Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4478 del 25/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4478 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

Vendita

ORDINANZA

preliminare

sul ricorso proposto da:
RIGHETTO Lucio, rappresentato e difeso dagli Avvocati Vladimiro Pegoraro e Luigi Manzi per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio
del secondo in Roma, via Federico Confalonieri n. 5;
– ricorrente –

contro
BASSO Domenico (BSS DNC 38A18 D325M) e NOVELLO Marina (NVL
MRN 43B65 D325E), rappresentati e difesi, per procura a
margine del controricorso, dagli Avvocati Mario Ettore Verino e Franco Zambelli, elettivamente domiciliati presso lo
studio del primo in Roma, via Lima n. 15;
– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n.
373/10 depositata in data 16 febbraio 2010.

Data pubblicazione: 25/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10 dicembre 2013 dal Consigliere relatore
Dott. Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Federica Manzi con delega;

Procuratore Generale dott. Aurelio Golia, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380-bis cod. proc.
civ.
Ritenuto che, con atto di citazione notificato in data
3 maggio 2002, Righetto Lucio conveniva in giudizio dinanzi
al Tribunale di Venezia – Sezione Distaccata di Dolo, Basso
Domenico e Novello Marina, esponendo che in data 28 gennaio
2002 aveva concluso con i convenuti un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto la proprietà
dell’immobile sito in Comune di Camponogara (VE) ed aveva
già versato agli stessi la somma di 61.974,83 euro a titolo
di principio di pagamento;
che l’attore, premettendo di aver scoperto solo dopo la
stipula del contratto che l’immobile promesso in vendita
era gravato da vincoli asseritamente taciuti dai promittenti venditori (nello specifico, la particella n. 33 era
classificata nel PRG in parte come zona per spazi pubblici
e sull’immobile gravava ipoteca), chiedeva, oltre al risarcimento dei danni, che venisse emessa sentenza ex art. 2932
cod. civ. che tenesse luogo del contratto di compravendita

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sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

e che riducesse il prezzo in ragione dei vincoli prima citati;
che si costituivano in giudizio i convenuti i quali,
opponendosi alle domande attoree, esercitavano in via ri-

chiedendo, altresì, l’accertamento del diritto a ritenere
la caparra confirmatoria versata;
che il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 83 del
2004, rigettava le domande del Righetto, accogliendo la domanda riconvenzionale dei promittenti venditori;
che avverso tale decisione proponeva gravame il Righetto, reiterando le domande già proposte in primo grado;
che la Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 373
del 2010, rigettava il gravame, condannando l’appellante al
pagamento delle spese processuali;
che la Corte territoriale negava ogni rilevanza,
nell’ambito dell’economia contrattuale, alla disciplina urbanistica della particella n. 33 in quanto la stessa, non
rientrando nella stima del compendio, in alcun modo aveva
influito in ordine alla determinazione del corrispettivo;
che, inoltre, essendo le prescrizioni del PGR assistite
dalla presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, non sussisteva la responsabilità del venditore che
non avesse dichiarato in contratto l’esistenza di un vincolo derivante dal PRG;

convenzionale il recesso di cui all’art. 1385 cod. civ.

che, quanto alla doglianza attinente alla mancata cancellazione dell’ipoteca, i giudici di appello ritenevano
che la stessa rappresentasse una mera formalità, escludendo
così la sussistenza dell’inadempimento imputabile agli ap-

che la Corte d’appello riconosceva infine la legittimità del recesso e del conseguente trattenimento della caparra confirmatoria, potendosi ben qualificare come inadempimento rilevante il comportamento tenuto dall’appellante,
promissario acquirente;
che avverso tale sentenza il Righetto ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, entrambi rubricati “omessa, insufficiente, illogica o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.; violazione o
falsa applicazione degli

artt.

