Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4475 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 999/2017 proposto da:

COOPERATIVA EDILIZIA STELLA ALPINA A R.L., IN LIQUIDAZIONE,

rappresentata e difesa dall’Avvocato CARMELO MOBILIA, per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.I., rappresentato e difeso dall’Avvocato SALVATORE

CHIARAMONTE, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché

CA.TI., rappresentato e difeso dall’Avvocato FRANCESCO

CARATOZZOLO, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1719/2015 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO,

depositata il 19/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica

dell’11/1/2022 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale della Repubblica, Dott. PEPE Alessandro, il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso;

sentito, per il controricorrente C.I., l’Avvocato

MARCELLA LOMBARDO per delega dell’Avvocato FRANCESCO CHIARAMONTE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. C.I., con atto di citazione notificato il 9/11/2004, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Termini Imerese, la coop. edilizia Stella Alpina coop. a r.l..

1.2. L’attore, dopo aver premesso di aver pattuito con la società convenuta, a mezzo di scrittura privata del 20/6/1988, la permuta di un terreno edificabile verso il corrispettivo del trasferimento, in suo favore (entro il 31/12/1989) della proprietà di tre appartamenti (da consegnarsi entro il 31/12/1990) facenti parte dell’edificio che sarebbe stato realizzato in quell’area, ha dedotto che: – con atto di compravendita simulata del 20/2/1992, in realtà attuativo del pregresso accordo tra le parti, aveva trasferito alla cooperativa la proprietà del terreno, concordando nuovi tempi di consegna degli appartamenti ed una penale per il caso di ritardata consegna; – gli alloggi erano stati ultimati il (OMISSIS) ma il legale rappresentante della cooperativa aveva proceduto alla consegna di uno solo degli appartamenti, assumendo l’impegno a non far gravare le unità immobiliari promesse da vincoli ipotecari dipendenti dal frazionamento del mutuo erogato dal Banco di Sicilia; – la società aveva omesso di consegnargli i due restanti appartamenti; – tutte e tre le unità immobiliari erano gravate da ipoteca in favore della Banca.

1.3. L’attore, quindi, ha chiesto che il tribunale: – ritenesse la cooperativa obbligata a trasferirgli la proprietà degli indicati appartamenti ed, in subordine, la condannasse al pagamento in suo favore della somma necessaria ad estinguere l’esposizione debitoria garantita dall’ipoteca gravante degli stessi, oltre al risarcimento dei danni conseguenti sia alla ritardata consegna dell’appartamento già consegnatogli, sia alla mancata consegna degli altri due appartamenti promessi, quantificando in misura pari al controvalore delle due unità immobiliari non consegnate il pregiudizio derivato dall’eventuale definitiva inesigibilità dell’obbligazione contrattuale; – dichiarasse, anche ai sensi dell’art. 2932 c.c., la titolarità, in suo favore, dell’appartamento a lui consegnato, con la condanna della società ad estinguere la frazione di mutuo coperta dall’ipoteca gravante sul bene.

1.4. La società convenuta si è costituita in giudizio e, dopo avere eccepito la prescrizione quinquennale del diritto del socio, ha contestato la fondatezza delle domande, anche per ciò che riguardava il numero degli appartamenti da consegnare, a fronte della riduzione da parte dell’ente territoriale della cubatura edificabile, chiamando in causa, per essere garantita in caso di soccombenza, Ca.Ti., legale rappresentante della cooperativa al momento della formazione degli atti negoziali allegati dall’attore.

1.5. Ca.Ti., a sua volta, si è costituito in giudizio deducendo la validità e l’efficacia per la società degli accordi da lui sottoscritti, in qualità di legale rappresentante della cooperativa, con il C., eccependo la prescrizione di ogni diritto della cooperativa nei suoi confronti.

2.1. Il tribunale, con sentenza non definitiva del 6/10/2009, ha, tra l’altro, dichiarato la simulazione relativa del contratto di compravendita del 20/2/1992, in quanto dissimulante un contratto di permuta di cosa esistente con cosa futura, condannando la società convenuta a corrispondere all’attore la somma di Euro 1.653,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento per la ritardata consegna di uno dei tre appartamenti, e di tutte le somme necessarie ad estinguere la frazione di mutuo garantito da ipoteca su tale appartamento, ed ha rigettato le domande proposte dalla cooperativa nei confronti del terzo chiamato in causa.

2.2. Il tribunale, con separata ordinanza, ha disposto la prosecuzione dell’istruttoria per verificare, attraverso una consulenza tecnica d’ufficio, se ed in quale misura la variazione di cubatura edificabile allegata dalla convenuta sia era riverberata sull’impegno negoziale in favore dell’attore.

