Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4484 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26621-2018 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CESI 21, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TORRISI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIO CAPRIOLI e da se

medesimo;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato NICCOLO’ MARIA DE MATTEI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA FIOCCO;

– controricorrente –

contro

C.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 444/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 23/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza resa in data 23/4/2018, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha disatteso la querela di falso proposta da P.R., in contraddittorio con P.M. e C.R., avente ad oggetto l’accertamento della falsità di talune cambiali sottoscritte dai convenuti;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale disattese le istanze avanzate dall’appellante in ordine alla pretesa inammissibilità delle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale presso la corte d’appello, e in ordine alla chiesta riunione della presente causa con altra avente a oggetto un’ulteriore e diversa querela di falso – ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva escluso il ricorso di alcun interesse del P. alla proposizione della querela di falso, essendo i titoli impugnati di falso tutti girati in favore del P. o emessi in suo favore;

che, avverso la sentenza d’appello, P.R. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che P.M. resiste con controricorso;

che C.R. non ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria;

considerato che, con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 72,347,153,350 e 352 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare le irregolarità procedi-mentali (analiticamente descritte in ricorso) caratterizzanti gli atti compiuti, nel corso del giudizio di appello, dal Procuratore generale presso la medesima corte, con la conseguente nullità del procedimento e della sentenza impugnata;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (cfr., ex plurimis, Sez. 1 -, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017, Rv. 645194 – 01);

che, nella specie, non avendo il ricorrente provveduto ad alcuna idonea specificazione del preteso obiettivo pregiudizio derivato al proprio diritto di difesa come conseguenza delle asserite violazioni proce-dimentali, la censura in esame non sfugge al rilievo della relativa inammissibilità, per altro verso altresì desumibile dalla palese violazione degli oneri di puntuale e completa allegazione del ricorso imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6;

che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2727,2729 e 2946 c.c., nonchè degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso l’istanza di riunione del presente giudizio con quello avente oggetto un’altra querela di falso analiticamente descritta in ricorso, e per avere erroneamente affermato l’inesistenza di alcun interesse del P. alla proposizione della querela di falso, tenuto conto dello specifico interesse dello stesso a eliminare lo stato di obiettiva incertezza esistente in ordine all’autenticità dei titoli impugnati, come descritto in ricorso;

che il motivo è inammissibile;

che, preliminarmente, varrà osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancata riunione di cause non è prevista dalla legge come causa di nullità processuale estesa agli atti successivi, fino alla sentenza, e pertanto non può essere dedotta come motivo di ricorso per Cassazione; la relativa facoltà configura comunque un potere discrezionale del giudice di merito, il cui mancato uso, implicante una valutazione di fatto circa la gravosità della riunione, o l’eccessivo ritardo del processo che ne conseguirebbe, non è censurabile in sede di legittimità (cfr., ex pluri-mis, Sez. L, Sentenza n. 2649 del 11/02/2004, Rv. 570051 – 01);

che, nel resto, varrà osservare come le censure avanzate con il motivo in esame non attingano in alcun modo l’intera articolazione ar-gomentativa illustrata nella sentenza impugnata (limitandosi alla ripro-posizione di taluni brani estratti dalla sentenza di primo grado), dipanandosi in forme talmente generiche da impedire alcuna certa individuazione dei profili di decisiva criticità addebitati al discorso giustificativo contenuto nella sentenza impugnata;

che, con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere la corte territoriale incorsa, nell’elaborazione della sentenza impugnata, nel vizio di omessa e insufficiente motivazione;

che il motivo è inammissibile;

che, sul punto, osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna do-glianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 cit., n. 5, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Dichiara l’inammissibilità il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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