2932 e 1365 cod. civ., ex

art. 360 cod. proc. civ.”;
che in particolare, nel primo motivo, il ricorrente sostiene l’erroneità della pronuncia per avere la Corte
d’appello ritenuto irrilevante la mancata cancellazione
dell’ipoteca, sulla base dell’erroneo presupposto che la
cancellazione costituisse una mera formalità, e ciò in violazione di quanto invece espressamente pattuito in precedenza dalle parti, con il conseguente ulteriore errore di
addebitare l’inadempimento a carico di esso ricorrente;

pellati;

che con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ritiene erronea la decisione nella parte in cui ha riconosciuto la legittimità del recesso e del conseguente trattenimento della caparra da parte dei promittenti venditori;

e Basso, chiedendo il rigetto di ogni pretesa avversaria;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta
relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è
stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.
Considerato che il relatore designato ha formulato la
seguente proposta di decisione:
«[ (…)] Il ricorso è infondato e va rigettato.
Quanto ai denunciati vizi motivazionali, va innanzitutto
rilevata l’inammissibilità della denuncia dell’omessa motivazione, formulata congiuntamente con la denuncia di motivazione insufficiente o contraddittoria, stante
l’insanabile contrasto logico sussistente tra il primo di
tali vizi e gli altri, in quanto, come desumibile dalla
formulazione alternativa e non congiuntiva delle ipotesi
previste dall’art. 360 c.p.c., comma l, n. 5, una motivazione mancante non può essere insufficiente o contraddittoria, in quanto l’insufficienza e la contraddittorietà presuppongono comunque una motivazione di cui la parte si duo-

che hanno resistito con controricorso i Sig.ri Novello

le (così Cass. n. 7575 del 2011; Cass. n. 13954 del 2007 e
Cass. n. 1317 del 2004).
Parimenti da rigettarsi sono le censure, comuni ad entrambi
i motivi, circa il vizio motivazionale sotto il profilo

richiamando i principi ormai consolidati presso la giurisprudenza di legittimità, si ravvisa vizio di contraddittoria motivazione quando le ragioni poste a fondamento della
decisione risultano sostanzialmente contrastanti in guisa
da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione
della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. n. 6064 del 2008), mentre il vizio di insufficiente motivazione sussiste solo quando sussista una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico su cui
si fonda il convincimento. Nel caso di specie, la Corte
d’appello di Venezia ha congruamente ed adeguatamente motivato in relazione ad entrambi i profili denunciati.
Nello specifico, quanto alla irrilevanza della cancellazione dell’ipoteca nell’ambito del rapporto contrattuale tra
le parti, la Corte distrettuale ha rilevato come questa
fosse collegata ad un mutuo, la cui estinzione costituiva
appunto il presupposto della cancellazione; sicché, estinto
il mutuo e ottenuto il consenso del creditore beneficiario
dell’ipoteca per la cancellazione, non poteva più ritenersi

della insufficienza o contraddittorietà. In linea generale,

sussistente alcun vincolo. Tale conclusione, oltre ad essere scevra da illogicità, è corretta: non solo, infatti la
cancellazione poteva essere richiesta da chiunque vi avesse
avuto interesse (Cass. n. 10682 del 1998), ma in tal caso,

stintivo, conseguendo l’estinzione dell’ipoteca a quella
dell’obbligazione come conseguenza immediata e diretta della accessorietà del vincolo rispetto al debito. Quanto detto permette anche di ritenere infondata la dedotta esistenza di un inadempimento, da parte dei promittenti venditori,
all’assunzione dell’impegno per cui l’immobile promesso in
vendita avrebbe dovuto essere, al momento del rogito, assolutamente libero da qualsiasi peso o gravame ipotecario:
l’immobile, infatti, essendosi estinto il mutuo e sussistendo pure il consenso del creditore beneficiario
dell’ipoteca alla cancellazione, come richiesto dall’art.
2882 cod. civ., era libero da vincoli.
Quanto al profilo della asserita illegittimità del recesso
e del conseguente erroneo trattenimento della caparra lamentato da parte ricorrente si osserva quanto segue.
La

Corte

territoriale

ha

ritenuto

sussistente

l’inadempimento di parte ricorrente sulla base di vari elementi, la cui rilevanza ai fini della decisione finale è
stata ben esplicitata. Il riferimento è innanzitutto alla
esclusione della particella n. 33 dalla determinazione del

poi, non sarebbe nemmeno valsa a produrre alcun effetto e-

prezzo: particella che, essendo stata ceduta a titolo gratuito, non rientrava nella stima del compendio. Ove poi
l’utilizzazione della stessa fosse stata essenziale, il rimedio di cui parte ricorrente avrebbe dovuto avvalersi era

vincolo di cui si duole, parte ricorrente poteva avere conoscenza, essendo la stessa in possesso dei documenti relativi alla situazione del bene ed avendo le prescrizioni del
PRG valore di prescrizioni di ordine generale di contenuto
normativo.
Alla luce di quanto detto, e considerato il contegno tenuto
dal Righetto dal momento del rogito, la Corte ha giustamente ritenuto il ricorrente inadempiente, con conseguente
possibilità per i ricorrenti di avvalersi del rimedio di
cui al’art. 1385 cod. civ.. Né possono ravvisarsi carenze o
illogicità nel ragionamento seguito dai giudici di seconde
cure.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora
il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si
ritiene che il giudizio

