Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4478 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 19/02/2021), n.4478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27224/2015 r.g. proposto da:

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia

in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

T.E.S.S. COSTA DEL VESUVIO S.P.A., in liquidazione (cod. fisc.

(OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del liquidatore e

legale rappresentante pro tempore, Dott. C.G.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dall’Avvocato Arturo Massimo, presso il cui

studio elettivamente domicilia in Roma, alla via degli Avignonesi n.

5.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

23/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 22/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma, statuendo sull’opposizione proposta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali avverso il decreto ingiuntivo col quale era stato ordinato a quest’ultimo il pagamento della somma di Euro 1.157.095,99, oltre interessi e spese del monitorio, in favore della T.E.S.S. Costa del Vesuvio s.p.a., dichiarò improcedibile l’opposizione a causa della tardiva costituzione in giudizio della parte opponente.

2. La pronuncia è stata impugnata dal Ministero soccombente e l’adita Corte d’appello di Roma, con sentenza del 23 ottobre 2015, resa, ex art. 281-sexies c.p.c., nel contraddittorio con la menzionata società, ha rigettato il gravame. In particolare, rifacendosi all’orientamento di legittimità espresso da Cass. n. 6861 del 2014, ha opinato che “…il Tribunale abbia correttamente, da una parte, ritenuto insussistenti le condizioni per la rimessione in termini, respingendo tale richiesta opinando che la tardiva costituzione fosse imputabile all’opponente; dall’altra, che parte appellante avrebbe potuto iscrivere la causa a ruolo prima del perfezionamento della notificazione per il destinatario, utilizzando la cd. velina”.

3. Contro questa sentenza ricorre il Ministero predetto, affidandosi a due motivi. Resiste, con controricorso, la T.E.S.S. Costa del Vesuvio s.p.a. in liquidazione. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver confermato la declaratoria di improcedibilità dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., a suo tempo proposta dal Ministero, richiamando, a sostegno del proprio decisum, i principi resi da Cass. n. 6861 del 2004, ma omettendo di esaminare le specifiche censure mosse, sul punto, dall’appellante con il promosso gravame, volte a dimostrare che nessuna disposizione del nostro ordinamento giuridico prevede un obbligo, a carico del notificante, di costituirsi in giudizio utilizzando la cd. velina nelle more del perfezionamento della notifica dell’atto introduttivo del giudizio stesso nei confronti della controparte. Il motivo si conclude con l’affermazione che “l’impugnata decisione viola, quindi, da un lato, la disposizione di cui all’art. 112 c.p.c., non avendo dato risposta a tutte le questioni prospettate dalla parte appellante; dall’altro lato, essa viola anche l’art. 132 c.p.c., considerato che giustifica la decisione con il richiamo a precedente giurisprudenza che, (…), deve ritenersi inconferente ai fini del decidere”;

II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, artt. 294 e 650 c.p.c., con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., ed all’art. 6 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si sostiene che “all’omesso esame delle specifiche censure formulate dall’Amministrazione nell’atto di appello, evidenziato nel motivo di ricorso che precede, consegue la violazione della disciplina indicata nell’epigrafe del presente motivo di ricorso”. Muovendo dal presupposto, pacifico in giurisprudenza, che le decadenze processuali non possono essere imputate alla parte laddove le stesse siano ascrivibili a terzi e, dunque, a fatti o condotte che esulano dalla sfera di condotta della parte medesima, si rappresenta che, nella specie, la non imputabilità al Ministero opponente del ritardo nella costituzione era comprovata dalla certificazione rilasciata il 21 maggio 2010 dalla Corte di appello di Roma, la quale documentava univocamente che l’atto di opposizione (tempestivamente notificato il 6 maggio 2010) era stato depositato immediatamente dopo la sua restituzione da parte dell’Ufficiale Giudiziario. Pertanto, la non imputabilità del ritardo suddetto al menzionato Ministero, e l’inesistenza di un obbligo di costituzione in giudizio tramite velina, avrebbero dovuto condurre all’accoglimento della sua istanza di rimessione in termini.

2. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè chiaramente connesse, non meritano accoglimento per le ragioni tutte di seguito esposte.

2.1. Giova premettere che non è configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c., come lamentata con il primo motivo, perchè la corte territoriale si è comunque pronunciata, rigettandola, sulla censura mossa dall’appellante alla statuizione del primo giudice secondo cui la già descritta opposizione ex art. 645 c.p.c., promossa dal Ministero odierno ricorrente, doveva considerarsi improcedibile a causa della tardiva costituzione in giudizio della parte opponente.

2.1.1. Quella corte, infatti, rifacendosi all’orientamento di legittimità espresso da Cass. n. 6861 del 2014, ha considerato corretta la decisione del tribunale laddove, da una parte, aveva giudicato insussistenti le condizioni per la rimessione in termini, respingendo tale richiesta ritenendo che la tardiva costituzione fosse imputabile all’opponente; dall’altra, che quest’ultimo avrebbe potuto iscrivere la causa a ruolo prima del perfezionamento della notificazione per il destinatario, utilizzando la cd. velina. Sussiste, dunque, innegabilmente, una statuizione sul proposto motivo di gravame.

2.1.2. Del resto, come questa Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti, le tesi ed i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne deriva che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre qualora, benchè manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr., ex multis, Cass. n. 12652 del 2020; Cass. n. 7662 del 2020; Cass. n. 2153 del 2020; Cass. n. 407 del 2006). Il tutto, peraltro, ricordandosi che il vizio di omessa pronuncia non è configurabile su questioni processuali (cfr., ex aliis, Cass. n. 10422 del 2019; Cass. n. 25154 del 2018; Cass. n. 1876 del 2018).

2.2. Va osservato, poi, che l’assunto della corte capitolina circa la possibilità, per la parte opponente ex art. 645 c.p.c., di iscrivere la causa a ruolo prima ancora di avere la prova del perfezionamento della notifica, nei confronti del destinatario, dell’atto introduttivo del corrispondente giudizio, è pienamente coerente con quanto specificamente sancito – in una fattispecie del tutto simile a quella odierna e disattendendo argomentazioni del Ministero ivi ricorrente affatto analoghe a quelle oggi pure esposte nelle doglianze in esame – da Cass. n. 21692 del 2017 (richiamata pure dalla controricorrente nella sua memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.), così ufficialmente massimata: “In materia di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente costituitosi tardivamente non può invocare la rimessione in termini per causa non imputabile, ove la relativa istanza sia basata sul ritardo con cui l’ufficiale giudiziario ha consegnato l’originale della citazione con l’attestazione della intervenuta notificazione, dal momento che, ai fini della costituzione in giudizio, il perfezionamento della notificazione non è necessario e l’opponente può depositare in cancelleria anche un atto equipollente, costituito dalla semplice copia (cd. velina) della citazione”.

2.2.1. In particolare, si è condivisibilmente osservato, in quella sede che “le Sezioni Unite di questa Corte, già con la sentenza 18 maggio 2011, n. 10864, hanno stabilito che il termine per la costituzione in giudizio dell’attore è di dieci giorni decorrenti dalla prima notificazione sia nel giudizio di primo grado che in quello d’appello e che tale adempimento, ove entro tale termine l’attore non sia ancora rientrato in possesso dell’originale dell’atto notificato, può avvenire depositandone in cancelleria una semplice copia (c.d. velina), posto che il perfezionamento della notificazione non è necessario ai fini della costituzione in giudizio. Tale orientamento è stato in seguito più volte confermato da più recenti pronunce delle Sezioni semplici di questa Corte (v. sentenza 20 luglio 2015, n. 15130 ed altre). Assai di recente, poi, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 5 agosto 2016, n. 16598, sono tornate sull’argomento ed hanno chiarito, in relazione al giudizio di appello, che la tempestiva costituzione dell’appellante con la copia dell’atto di citazione (velina) in luogo dell’originale non determina l’improcedibilità del gravame ai sensi dell’art. 348 c.p.c., comma 1, ma integra una nullità per inosservanza delle forme indicate dall’art. 165 c.p.c., sanabile, anche su rilievo del giudice, entro l’udienza di comparizione di cui all’art. 350 c.p.c., comma 2, mediante deposito dell’originale da parte dell’appellante, salva la possibilità per l’appellante di chiedere la remissione in termini per la regolarizzazione della costituzione nulla, dovendosi ritenere, in mancanza, consolidato il vizio ed improcedibile l’appello”.

