di credito, attesa l’accertata falsità della sottoscrizione apposta sull’atto integrativo del giugno 1998 e l’utilizzo di successivo atto abusivamente riempito nella parte in cui si individuava l’importo garantito; 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 1230 e 1362 c.c., nonchè artt. 112 e 116 c.p.c., non avendo nè la Corte d’appello, nè il Tribunale considerato che la fideiussione del 12/6/1998 costituiva novazione di quella precedentemente rilasciata il 29/4/1998, con conseguente estinzione della suddetta fideiussione, e che quindi, essendo stata accertata la falsità della sottoscrizione e la conseguente inefficacia della fideiussione del 12/6/1998, unica valida inter partes, non potevano farsi rivivere le obbligazioni di cui alla scrittura del 29/4/1998, ormai estinta e priva di efficacia; 5) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 112,115 e 189 c.p.c., in punto di omessa pronuncia sulle richieste istruttorie (prova per testi e rinnovazione di CTU) articolate dal R. in primo grado e reiterate in appello; 6) con il sesto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 91 e 88 c.p.c., in punto di condanna alle spese del giudizio di opposizione, integralmente poste a carico degli opponenti, pur essendo stata accolta gran parte delle doglianze, con sensibile riduzione dell’originaria pretesa creditoria ex adverso azionata.

3. Va dato atto che sono stati già riuniti, ex art. 335 c.p.c., in unico procedimento, i separati ricorsi promossi da E.C. e R.P. avverso la stessa sentenza impugnata.

4. La prima censura del ricorso E. è fondata.

La Corte d’appello ha ritenuto implicitamente rinunciate in primo grado le richieste istruttorie formulate dalla E. o nella memoria istruttoria (prova per testi e per interrogatorio formale del R. e del legale rappresentante della banca, ritrascritte alle pagg. 21/24 del presente ricorso per cassazione), in quanto detta parte opponente, anzichè chiedere la prosecuzione dell’istruttoria sull’eccepito abusivo riempimento della fideiussione del 29/4/1998, all’udienza del 15/2/2012, aveva chiesto ed ottenuto la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni ed inoltre, in sede di precisazione delle conclusioni si era semplicemente riportata alle “conclusioni di cui agli atti” e quindi solo a quelle dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non contenente istanze istruttorie, articolate solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2.

Tale pronuncia complessiva di inammissibilità delle richieste di prove orali, per testimoni e per interrogatorio formale del R., da parte della Corte d’appello, vale a rendere mera motivazione ad abundantiam quella riferita anche alla inammissibile articolazione della prova per interrogatorio formale del R. (prova questa che sarebbe stata inammissibile in quanto vertente “su circostanza priva di effetto confessorio per il medesimo”), con conseguente non necessità di autonoma impugnazione.

Ora questa Corte ha affermato che: 1) “qualora la parte che abbia indicato un teste richieda la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, la stessa manifesta con tale inequivoco comportamento la sua volontà di rinunciare all’audizione del teste stesso e se la controparte aderisce alla richiesta di remissione della causa al collegio in sostanza accede alla rinuncia al teste. Tale rinuncia acquista poi efficacia per effetto del consenso del giudice implicitamente espresso con il provvedimento di chiusura dell’istruttoria e di remissione della causa in decisione, per cui compete solo al collegio, con giudizio non sindaca bile in sede di legittimità, ordinare la riapertura della istruttoria, revocando l’ordinanza del giudice istruttore” (Cass. 12241/2002, conf. Cass. 10797/2018); 2) “in tema di istruzione probatoria nel rito ordinario, spetta alla parte attivarsi per l’espletamento del richiesto mezzo istruttorio che il giudice abbia ammesso; sicchè, ove la parte rimanga inattiva, chiedendo la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni senza più instare per l’espletamento del mezzo di prova, è presumibile