2.3. Il tribunale, quindi, espletata tale consulenza, con sentenza definitiva del 25/1/2011, ha condannato la società convenuta al risarcimento dei danni in favore dell’attore, per la somma di Euro 201.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

3.1. La società convenuta, con atti notificati rispettivamente il 9/12/2009 ed il 7/3/2012, ha proposto appello avverso le indicate sentenze.

3.2. C.I. ha resistito a entrambi i gravami mentre Ca.Ti. solo al primo, l’uno e l’altro deducendo l’infondatezza dei relativi motivi.

4.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato gli appelli proposti dalla cooperativa.

4.2. La corte, in particolare, ha ritenuto, innanzitutto, l’infondatezza della censura concernente la composizione monocratica del giudice rilevando che la denuncia in appello dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale a decidere su una domanda giudiziale, quand’anche fondata, non comporta la rimessione degli atti al primo giudice ma impone al giudice dell’impugnazione, non diversamente che nel caso d’infondatezza della censura, di pronunciarsi sul merito della domanda.

4.3. La corte, poi, ha esaminato i motivi con i quali la società appellante aveva dedotto l’invalidità dell’atto negoziale invocato dall’attore e radicato la pretesa azionata da quest’ultimo, anche ai fini del computo del termine di prescrizione, nel rapporto sociale tra lo stesso e la cooperativa: e li ha ritenuti infondati.

4.4. La corte, sul punto, dopo aver rilevato che il contratto del 20/6/1988, sul quale si fonda la domanda proposta dall’attore, si configura come un preliminare di permuta di cosa esistente con cosa futura, costituendo l’assegnazione degli appartamenti al socio come lo strumento tecnico di attuazione della volontà negoziale (peraltro non illegittimo, trattandosi di “una prestazione collegata da sinallagma contrattuale all’acquisizione del terreno su cui doveva realizzarsi il programma edilizio a beneficio della generalità dei soci, vale a dire di una cessione strumentale all’efficace perseguimento della finalità mutualistica”, tanto più che non risulta che ” C.I. non fosse in possesso dei requisiti per avvalersi dell’assegnazione di un alloggio di edilizia economica e popolare” o che potessero non esserlo “le persone che, a tenore della controdichiarazione del 20.2.1992…, egli avrebbe dovuto indicare, a richiesta della Cooperativa, quali ulteriori soci assegnatari dei restanti due appartamenti promessigli in permuta”), e che l’atto pubblico con il quale, in data 20/2/1992, C.I. ha immediatamente trasferito l’area da edificare alla società cooperativa (come si evince dalla controdichiarazione in pari data, secondo la quale “il detto strumento pubblico è simulato e non modifica in nulla gli accordi di cui alla… scrittura privata del 1988…”, “rinviando a data successiva il completamento dell’operazione negoziale, ossia il momento in cui la Cooperativa trasferirà gli appartamenti oggetto della permuta per scrittura privata”), era, quindi, relativamente alla prestazione gravante sulla cooperativa, parzialmente simulato; ha, in sostanza, ritenuto che l’impegno negoziale della cooperativa nei confronti di C.I. fosse sorto, per un verso, con il contratto (“per persona da nominare”) stipulato in data 20/6/1988 tra il C. e il Ca., seguito dalle “… dichiarazioni di accettazione e nomina scritte contenute nel verbale di adunanza del C.d.A., in data 30.10.1991”, con il quale, peraltro, la cooperativa ha approvato il relativo “programma negoziale”, “e (per ciò che riguarda l’esternazione al promittens) nella controdichiarazione del 20.2.1992…”, e, per altro verso, con il contratto di compravendita del 20/2/1992 (“parzialmente simulato” relativamente alla prestazione della cooperativa) e l’accordo simulatorio espresso nella controdichiarazione resa in pari data (che, dopo aver affermato che l’atto pubblico “e’ simulato”, ha rinviato il completamento dell’operazione negoziale al successivo momento in cui la cooperativa avrebbe trasferito “gli appartamenti oggetto della permuta” pattuita con la scrittura privata del 1988).

4.5. La sussistenza della simulazione e dell’obbligazione della cooperativa non può essere, del resto, esclusa, ha aggiunto la corte, “a fronte del chiaro tenore degli atti del 20.6.1988 e del 20.2.1992”, né dalla “quietanza contenuta nell’atto di compravendita”, di cui la controdichiarazione del 20/2/1992 attesta “l’assoluta simulazione”, né le risultanze delle scritture contabili della società, che sono insufficienti a caducare o a modificare la volontà negoziale positivamente e in modo chiaro espressa negli atti citati, tanto più che “il vero significato dell’appostazione contabile dell’esborso di Lire 660.000.000, in data 20.2.1992, per “acquisto terreno C.V. e C.I.” e l’autentica portata della Delib. C.d.A. 30 novembre 1991, di autorizzazione all’acquisto dei terreni dei C. per il complessivo importo anzidetto…, sono da cogliere nella funzionalità di tali atti all’esecuzione del programma negoziale contenuto nella scrittura del 20.6.1988, approvato dal C.d.A. il 30.10.1991, mirando, l’appostazione, a trasformare in un preciso valore contabile… l’entità dell’impegno economico da sostenere per l’acquisto dei terreni dei C., e la deliberazione del 30.11.1991, ad abilitare il legale rappresentante della Cooperativa alla stipulazione della compravendita parzialmente simulata volta all’acquisizione di quei terreni”.