2.2.2. Questa giurisprudenza – ha proseguito la Corte – “sebbene dettata per i giudizi di primo grado e di appello a contraddittorio ordinario, cioè non differito, è applicabile anche in relazione alla procedura di opposizione a decreto ingiuntivo. Più specificamente in riferimento a tale procedimento, giova richiamare l’insegnamento della sentenza n. 107 del 2004 della Corte costituzionale la quale, scrutinando la legittimità costituzionale dell’art. 647 c.p.c., ha affrontato proprio il problema dell’impossibilità di iscrivere tempestivamente a ruolo l’atto di opposizione per mancata tempestiva restituzione all’opponente dell’atto di citazione da parte dell’ufficiale giudiziario. In quell’occasione la Corte costituzionale ha chiarito che la norma in questione è suscettibile di ricevere un’interpretazione conforme a Costituzione, nel senso di ritenere possibile appunto l’iscrizione a ruolo del giudizio di opposizione tramite la cd. velina, cioè prima di essere a conoscenza del perfezionamento della notifica per il destinatario. A tale conclusione il Giudice delle leggi è pervenuto richiamando il sistema delle notificazioni a mezzo posta (L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 5, comma 3) e la disposizione dell’art. 291 c.p.c., secondo cui l’attore può ottenere alla prima udienza un termine per rinnovare la notificazione della citazione eventualmente viziata da nullità. Tali principi sono stati poi ribaditi nell’ordinanza della Corte costituzionale n. 154 del 2005, ove si è detto, tra l’altro, che l’applicazione del principio relativo al momento perfezionativo delle notificazioni, affermato con la sentenza n. 477 del 2002 e riferibile ad ogni tipo di notificazione, consente all’opponente una tempestiva costituzione in giudizio, impedendo il verificarsi dell’effetto pregiudizievole della improcedibilità dell’opposizione. Ne consegue che nessun ostacolo può trarsi dalla disposizione dell’art. 165 c.p.c., ad una iscrizione a ruolo della causa di opposizione a decreto ingiuntivo tramite la cd. velina e che, comunque, l’opponente non può invocare la richiesta di rimessione in termini per causa non imputabile in riferimento ad un atto che avrebbe potuto compiere (tempestivamente) tramite un atto equipollente (v. pure la sentenza di questa Corte 8 marzo 2005, n. 5039)”.

2.3. Il Collegio, dunque, fa proprie tali argomentazioni, condividendole integralmente, da ciò derivando, quindi, la complessiva infondatezza dell’odierna impugnazione. D’altra parte, è evidente che l’interpretazione suggerita dal ricorrente (la facoltà di costituirsi tramite deposito della velina, non costituendo un obbligo, farebbe sì che il giudice non possa negare la rimessione in termini solo perchè l’opponente ha atteso la restituzione dell’originale prima di costituirsi in cancelleria), “finirebbe per rimettere alla discrezione della parte la scelta tra osservare, o meno, un termine processuale” (cosi, testualmente, la già citata Cass. n. 21692 del 2017, che ha disatteso la medesima interpretazione sollecitata dal diverso Ministero ivi ricorrente).

3. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del(la) ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al pagamento, in favore della T.E.SS.S. Costa del Vesuvio s.p.a., in liquidazione, delle spese del giudizio di legittimità, che quantifica in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del Ministero ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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