Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4478 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. III, 24/02/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 24/02/2011), n.4478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SHELL ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

signor M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VALLISNERI 11, presso lo studio dell’avvocato PACIFICI PAOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEI GIANFRANCO

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato

LOMBARDI ROBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GARLATTI BRUNO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 592/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

Sezione Seconda Civile, emessa il 9/03/2005, depositata il

07/09/2005; R.G.N. 73/C/2002.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO; udito l’Avvocato

PAOLO PACIFICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del 3^ motivo di

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.D. conveniva davanti al tribunale di Udine la Shell Italia s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento del danno alla persona da, lui subito a seguito di una caduta, verificatasi nell’area di proprietà della convenuta(adibita già a stazione di servizio) causata dall’inciampo contro una catenella di recinzione dell’area medesima.

Il tribunale, ritenuto il concorso di colpa dell’attore nella misura del 50%, condannava la convenuta al risarcimento del danno biologico e morale, nella misura complessiva di L. 3 milioni. La corte di appello di Trieste, adita dall’attore, disposta nuova consulenza tecnica d’ufficio, nella quale si provvedeva ad esaminare la documentazione sanitaria prodotta in quel grado e ritenuta indispensabile dal giudice, condannava la convenuta al risarcimento del danno nella misura di Euro 18946,41, oltre interessi.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione la Shell Italia s.p.a., che ha presentato memoria. Resiste con controricorso l’attore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., art. 2697 c.c. nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione.

Assume la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha ammesso la documentazione sanitaria prodotta in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c. sull’inammissibilità delle prove nuove; che la deroga a tale principio fondata sul requisito dell’indispensabilità della prova deve essere adeguatamente motivata, mentre nella fattispecie tale indispensabilità è stata apoditticamente affermata ed anche erroneamente, in quanto la mancata produzione in primo grado derivava dal comportamento inerte dell’attore che era già in possesso di tale documentazione, come risultava dalla consulenza di parte.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. nonchè il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza anche in relazione all’ordinanza della corte di appello del 16.7.2003, ammissiva di nuova consulenza.

Ritiene la ricorrente che la corte ha ammesso una nuova c.t.u., con la predetta ordinanza, per consentire all’appellante di produrre nuova documentazione, con ciò violando le preclusioni istruttorie di cui all’art. 184 c.p.c..

3. I due motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

Essi sono infondati.

E’ giurisprudenza costante che nel giudizio di appello è inammissibile la produzione di nuovi documenti, salvo che la parte sia stata nella impossibilità incolpevole di produrli, ovvero il giudice non li reputi indispensabili per la decisione (Cass. Sez. Unite, 20/04/2005, n. 8202 – 8203; Cass. 26/06/2007, n. 14766).

Tale principio è in coerenza con la disciplina dettata dall’art. 184 c.p.c. e segg., che impone limiti di decadenza per la formulazione delle richieste istruttorie già nel giudizio di primo grado. Sicchè il divieto di ammissione di nuove prove in appello è conseguenza della preclusione derivante dall’omessa o intempestiva formulazione della richiesta istruttoria entro i termini stabiliti per il giudizio di primo grado.

Questo regime di preclusioni incontra peraltro un limite non solo nella dimostrata impossibilità di formulare tempestivamente la richiesta istruttoria, come riconosciuto già dall’art. 184 bis c.p.c., per il giudizio di primo grado, ma anche nella ritenuta indispensabilità della prova ai fini della decisione della causa. Le citate sentenze delle Sezioni unite di questa Corte hanno chiaramente riconosciuto infatti che “il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non aver potuto proporre prima per cause ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga – nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite indispensabili”.

4.1. Anzitutto, contrariamente a quanto pare sostenere la ricorrente, trattasi di due deroghe tra loro alternative e non cumulative.

4.2. Inoltre va osservato che in questa prospettiva risulta determinante stabilire quando una prova possa definirsi indispensabile ai fini della decisione. E’ condivisibile, come riconosciuto anche in dottrina, il riferimento delle Sezioni unite di questa Corte al criterio della decisività per l’individuazione della prova indispensabile.

Sicchè, perchè possano essere considerate “indispensabili”, le prove debbono essere tali da “determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado”.