4.4. Ne’, infine, ha concluso la corte, può ritenersi fondata l’eccezione di nullità del contratto dissimulato per l’asserita violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18, comma 2, poiché “erroneamente… si assume l’applicabilità delle prescrizioni formali previste dalla citata norma al negozio dissimulato, anziché all’atto pubblico rogato in pari data…”. Risulta, in effetti, evidente, ha osservato la corte, che, alla luce dell’interpretazione complessiva della “controscrittura”, le parti, con l’atto pubblico in questione, abbiano inteso trasferire immediatamente l’area da edificare, rinviando il completamento dell’operazione negoziale a una data successiva, e cioè al momento in cui la cooperativa trasferirà “gli appartamenti oggetto della permuta” pattuita con la scrittura privata, e che, pertanto, la simulazione oggettiva dell’atto di compravendita, concernendo solo la prestazione gravante sulla cooperativa, non ha interessato il trasferimento della proprietà dell’area, “validamente operato con l’assolvimento, attestato dal notaio rogante, delle formalità di cui all’art. 18 cit.”.

4.5. Alla luce di tali rilievi, la corte d’appello ha ritenuto che il tribunale avesse correttamente affermato la responsabilità contrattuale della cooperativa e condannato la stessa al risarcimento del danno, quantificato sulla scorta degli accertamenti svolti dai consulenti tecnici d’ufficio poiché i rilievi mossi dall’appellante all’operato degli ausiliari tecnici erano infondati: – innanzitutto, perché il consulente tecnico aveva correttamente considerato “al lordo” l’estensione delle unità immobiliari non consegnate, non diversamente da quella dell’appartamento consegnato (“sul piano dell’ermeneutica contrattuale, la dizione ‘superficie utile, utilizzata nella scrittura del 1988, dovendo interpretarsi, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, come “superficie netta”); – in secondo luogo, perché la differenza tra cubatura realizzabile e cubatura realizzata non è rilevante a fronte della clausola di recedibilità contenuta nella scrittura del 1988 (“in connessione essenziale con la variazione del “corrispettivo in alloggi” per l’ipotesi di variazione dell’indice di edificabilità stabilito nel contratto preliminare” ma “destinata a cessare, in uno con la variabilità del corrispettivo…, allorché al preliminare fosse stata data esecuzione, ancorché parziale…”) ed, in ogni caso, per la constatata insufficienza della prova documentale, costituita dalla “fotocopia informe di un documento anonimo”, a dimostrare l’asserito errore di analisi del consulente tecnico d’ufficio.

4.6. La corte, infine, ha ritenuto che il tribunale avesse correttamente respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dalla cooperativa nei confronti del Ca., sul rilievo (che prevale sul decorso del termine di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità) per cui il suo operato, quale amministratore della società, nella vicenda relativa all’acquisto del terreno di proprietà del C., era risultato “insuscettibile di censure”.

5.1. La coop. edilizia Stella Alpina coop. a r.l., con ricorso notificato il 16/12/2016, ha chiesto, per otto motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

5.2. C.I. e Ca.Ti. hanno resistito con distinti controricorsi notificati il 24/1/2017.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 281 nonies c.p.c., art. 50 quater c.p.c., art. 161 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza fornire al riguardo alcuna motivazione idonea a far comprendere la ratio decidendi, ha rigettato il motivo con il quale la stessa, nell’atto d’appello, aveva dedotto la nullità della sentenza appellata in quanto pronunciata dal tribunale in composizione monocratica in materia, e cioè l’azione di responsabilità proposta dalla cooperativa nei confronti del suo amministratore, che è devoluta alla decisione del collegio, senza, tuttavia, considerare che la pronuncia del tribunale in composizione monocratica, nei casi in cui opera la regola della collegialità, determina la nullità della sentenza e che la corte d’appello deve, pertanto, pronunciarsi sulla domanda ma previo accoglimento del relativo motivo d’impugnazione. La corte d’appello, quindi, in accoglimento del motivo d’appello, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza del tribunale, decidendo nel merito quale giudice di unico grado, senza servirsi, neanche per relationem, dell’atto nullo, come invece ha ripetutamente fatto.