che abbia rinunciato alla prova stessa” (Cass. 18688/2007; nella specie, questa Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato l’implicita rinuncia all’ammessa prova testimoniale nel fatto che la parte istante aveva chiesto non già la fissazione dell’udienza per l’assunzione della prova, bensì la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni); 3) solo nel rito ordinario anteriore all’entrata in vigore della novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, “la richiesta, formulata dalla parte che aveva domandato ed ottenuto l’ammissione di una prova testimoniale, di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni in luogo dell’assunzione dei testimoni, è incompatibile con la volontà di proseguire nella fase istruttoria del procedimento, dimostrando, al contrario, l’intenzione di passare a quella decisoria, e consentendo, quindi, di presumere l’avvenuta implicita rinuncia alla suddetta prova, atteso che proprio la mancata predeterminazione normativa di un sistema di preclusioni e decadenze, caratterizzante quel rito, interamente governato dall’impulso delle parti, impone di valorizzare ed interpretare rigorosamente i comportamenti da esse tenuti” (Cass. 18540/2013); 4) “l’omessa riproposizione, all’udienza di precisazione delle conclusioni, di alcune delle domande formulate nel corso del giudizio, o il semplice richiamo alle conclusioni originariamente proposte con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, sono circostanze sufficienti a far presumere l’abbandono delle domande non riproposte, se dalla complessiva condotta della parte non si evidenzia in modo inequivoco l’intento di mantenere ferme tutte le domande, nonostante la materiale omissione di alcune di esse” (Cass. 14783/2004); 5) “quando la causa viene trattenuta in decisione perchè sia decisa immediatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, ai sensi dell’art. 187 c.p.c., il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le istanze istruttorie già formulate non consente al giudice di ritenerle abbandonate, se una volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco” (Cass. 8576/2012; in applicazione di tale principio, questa Corte ha cassato la sentenza di merito la quale, essendo stata una causa di risarcimento del danno trattenuta in decisione per decidere un’eccezione preliminare di prescrizione, aveva ritenuto implicitamente abbandonate le istanze istruttorie non reiterate dall’attore nel precisare le conclusioni, e di conseguenza aveva rigettato la domanda in base all’assunto che, quand’anche l’eccezione di prescrizione fosse stata superata, l’attore comunque non aveva provato, nè chiesto di provare, il “quantum debeatur”); 6) la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poichè, diversamente, non essendo sufficiente il generico richiamo “agli atti”, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello (Cass. 25157/2008; Cass. 10748/2012; Cass. 16290/2016; Cass. 19352/2017; Cass. 3229, 15029 e 57541 del 2019).

Ora, la parte ricorrente ha dedotto che la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni era stata chiesta solo dalla banca e che la causa era stata rimessa in decisione solo sull’istanza di verificazione della scrittura disconosciuta, cosicchè il semplice richiamo alle “conclusioni di cui agli atti”, operato in sede di precisazione delle conclusioni, non poteva essere indice unico di rinuncia alle istanze istruttorie, anche perchè la richiesta era stata reiterata in sede di memoria ex art. 190 c.p.c., depositata in primo grado.

In effetti, la presunzione circa la volontà della parte di tener ferme le originarie conclusioni, anche istruttorie, non può operare allorquando vi sia stato – medio tempore – un espresso provvedimento reiettivo di istanze probatorie, da parte del giudice istruttore, in quanto tale provvedimento sollecita la parte interessata a ribadire espressamente le proprie richieste istruttorie, in sede di precisazione delle conclusioni, che, altrimenti, debbono intendersi tacitamente rinunciate per acquiescenza al provvedimento reiettivo; ma, laddove sia mancata, come nella specie (come emerge dal ricorso e dal controricorso e dalla stessa sentenza qui impugnata della Corte d’appello), una reiezione esplicita delle istanze istruttorie da parte del giudice, la rinuncia alle stesse non può desumersi dal solo ampio richiamo, in sede di precisazione delle conclusioni, “agli atti di causa”.

5. La seconda censura è infondata.

La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la querela di falso incidentale sulla scrittura del 29/4/1998 – ed indimostrato l’abusivo riempimento da parte della banca di foglio firmato in bianco da parte del fideiussore anche per effetto dell’inammissibilità delle richieste istruttorie non coltivate in primo grado – in applicazione di costante principio di diritto ribadito da questa Corte: “la denunzia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco postula la proposizione della querela di falso tutte le volte in cui il riempimento risulti avvenuto “absque pactis” e, cioè, in assenza di uno specifico accordo sul contenuto del documento, non anche laddove il riempimento abbia avuto luogo “contra pacta”; ciò che rileva, dunque, ai fini della querela è che il riempitore non sia stato autorizzato al riempimento, mentre non ha alcuna importanza il fatto che egli miri a far apparire il documento come collegato ad un’operazione economica diversa da quella cui si riferisce l’autorizzazione ricevuta” (Cass. 21587/2019; Cass. 5417/2014; Cass. 2524/2006, proprio in riferimento ad una fideiussione, chiarendo che “la diversa disciplina si spiega perchè nella prima ipotesi l’abuso incide sulla provenienza e sulla riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, mentre nella seconda si traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione medesima, in relazione allo strumento adottato (mandato “ad scribendum”), la quale implica solo la non corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare”).

Nella specie, la E. aveva dedotto di essersi accordata con il funzionario responsabile di Rolo Banca nel senso che la sua garanzia fosse limitata alla somma di Euro 50.000,00 e non a quella di Euro 359.000,00 risultante dal testo della fideiussione da lei firmata; si era eccepito quindi un riempimento contra pacta, in relazione al quale la querela di falso era strumento inammissibile.