(recte: ricorso) possa essere trat-

tato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 n. 5
cod. proc. civ., ed essere rigettato»;
che entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale;

la risoluzione del contratto. Senza poi considerare che del

che il Collegio condivide la proposta di decisione, non
apparendo le deduzioni critiche svolte dal ricorrente in
sede di memoria, risultando le deduzioni ivi svolte una sostanziale riproposizione delle argomentazioni già svolte in

che, quanto alle deduzioni concernenti il primo motivo
di ricorso, appare opportuno evidenziare come le censure si
risolvano in una interpretazione della clausola del contratto preliminare concernente l’assunzione dell’obbligo
dei promittenti venditori, diversa da quella recepita dalla
Corte d’appello, la quale ha ritenuto che ai fini
dell’adempimento dei promittenti venditori fosse sufficiente la estinzione del debito e il consenso manifestato espressamente dal creditore alla cancellazione dell’ipoteca;
che, notoriamente, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, l’interpretazione di un contratto, richiedendo l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al
contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto
affidata in via esclusiva al giudice di merito, ed è pertanto censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso
in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non
consentire di ricostruire l’Iter logico seguito dal giudice
per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto,
oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. La
denuncia di quest’ultima violazione esige una specifica in-

ricorso;

dicazione dei canoni in concreto non osservati e del modo
attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre
la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del

suna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi
nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 7476 del 2013);
che, nella specie, contrariamente a quanto ipotizzato
dal ricorrente, la Corte d’appello ha non implausibilmente
ritenuto che la previsione della cancellazione del vincolo
dovesse essere ricondotta al profilo sostanziale della estinzione del credito, corredata dal consenso del creditore
alla cancellazione dell’ipoteca, e le censure del ricorrente, strettamente legate al dato letterale e non funzionale
del contenuto della clausola non appaiono idonee ad evidenziare né la violazione dei canoni ermeneutici, peraltro neanche denunciata, né un vizio di motivazione della sentenza
impugnata;
che anche per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, le argomentazioni contenute nella memoria non appaiono idonee ad indurre a conclusioni differenti da quelle
prospettate nella richiamata relazione;

ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nes-

che, invero, il ricorrente, con il secondo motivo ha
censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo il recesso dei promittenti venditori, sostenendo che egli in realtà si era dichiarato disponibile a

sicché alcun inadempimento gli era addebitabile;
che in proposito, la Corte d’appello ha rilevato che
l’assunto dell’appellante di avere manifestato la propria
disponibilità alla sottoscrizione del contratto definitivo
era stata manifestata con riserva di agire per ottenere la
riduzione del prezzo, stante il minor valore dell’immobile
conseguente, non aveva trovato riscontro nelle risultanze
istruttorie, essendo emerso attraverso la deposizione del
notaio incaricato della stipula del rogito che l’unico motivo per il quale non si era addivenuti alla stipula era
l’esistenza del vincolo sulla particella, mentre non risultava in alcun modo né che l’appellante fosse pronto ad adempiere e a versare l’intero corrispettivo pattuito, né
che una effettiva disponibilità egli avesse manifestato
successivamente;
che, dunque, la censura svolta nel secondo motivo di
ricorso e le deduzioni svolte nella memoria difensiva si
risolvono nella richiesta di una diversa valutazione delle
risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede, piuttosto che nella evidenziazione di vizi logici o di lacune

stipulare il definitivo al prezzo indicato nel preliminare,

nella motivazione della sentenza impugnata, fermo restando
che, sulla base delle circostanze di fatto ritenute accertate dai giudici di merito, non è ravvisabile neanche la
denunciata violazione dell’art. 1385 cod. civ.;

con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione
del principio della soccombenza, al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00
per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il
10 dicembre 2013.

che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato,

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