7.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui è articolato.

7.2. Premesso che, in tema di errores in procedendo, non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. n. 22952 del 2015), rileva la Corte che, in effetti, a norma dell’art. 50 bis c.p.c., n. 5, nelle cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi delle società cooperative, pur se e quando connesse (come nella specie) a cause che devono essere decise in composizione monocratica (art. 281 nonies c.p.c.), il tribunale giudica in composizione collegiale.

7.3. L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale, tuttavia, è sottratta alla disciplina del vizio di costituzione del giudice e costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161, comma 1, cit., un’autonoma causa c.p. nullità della decisione, con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo d’impugnazione (Cass. SU n. 28040 del 2008; Cass. 13907 del 2014; Cass. n. 16186 del 2018; Cass. n. 26729 del 2019), dovendosi, invece, escludere che sii tratti “una ipotesi di inesistenza della sentenza” (Cass. n. 5598 del 2016, in motiv.).

7.4. Il vizio derivato dall’erronea composizione dell’organo giudicante dev’essere, perciò, correttamente qualificato in termini di nullità della decisione assunta, da far valere tramite impugnazione, per cui, se si tratta, come nel caso in esame, dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione (collegiale) del tribunale, la nullità della sentenza dev’essere fatta valere (come, in effetti, è accaduto) con l’atto d’appello.

7.5. L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, costituendo, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione, con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo d’impugnazione, non determina, peraltro, né la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla, né produce l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice ove il giudice dell’impugnazione sia anche giudice del merito, come nel caso della corte d’appello, la quale, pertanto, previo accoglimento del relativo motivo d’impugnazione (Cass. SU n. 28040 del 2008, in motiv.), deve decidere sulla domanda sulla quale il tribunale (in errata composizione) si è già (correttamente o meno) pronunciato, senza rimettere la causa innanzi al giudice di primo grado (cfr. Cass. n. 13907 del 2014).

7.6. Nel caso in esame, la sentenza impugnata si e’, in sostanza, attenuta ai principi esposti. La corte d’appello, infatti, se, in effetti, ha (erroneamente) rigettato il motivo d’appello con il quale la società aveva denunciato la pronuncia della sentenza del tribunale in composizione monocratica pur trattandosi, come visto, di materia devoluta al giudizio del tribunale in composizione collegiale (art. 50 bis c.p.c., n. 5 e art. 281 nonies c.p.c.), ha, nondimeno, pronunciato (come, appunto, doveva fare) sul merito della domanda di responsabilità proposta dalla società nei confronti del suo amministratore, ritenendola, peraltro, con statuizione non impugnata, priva di fondamento sul rilievo che l’operato dell’amministratore della società, nella vicenda relativa all’acquisto del terreno di proprietà del C., era risultato insuscettibile di censure.

7.7. Quanto al resto, la Corte non può che evidenziare come la nullità della sentenza del tribunale, riguardando solo la pronuncia in composizione monocratica sull’azione sociale di responsabilità, non inficiava, secondo le norme previste dall’art. 159 c.p.c., commi 2 e 3, le residue statuizioni, indipendenti dalla stessa, che il tribunale ha assunto, né gli altri effetti che le stesse erano in grado di produrre, alle cui ragioni in fatto, pertanto, la corte d’appello ha potuto legittimamente fare riferimento.

8.1. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omesso/insufficiente esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con violazione degli art. 2511,2516,2949 c.c. e art. 45 Cost., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza fornire una motivazione sufficiente, ha rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto e di decadenza dell’azione, che la stessa aveva proposto in primo grado e ribadito con l’atto d’appello, sul rilievo che il rapporto societario intercorrente tra l’attore e la cooperativa, sul quale tale eccezione era stata fondata, era, in realtà, solo il legittimo mezzo tecnico di attuazione della volontà negoziale, in tal modo, tuttavia, omettendo di considerare che, in realtà, come emerge dal testo della controdichiarazione del 20/2/1992, le parti avevano espressamente stabilito che il trasferimento ai permutanti dell’area sarebbe avvenuto mediante l’assegnazione agli stessi quali soci della cooperativa e che i C., al pari dei futuri soggetti da nominare, avrebbero, pertanto, acquistato la proprietà degli alloggi, quali prenotatari, solo in forza del rapporto societario, che ha assorbito il contratto dissimulato, quand’anche eststente.

8.2. La corte d’appello, quindi, nell’interpretare la reale volontà delle parti, ha disatteso, in violazione dell’art. 1362 c.c., il chiaro significato letterale della controdichiarazione del 20/2/1992, al pari dei comportamenti successivi delle parti, non avendo considerato che i C., senza contestare la loro qualità di soci, hanno accettato che gli immobili di cui sono in possesso venissero ceduti con il procedimento tipico della cooperativa.