6. La terza censura è assorbita.

La Corte di merito ha ritenuto, ai fini dell’eccepita liberazione dei fideiussori, ex art. 1956 c.c., assumesse rilievo la qualità rivestita dai fideiussori nella società garantita (essendo il R. amministratore della società e la E. socia, titolare, fino al (OMISSIS), di quota pari al 90% del capitale sociale, e moglie dell’amministratore, sia pure attualmente separata) e quindi la presunzione circa la loro conoscenza della situazione della società.

In relazione alla liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c., questa Corte (Cass. 3761/2006) ha precisato che “la banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale” e che “la mancata richiesta di autorizzazione non può tuttavia configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore” (cfr., da ultimo, anche Cass. 4112/2016, che ha chiarito che “in tema di liberazione del fideiussione, l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c., non è configurabile come accordo “a latere” del contratto bancario cui la garanzia accede, sicchè non richiede la forma scritta “ad substantiam” e può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito”).

Ora, la Corte di merito ha sostanzialmente considerato irrilevante la mancata richiesta della suddetta autorizzazione da parte della banca, atteso che la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi comune a debitore e fideiussore ovvero presunta in ragione della qualità rivestita dai garanti all’interno della società debitrice principale (amministratore il R. e socia di maggioranza la E., tenuto conto della sua qualità di socia, al 90% del capitale sociale sino al maggio 2009).

Tuttavia, l’ E. aveva articolato richiesta di prove orali anche al fine di vincere la presunzione di conoscenza della situazione economico-patrimoniale della società, richiesta che non è stata esaminata dalla Corte d’appello, in quanto erroneamente ritenuta implicitamente rinunciata in primo grado.

7. Sono assorbite anche le restanti censure (in punto di asserita malafede dell’istituto di credito, fondata anche sull’illiceità dell’abusivo riempimento della fideiussione del 29/4/1998, di asserita novazione della prima fideiussione dell’aprile 1998 e di spese processuali).

8. Venendo all’esame del ricorso del R., il primo motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile, per difetto di specificità, ex art. 342 c.p.c., il primo motivo di gravame del R. con il quale lo stesso aveva dedotto l’erronea valutazione del Tribunale in ordine alla genericità della sollevata eccezione di nullità della fideiussione per abusiva concessione del credito da parte della banca garantita, rilevando che il Tribunale aveva ritenuto generica l’eccezione per ragioni di carattere sia tecnico (mancata specificazione se tale condotta della banca integrasse causa estintiva o impeditiva del sorgere del credito, anche solo per una parte) e sistematico (per essere tale figura di abuso invocabile dai soli creditori concorrenti e non dai fideiussori del debitore principale) e che, a fronte di tale giudizio, l’appellante R. si era limitato a ribadire le proprie ragioni, non confrontandosi con la decisione impugnata, non venendo chiarito se la dedotta condotta abusiva fosse causa di nullità della fideiussione o fonte di una semplice responsabilità risarcitoria della banca ovvero se sussistesse la sa legittimazione attiva a sollevare l’eccezione.

Vero che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. SU 27199/2017; Cass. 13535/2018).

Nella specie, anche dall’esame degli atti, non risulta che l’appellante R. nel motivo in oggetto avesse svolto, ad es., specifici argomenti difensivi a confutazione dell’affermata sua carenza di legittimazione attiva rispetto all’eccezione ed alle domande riconvenzionali.

9. Il secondo motivo è infondato.

In relazione alla liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c., questa Corte (Cass. 3761/2006) ha precisato che “la banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale” e che “la mancata richiesta di autorizzazione non può tuttavia configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore” (cfr., da ultimo, anche Cass. 4112/2016).

Nella specie, la Corte di merito ha sostanzialmente considerato irrilevante la mancata richiesta della suddetta autorizzazione da parte della banca, atteso che la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi comune a debitore e fideiussore, ovvero presunta in ragione della qualità rivestita dal R. all’interno della società debitrice principale (amministratore).

Quanto dedotto dal ricorrente non configura violazioni di diritto sostanziale presenti nella decisione impugnata, cosicchè il riferimento alle norme civili (art. 1956 c.c.) risulta palesemente inconferente, giacchè quel che viene in discussione è unicamente il modo in cui la Corte di merito, cui competeva farlo, ha valutato le risultanze documentali acquisite agli atti. Si è trattato, dunque, di una valutazione di merito, come tale di stretta competenza della corte territoriale, che il riferimento alla documentazione prodotta rende adeguatamente motivata.

10. Il terzo motivo è inammissibile.

Invero, la dedotta malafede della banca garantita è stata motivatamente esclusa dalla Corte di merito, in difetto di prova contraria offerta dagli opponenti. Il ricorrente deduce che la malafede doveva evincersi dal fatto stesso di avere utilizzato un documento falso, quello datato 12/6/1998, per firma risultata apocrifa della E., e dall’abusiva concessione di credito alla società debitrice principale.