4.3. Tuttavia, contrariamente a quanto pure si è talora affermato in giurisprudenza (Cass. 20 giugno 2006, n. 14133), deve ritenersi (Cass. 17/06/2009, n. 14098) che la questione della indispensabilità della prova non attiene affatto al merito della decisione, bensì al rito, appunto perchè tale questione rileva ai fini dell’accertamento di una preclusione processuale all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte. Ne consegue che, quando, come nel caso in esame, viene dedotta l’erronea ammissione in appello di una prova documentale non indispensabile, la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo, è giudice anche del fatto.

Se viene dedotto un error in procedendo, infatti, il controllo della Corte investe direttamente l’invalidità denunciata, indipendentemente dalla decisione che su di essa sia stata eventualmente già adottata dal giudice del precedente grado di giudizio. Anche quando la norma processuale sia stata già utilizzata in precedenza come criterio di decisione, la sua violazione non viene in rilievo per l’errore di giudizio compiuto dal giudice dinanzi al quale la violazione sia stata eventualmente già eccepita. Viene in rilievo solo per l’errore di attività di colui che già prima aveva mancato di osservarla nel compiere un atto del procedimento, perchè, se non risulti altrimenti sanata, l’invalidità di quell’atto può tradursi in un vizio della decisione impugnata. Sicchè, quale che sia stata la giustificazione, anche espressa, della decisione del giudice cui la violazione della norma processuale fosse stata già eccepita, il giudice dell’impugnazione, inclusa la Corte di cassazione, deve comunque accertare direttamente l’esistenza della violazione originariamente dedotta.

4.4. Ciò comporta che è irrilevante l’eventuale vizio motivazionale della sentenza nel ritenere o meno indispensabile la prova tardivamente addotta (vizio spesso sollevato dalle parti, come nella fattispecie dalla ricorrente), dovendo questa Corte esaminare direttamente l’esistenza dell’error in procedendo nei termini suddetti e non valutare l’eventuale presenza di vizi motivazionali in tema del requisito di indispensabilità della prova documentale nuova.

Come si è ben chiarito da tempo in dottrina, “la legge processuale è sempre oggetto di applicazione e non di accertamento”. Anche la Corte di cassazione, quando rileva un’invalidità, “applica la legge processuale, non censura un errato giudizio su questa legge”.

Infatti la norma processuale che si assume violata viene comunque in discussione solo come regola di condotta, perchè il giudice dell’impugnazione potrà affermare o negare l’esistenza dell’invalidità anche sulla base di fatti diversi da quelli ritenuti dal giudice del precedente grado di giudizio. Sicchè, quando viene dedotto un error in procedendo, anche la Corte di cassazione è giudice direttamente dell’invalidità denunciata, non della decisione, cui pure l’invalidità deve essersi necessariamente estesa a norma dell’art. 159 c.p.c..

Nel caso in esame, una volta escluso che la natura documentale della prova ne giustifichi di per sè l’ammissione in appello, spetta dunque a questa corte stabilire se è esatto il giudizio di indispensabilità della prova documentale dato dal giudice di merito e ciò indipendentemente dal punto se la mancata produzione tempestiva in primo grado era o meno imputabile alla parte.

4.5. Non pare che si possa dubitare che di prove indispensabili in effetti si tratti, considerato che i documenti sanitari prodotti in appello erano dotati di un’influenza causale più incisiva rispetto a quelle già acquisite ed idonee a giustificare il “rovesciamento” della decisione di primo grado, denotando l’ingiustìzia della stessa.

5. Infondata è anche la censura relativa all’ammissione di una nuova consulenza tecnica in appello.

L’esercizio del potere di disporre la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio è discrezionale e non è censurabile in sede di legittimità, salvo che con i motivi d’appello non vengano formulati specifici rilievi e sollecitata una più approfondita indagine tecnica (Cass. 06/05/1998, n. 4577), come è appunto avvenuto nella fattispecie.

6. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè la contraddittorietà della motivazione, essendo state poste a suo carico metà delle spese processuali del grado e compensata l’altra metà, sul rilievo della reciproca soccombenza.

Secondo la ricorrente non sussisterebbe tale reciproca soccombenza, in quanto l’appellante aveva richiesto che fosse affermata l’esclusiva responsabilità della Shell, mentre la corte di appello aveva confermato il concorso di colpa, accettando la tesi della Shell.

7. Il motivo è infondato.

Appare ictu oculi che non si possa ritenere che la Shell esca vittoriosa dal giudizio di appello se solo si considera che essa è stata condannata al pagamento della somma di Euro 18.964,00.

Ne consegue che è corretta la valutazione di reciproca soccombenza posta dal giudice di appello alla base della compensazione parziale delle spese.

8. Il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dal resistente e liquidate in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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