8.3. La corte, peraltro, ha aggiunto la ricorrente, ha, di fatto, ritenuto che il rapporto sociale fosse simulato e improduttivo di effetti tra le parti, in tal modo violando i limiti previsti dall’art. 112 c.p.c., laddove, fino all’attribuzione dell’immobile realizzato al socio, il rapporto tra lo stesso e la società è regolato dalle norme societarie, per cui, a norma dell’art. 2949 c.c., il socio prenotatario non può far valere il suo diritto all’assegnazione oltre il termine di cinque anni, com’e’ invece accaduto nel caso di specie, dove, a fronte del termine per la consegna fissato per il 20/2/1994, il termine finale, tenendo conto della raccomandata interruttiva del 6/3/1999, era il 6/3/2004 mentre l’azione è stata introdotta il 9/11/2004.

9.1. Con il terzo motivo, la società ricorrente, lamentando il vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’impegno negoziale della cooperativa nei confronti di C.I. fosse sorto per effetto del contratto stipulato il 20/6/1988 tra il C. e il Ca. nonché del contratto di compravendita del 20/2/1992 e dell’accordo simulatorio espresso nella controdichiarazione resa in pari data, senza, tuttavia, considerare: – innanzitutto, che il consiglio di amministrazione della società, lì dove ha autorizzato il relativo presidente a dare esecuzione ai compromessi dallo stesso firmati, ha, in realtà, deciso, come si evince dalla successiva Delib. 30 novembre 1991, l’acquisto dei terreni di proprietà di C.I. e C.V. ma non anche di autorizzare le presunte permute; – in secondo luogo, che le scritture contabili della società e i relativi bilanci attestano che i terreni oggetto della presunta permuta sono stati, in realtà, regolarmente pagati senza che l’attore abbia mai provato di aver impugnato le delibere di approvazione dei bilanci le quali, con effetto vincolante nei confronti dei soci,, attestano l’avvenuto pagamento del prezzo.

9.2. In definitiva, ha concluso la società ricorrente, la Delib. 30 novembre 1991 e i predetti atti societari dimostrano l’assenza di qualsivoglia coinvolgimento del sodalizio nell’operazione posta in essere dal Ca. con il C. mentre il pagamento dei terreni, riportato in tali atti come regolarmente eseguito, esclude ogni accordo simulatorio con quest’ultimo.

10.1. Con il quarto motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pronunciandosi solo sul motivo con il quale l’appellante aveva eccepito la nullità del contratto dissimulato per violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18, comma 2, ha omesso di motivare in ordine all’implicito rigetto delle censure con le quali la stessa appellante aveva dedotto la nullità del contratto dissimulato anche per violazione degli artt. 2511 e 2516 c.c. e del R.D. n. 1165 del 1938, art. 98, richiamato nello statuto, nonché per illiceità della causa.

10.2. La corte d’appello, in effetti, ha osservato la ricorrente, non ha illustrato le ragioni per cui non sarebbe stato violato il principio mutualistico allorquando riconosce la legittimità di più assegnazioni di alloggi in capo al medesimo soggetto, né ha chiarito in forza di quale norma il C. avrebbe potuto cedere a terzi gli alloggi con l’escamotage dell’indicazione di nuovi soci senza che ciò costituisca un chiaro mezzo per eludere il divieto imposto dall’art. 2516 c.c..

10.3. Il contratto dissimulato di permuta, peraltro, compiuto in violazione del mandato conferito dal consiglio di amministrazione al suo presidente e viziato dalla sproporzione tra il valore degli alloggi e il pagamento dei terreni, è stato compiuto in violazione del principio costituzionalmente rilevante di cui all’art. 45 Cost., ed in frode alla legge o al fine di eludere norme imperative visto che, se la permuta dissimulata fosse stata lecita, non si comprenderebbe il motivo per cui le parti avrebbero dovuto far ricorso a tale strumento simulatorio.

11. Con il settimo motivo, la società ricorrente, lamentando l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza esporre l’excursus logico-giuridico seguito, ha qualificato il contratto posto in essere tra le parti con la scrittura privata del 20/6/1988 come un preliminare di permuta di cosa esistente con cosa futura senza, tuttavia, considerare che non è ravvisabile un contratto per persona da nominare, ai sensi e agli effetti degli artt. 1401-1405 c.c., quando la riserva di nomina di un terzo venga riferita non allo stesso preliminare ma al contratto definitivo che le parti si impegnano a stipulare.