Senonchè la doglianza non si confronta con la statuizione d’appello che ha rilevato l’autonomia dei due rapporti fideiussori, cosicchè non avendo il R. disconosciuto la propria sottoscrizione, neppure si poteva avvalere dell’accertata falsità della sottoscrizione della E. in calce all’atto del giugno 1998. In ordine all’infondatezza della doglianza di abusiva concessione del credito da parte della banca si è già detto.

11. Il quarto motivo è inammissibile, anche per difetto di autosufficienza.

Invero, la controricorrente ha eccepito la novità della questione in

ordine all’asserita novazione oggettiva del rapporto fideiussorio.

In effetti, la decisione impugnata nulla dice al riguardo.

Ora, questa Corte ha chiarito che “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (Cass. 23675/2013; conf. Cass. 15430/2018; Cass. 20694/2018).

I motivi del ricorso per cassazione devono, infatti, investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano formato oggetto del giudizio di merito, pertanto, in sede di legittimità, non possono essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di contestazione involgenti accertamenti di fatto non compiuti, perchè non richiesti, in sede di merito (Cass. 10111/1996).

La questione della novazione oggettiva del rapporto di garanzia in questa sede sollevata involge nuovi accertamenti di fatto, tanto che la controricorrente ha rilevato come, nell’atto del 12/6/1998, era richiamata la fideiussione del 29/4/1998, con elevazione dell’importo della garanzia da Lire 350 milioni a Lire un miliardo, con la specificazione dell’integrale conferma per il resto del contenuto della citata pregressa garanzia fideiussoria.

12. Il quinto motivo è infondato.

Il ricorrente R. lamenta l’omessa pronuncia sulle proprie richieste istruttorie di prova testimoniale, respinta in primo grado e reiterata in appello.

Ora, come ribadito da questa Corte (Cass. 17197/2018; Cass. 4158/1976), l’omissione di una qualsiasi decisione su un capo della domanda che riguarda la richiesta di mezzi istruttori quale il deferimento di giuramento decisorio costituisce vizio di omessa pronuncia, denunciabile in cassazione, in quanto detta richiesta, ove fosse stata presa in esame, avrebbe potuto portare a una decisione diversa da quella adottata.

Tuttavia la prova testimoniale articolata dal R. (e non risulta che lo stesso avesse insistito in appello per l’ammissione di prova per interrogatorio formale) era inammissibile per sua genericità ed ininfluenza; in particolare, il primo capitolo come ritrascritto in ricorso per cassazione (in punto di asserita conoscenza da parte della banca dello stato di crisi che attraversava la società debitrice: “Vero che nei vari incontri succedutisi nel tempo per la concessione, per il rinnovo e per l’aumento degli affidamenti di (OMISSIS) srl, in funzionari di Unicredit Filiale di (OMISSIS), cui di volta in volta venivano consegnati i bilanci e la situazione patrimoniale della società, dichiaravano che nutrivano seri dubbi sulla potenziale solvibilità di (OMISSIS) srl”) è inidoneo ad escludere in ogni caso la presunzione di autorizzazione implicita concessa dal garante, ai fini dell’eccepita liberazione ex art. 1956 c.c. (essendo stato invece giudicato inammissibile il gravame in punto di condotta in malafede della banca garantita).

13. Il sesto motivo è del pari infondato. La Corte di merito ha ritenuto, in punto di rigetto del motivo di gravame concernente la condanna alle spese del giudizio degli opponenti, che fosse stata fatta in primo grado corretta applicazione del principio della soccombenza, essendo risultata la banca comunque vincitrice nei confronti di entrambi gli opponenti per somme assai rilevanti, sia pure inferiori al credito azionato in sede monitoria.

Questa Corte anche di recente (Cass. 17854/2020; Cass. 18125/2017) ha precisato che “ai fini della condanna alle spese di giudizio, la valutazione di soccombenza va sempre rapportata all’esito finale della lite, anche nell’ipotesi di giudizio seguito ad opposizione ex art. 645 c.p.c., sicchè non può considerarsi soccombente il creditore opposto che veda conclusivamente riconosciuto, anche in parte minima, il proprio credito rispetto alla domanda monitoria, legittimamente subendo la revoca integrale del decreto ingiuntivo e la condanna alla restituzione di quanto, eccedente rispetto al dovuto, percepito in dipendenza della provvisoria esecutività”.

14. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso del R. e, in accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo del ricorso della E., respinto il secondo ed assorbiti i restanti, va cassata, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese processuali nel rapporto E. – Unicredit. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono invece la soccombenza, nel rapporto R. – Unicredit.

PQM

La Corte: a) respinge il ricorso di R.P. e condanna il suddetto ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge; b) accoglie il primo motivo del ricorso di E.C., respinto il secondo ed assorbiti i restanti, e cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese processuali nel rapporto E. – Unicredit.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente R. dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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