Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4477 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 4477 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

sanzioni
amministrative

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

BOLLA Paolo (BLL PLA 46H19 I050C), rappresentato e difeso
da se medesimo ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ.,
domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria
civile della Corte suprema di cassazione;
– ricorrente –

contro
COMUNE DI TREVISO, in persona del Sindaco pro tempore;
– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Treviso depositata il
10 gennaio 2012.

Data pubblicazione: 25/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore
Dott. Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Ermanno Prastaro, per delega;

Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per il
rigetto della richiesta di rinvio dell’udienza e per
l’improcedibilità del ricorso.
Ritenuto che con ricorso notificato il 20 maggio 2011,
Bolla Paolo proponeva appello avverso la sentenza del
giudice di pace di Treviso che aveva confermato il verbale
di accertamento della Polizia locale del Comune di
Treviso, con il quale gli era stata contestata la
violazione dell’art. 80, comma 14, del codice della strada
(mancata sottoposizione a revisione del ciclomotore da lui
condotto e di sua proprietà);
che costituitosi il contraddittorio, l’adito Tribunale
dichiarava la inammissibilità dell’appello, per essere
stato tardivamente proposto, posto che la sentenza gravata
era stata pronunciata il 3 marzo 2010, era stata
depositata in cancelleria lo stesso giorno ed era stata
notificata all’appellante in forma esecutiva, per compiuta
giacenza, il 2 maggio 2010, con la conseguenza che
l’appello, notificato solo il 20 maggio 2011, doveva
ritenersi tardivo;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

che peraltro la tardività del gravame era stata
riconosciuta dallo stesso appellante, che veniva comunque
condannato alle spese del grado;
che avverso questa sentenza Bolla Paolo ha proposto

che con il primo denuncia violazione dell’art. 88 cod.
proc. civ., in relazione all’art. 49 del Codice
deontologico forense, dolendosi del fatto che il Comune di
Treviso, avvedutosi della tardività della notificazione
dell’appello, anziché prendere contatto con esso
appellante, che certamente avrebbe rinunciato al gravame
una volta avvedutosi della erroneità del conteggio dei
termini per la proposizione dell’appello, si sia
costituito in giudizio;
che, con il secondo, il ricorrente sostiene che il
Comune avrebbe abusato del processo, atteso che la
costituzione nel giudizio di appello altra finalità non
aveva che quella di ottenere la liquidazione delle spese
processuali;
che il Comune non ha svolto attività difensiva;
che il ricorrente ha chiesto di essere rimesso in
termini ai fini del deposito del ricorso, adducendo che,
effettuata la notificazione il 10 dicembre 2012, si
apprestava ad effettuare il deposito del ricorso e del
fascicolo a mezzo posta in data 31 dicembre 2012, termine

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ricorso sulla base di due motivi;

ultimo, e che tuttavia non poteva adempiere a detto
incombente in quanto in data 30 dicembre 2012 si
fratturava il femore in Cortina d’Ampezzo, venendo dimesso
dal locale ospedale il 12 gennaio 2013.
che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che il ricorso è manifestamente infondato;
che, invero, la prima censura che il ricorrente
rivolge alla sentenza impugnata è che la stessa sarebbe
viziata per non avere il difensore del Comune di Treviso,
avvedutosi della tardività evidente dell’appello
notificatogli, preso contatti con esso ricorrente,
sostenendo che egli avrebbe certamente rinunciato alla
impugnazione;
che la censura, anche a voler ammettere che una
violazione del dovere di lealtà processuale possa essere
ravvisato nella condotta della parte che, raggiunta da
un’impugnazione tardivamente proposta, si costituisca per
far valere la inammissibilità della impugnazione – il che
pare al Collegio debba escludersi -, non considera che
l’art. 88 cod. proc. civ., al secondo comma, dispone che
«in

caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il

giudice deve riferire alle autorità che esercitano il
potere disciplinare su di essi», dovendosi quindi

Considerato

escludere che la detta violazione possa influire sulla
validità della sentenza che comunque venga emessa;
che non ha miglior sorte l’invocazione, da parte del
ricorrente, dell’art. 49 del Codice deontologico forense,

confronti della controparte”, prevede che “l’avvocato non
deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali
la situazione debitoria della controparte quando ciò non
corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte
assistita”;
che, invero, la detta disposizione deontologica appare
riferirsi a fattispecie del tutto diversa da quella
oggetto del presente giudizio, atteso che nel giudizio di
appello, nel quale si sarebbe verificata la detta
violazione, la difesa del Comune si è limitata a
costituirsi in giudizio per resistere ad una impugnazione
inammissibile, perché tardiva;
che, d’altra parte, la rinuncia alla impugnazione
avrebbe ben potuto essere formulata dal ricorrente, che
tra l’altro difendeva se stesso, alla prima udienza del
giudizio di appello; ma dalla sentenza impugnata non
emerge in alcun modo che l’appellante abbia manifestato
una simile volontà;
che del tutto infondata appare la censura con la quale
si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe nulla perche

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il quale, sotto la rubrica “Pluralità di azioni nei

viziata da abuso del processo, atteso che alcun abuso è
ravvisabile nella condotta di chi, evocato in giudizio con
atto di impugnazione tardivamente notificato,

si

costituisca eccependo la inammissibilità

iniziativa processuale inammissibile;
che quindi il ricorso deve essere rigettato in quanto
manifestamente infondato;
che perde quindi rilievo la richiesta del ricorrente
di rimessione in termini ai fini del deposito del ricorso;
che trova infatti applicazione il principio per cui
«il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole
durata del processo impone al giudice (ai sensi degli
artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire
comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita
definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente
quelli che si traducono in un inutile dispendio di
attività processuali e formalità superflue perché non
giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in
particolare, dal rispetto effettivo del principio del
contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal
diritto alla partecipazione al processo in condizioni di
parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto
finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne
consegue che, in caso di ricorso per cassazione

prima

dell’impugnazione, trattandosi di mera risposta ad una

facie infondato, appare superflua, pur potendo sussistere
i presupposti (come nella specie, per inesistenza della
notificazione del ricorso nei confronti di alcuni
litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex

contraddittorio, atteso che la concessione di esso si
tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un
allungamento dei termini per la definizione del giudizio
di cassazione senza comportare alcun beneficio per la
garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle
parti» (Cass. n. 2723 del 2010; Cass., S.U., n. 6826 del
2010; Cass. n. 15106 del 2013);
che il citato principio, invero, è suscettibile di
trovare applicazione tutte le volte in cui si debba
consentire o disporre l’espletamento di un’attività
processuale (come, nella specie, il deposito del ricorso)
la cui utilità risulti comunque esclusa dalla evidenza
della inammissibilità o della infondatezza del ricorso;
che il ricorso deve essere, quindi, rigettato;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese del
giudizio di legittimità, non avendo l’intimato Comune
svolto attività difensiva.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.

art. 331 cod. proc. civ. per l’integrazione del

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di

cassazione, il 4 ottobre 2013.

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