12. Con l’ottavo motivo, la società ricorrente, lamentando il vizio della motivazione in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver accertato l’esistenza di un contratto preliminare di permuta per persona da nominare, ha ritenuto, senza fornire sul punto alcuna motivazione, la sussistenza della nomina, dell’accettazione e della comunicazione al terzo, senza, tuttavia, considerare che: – il verbale del consiglio di amministrazione del 30/10/1991 non contiene alcuna nomina e accettazione; – la presunta nomina è intervenuta dopo la scadenza del termine finale previsto per la stipula del contratto definitivo; – la Delib. 30 novembre 1991, con la quale il consiglio di amministrazione della società ha deciso di acquistare la proprietà del C., non avrebbe, a fronte dell’interpretazione data dalla corte al verbale del 30/10/1991, alcun senso logico-giuridico. Il contratto, quindi, quand’anche fosse qualificabile come preliminare per persona da nominare, sarebbe nullo/inefficace per mancanza di nomine ed accettazione.

13.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

13.2. La società ricorrente, invero, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha finito, in sostanza, per lamentare l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito: lì dove, in particolare, questi, ad onta delle differenti risultanze asseritamente emergenti dagli stessi, hanno affermato che, attraverso la scrittura privata (tra C.I. e Ca.Ti.) del 20/6/1988 e l’atto pubblico di compravendita del 20/2/1992 (simulato, come si evince dalla controdichiarazione resa in pari data, per la parte corrispondente alla prestazione dovuta dalla cooperativa), la cooperativa convenuta aveva assunto, attraverso un contratto preliminare (per persona da nominare, cui era seguita la nomina da parte dell’originario contraente, e cioè Ca.Ti., e l’accettazione della società nominata) di permuta di cosa presente con cosa futura, l’obbligo di acquistare la proprietà del fondo dell’attore, onde realizzare l’edificio costituente l’oggetto della sua attività sociale, e di trasferirgli, poi, a titolo di corrispettivo, la proprietà di tre appartamenti, una volta edificati, attraverso la loro assegnazione allo stesso quale socio.

13.3. La valutazione delle prove raccolte, però, al pari dell’interpretazione degli atti negoziali (dei quali, peraltro, come nel caso della scrittura del 20/6/1988 e della controdichiarazione del 20/2/1992, non risulta neppure riprodotto in ricorso il testo che si assume malamente ricostruito), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale (e, in particolare, dell’accertamento deila volontà contrattuale delle parti) non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.

13.4. Del resto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 360 c.p.c., n. 4, se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni della loro decisione e se la motivazione così fornita sia solo apparente, perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’e’ accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

13.5. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, con motivazione non apparente né perplessa né contraddittoria, che la società convenuta aveva contrattualmente assunto (a seguito della nomina da parte del contraente e della sua accettazione: la cui validità ed efficacia, peraltro, non risultano trattate dalla sentenza impugnata, sicché, trattandosi di questioni di diritto che implicano un accertamento di fatto, le censure esposte sul punto sono, evidentemente, inammissibili, non essendone stata compiutamente esposta, in ricorso, la loro devoluzione nel giudizio d’appello: cfr. Cass. n. 20694 del 2018) l’obbligo di procedere alla (futura) permuta tra il fondo sul quale realizzare l’edificio e tre degli appartamenti cosi realizzati. Ed una volta affermato – come la corte d’appello ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato utilmente censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per aver completamente omesso l’esame di una o più circostanze decisive risultanti dalla stessa sentenza o dagli atti di causa (a nulla, del resto, rilevando il mancato esame delle prove se, come nella specie, il fatto determinante ai fini della decisione, e cioè la sussistenza di un accordo contrattuale avente ad oggetto la futura permuta tra la proprietà del fondo e quella degli appartamenti da costruire, sia stato comunque preso in considerazione del giudice ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: Cass. SU n. 8053 del 2014) – che l’attore aveva dimostrato in giudizio la sussistenza di un obbligo contrattuale, avente l’indicato contenuto, in capo alla società convenuta (che, per effetto della clausola per persona da nominare inserita nel contratto stesso, ne aveva accettato l’assunzione a seguito della nomina e della successiva accettazione), non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioè l’accoglimento della domanda proposta dall’attore in quanto volta, in sostanza, al risarcimento dei danni conseguenti al parziale e quindi inesatto adempimento del predetto obbligo da parte della società che vi era tenuta.

13.6. Il contratto sul quale la pretesa azionata è stata (correttamente) fondata, del resto, non e’, come sembra aver ritenuto la ricorrente, quello (associativo) che ha dato luogo alla costituzione della società, con la relativa disciplina (ivi compresa quella dettata dall’art. 2949 c.c., sulla prescrizione dei diritti che derivano dai relativi rapporti), quanto il rapporto di scambio, connesso al primo, tra la stessa società ed il socio prenotatario, con la relativa disciplina, ivi compresa l’azionabilità dei rimedi ordinari previsti dalla legge per il caso di inadempimento contrattuale, come il diritto al risarcimento dei danni (cfr. in tal senso, Cass. n. 694 del 2001, secondo la quale “nelle società cooperative il rapporto ulteriore – rispetto a quello relativo alla partecipazione alla organizzazione alla vita sociale – attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società, ed avente ad oggetto (sia prestazioni di collaborazione sia) prestazioni di scambio tra socio e società, è innegabilmente connotato non dalla comunione di scopo, che ferma il primo rapporto (tra i soci) bensì dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e (la retribuzione o) il prezzo corrispettivo”, aggiungendo che, con riguardo alle cooperative edilizie, un tale rapporto economico-giuridico, distinto da quello sociale, instaurandosi tra la società e il socio prenotatario nella fase della successiva attribuzione dell’unità immobiliare costruita, caratterizza tale attribuzione come vero e proprio atto traslativo della proprietà a titolo oneroso, sicché riprendono vigore i rimedi generali volti a mantenere o ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra la prestazione traslativa e la controprestazione economica; conf., Cass. n. 26222 del 2014) e la prescrizione di tali rimedi nei termini ordinariamente previsti in ragione della relativa natura giuridica (cfr., Cass. n. 21903 del 2013, per cui “i rapporti sociali, ai quali si applica il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c., si riferiscono a quei diritti che derivano dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta con il contratto di società e delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale, mentre ne restano esclusi tutti gli altri diritti che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici che una società può contrarre al pari di ogni altro soggetto”, ivi compreso, come evidenziato da Cass. n. 13269 del 2006, in motiv., il rapporto “di natura sinallagmatica, posto in essere con la cooperativa per l’acquisizione del vantaggio mutualistico”, riconducibile, di volta in volta, alla compravendita, alla permuta, ecc., la cui disciplina, a partire dalla prescrizione dei diritti conseguenti, “non può essere che quella propria del rapporto contrattuale che si instaura tra socio e cooperativa per il conseguimento del vantaggio mutualistico”): rapporto che, nel caso in esame, non si è realizzato secondo lo schema tipico, costituito dal preliminare acquisto dello status di socio da parte del promittente assegnatario, consacrato nell’atto costitutivo della società, e dalla successiva attività di attuazione, consistente nella verifica della realizzazione dei presupposti concreti per l’assegnazione nonché nella individuazione dell’alloggio e del corrispettivo (cfr. Cass. n. 23514 del 2016, secondo la quale “il trasferimento dell’immobile prevede una fattispecie a formazione progressiva, la cui prima fase, presupponente l’acquisizione dello status di socio da parte dell’assegnatario e la prenotazione dell’alloggio, deve qualificarsi come contratto preliminare, perché con l’individuazione del bene e del corrispettivo nasce l’obbligo per la socetà di prestare il proprio consenso al trasferimento, e la cui seconda fase, consistente nella successiva assegnazione dell’alloggio, si identifica con il contratto definitivo”; Cass. n. 22565 del 2015, in motiv., dove aggiunge come “nelle cooperative edilizie, in particolare, l’acquisto, da parte dei soci, della proprietà dell’alloggio per la cui realizzazione l’ente sia stato costituito passa attraverso la stipulazione di un contratto di scambio, la cui causa è del tutto omogenea a quella della compravendita, in relazione al quale la cooperativa assume veste di alienante ed il socio quella di acquirente”; Cass. n. 6016 del 2003; Cass. n. 7646 del 2007), quanto, piuttosto, nella stipulazione di una scrittura privata tra il proprietario del fondo, sul quale l’edificio doveva essere realizzato, e il (futuro) legale rappresentante della cooperativa (che ne ha, in seguito, assunto gli obblighi), avente ad oggetto la (futura) permuta tra il trasferimento della proprietà del predetto fondo da parte del primo alla cooperativa (poi realizzato attraverso la compravendita simulata del 1992), da una parte, e l’assegnazione (rimasta, tuttavia, ineseguita) in suo favore, in qualità di socio della stessa, di tre degli appartamenti che la società avrebbe poi realizzato, dall’altra.

13.7. Non colgono, dunque, nel segno, a fronte della distinzione giuridica tra il rapporto mutualistico e quello di scambio tra il socio e la cooperativa, i rilievi con i quali la società ricorrente ha invocato la violazione delle norme che delineano il doveroso rispetto da parte della cooperativa dello scopo mutualistico e del principio della parità di trattamento dei soci. Non si può, in effetti, non convenire sul fatto che la realizzazione di uno scopo mutualistico attiene alla causa stessa della società cooperativa, così come non sembra dubbio che, per il modo in cui la cooperativa tenda alla realizzazione del proprio scopo mutualistico, consentendo ai soci di conseguire direttamente il soddisfacimento di bisogni che altrimenti imporrebbero loro di sopportare i costi dall’intermediazione di terzi, i distinti rapporti contrattuali intrecciati tra, la società ed i propri soci al fine di realizzare detti scopi abbiano con il contratto sociale un preciso collegamento causale. Se questo è vero, e se è pur vero che ciò in via di principio non esclude possibili riflessi di un’eventuale patologia del rapporto cooperativo societario sui distinti rapporti negoziali che, in attuazione del primo, intercorrano tra la società ed i singolli soci, resta nondimeno indispensabile distinguere questi da quello, non dovendosi dimenticare che “il socio di una cooperativa edilizia, che sia anche beneficiario del servizio mutualistico reso dalla medesima cooperativa, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti: l’uno, di carattere associativo, che direttamente discende dall’adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio; l’altro, di natura sinallagmatica, che deriva dal contratto bilaterale di scambio mediante il quale egli si appropria del bene che la cooperativa gli fornisce. Il fatto che il contratto di assegnazione dell’alloggio sia frutto di una contrattazione ulteriore e diversa, rispetto a quella da cui discende il rapporto sociale, e che sia dotato di una propria distinta causa (quantunque all’altra collegata), non consente quindi di affermare che ogni eventuale anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduca, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell’alloggio di per sé altrimenti valido”. Un simile vizio potrebbe essere ravvisato solo nel caso in cui quell’anomalia fosse tale da recidere del tutto l’indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del rapporto di scambio, finendo così per stravolgere anche quest’ultima come, ad esempio, in ipotesi di cessione di alloggi a terzi estranei alla cooperativa (e non, come invece è accaduto nel caso in esame, ad un socio della stessa), in violazione dei diritti dei soci prenotatari degli alloggi medesimi (così, pressoché testualmente, Cass. n. 5724 del 2004, in motiv.).

13.8. Ne’ tale stravolgimento può rinvenirsi nella violazione del principio di parità di trattamento dei soci, che vulnererebbe lo scopo mutualistico posto a fondamento della cooperativa. Tale principio, infatti, da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in uguale posizione, “pur trovando nello scopo mutualistico della cooperativa un valido punto di appiglio, non si identifica affatto con esso”, riguardando, piuttosto, il modo in cui la società è tenuta a comportarsi nei riguardi dei propri soci, per cui la sua violazione non è idonea a riflettersi sulla validità dei distinti rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa e non giustifica, dunque, la pretesa della medesima società di far dichiarare la nullità dei contratti stipulati con i soci asseritamente favoriti. Gli atti contrattuali con i quali una società cooperativa trasferisca (o, come nel caso in esame, si impegni a trasferire) ad alcuni soci la proprietà di alloggi, dalla stessa costruiti, a condizioni (in ipotesi) più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci, in definitiva, non sono, per ciò stesso, affetti da nullità, sia perché non ogni anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduce, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell’alloggio di per sé altrimenti valido (un simile vizio potendosi ravvisare solo quando quell’anomalia sia tale da recidere del tutto l’indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del contratto di scambio), sia perché il principio di parità di trattamento, vigente nel sistema delle società cooperative già prima nell’introduzione del nuovo testo dell’art. 2516 c.c., ad opera del D.Lgs. n. 6 del 2003, definisce una regola di comportamento per gli organi sociali, ma non è idoneo a riflettersi sulla validità dei singoli rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa (Cass. n. 5724 del 2004).

14. Con il quinto motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha quantificato i danni cui la cooperativa è stata condannata senza, tuttavia, considerare che la scrittura privata del 20/6/1988 aveva testualmente previsto che, in caso di variazione della cubatura di edificabilità, il corrispettivo in alloggi avrebbe dovuto variare proporzionalmente. I tre appartamenti promessi in permuta, infatti, ha osservato la ricorrente, costituivano il compenso di un fondo a densità edilizia di 2,5 mc/mq per cui, a seguito della diminuzione di questa a 0,94 mc/mq, così come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, il prezzo del fondo, e cioè il numero degli appartamenti promessi, non poteva essere più quello originario, a nulla, per contro, rilevando, a fronte di tale volontà delle parti, la pattuizione con la quale le stesse avevano convenuto il diritto di ciascuno dei contraenti di recedere dall’accordo in caso di variazione delle densità edilizia.

15. Con il sesto motivo, la società ricorrente, lamentando il vizio di motivazione per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, ignorando i rilievi specificamente esposti nella consulenza tecnica di parte e ribaditi con l’atto d’appello, non ha considerato il decremento di valore del terreno rispetto alla valutazione rapportata all’originario indice di fabbricabilità.

16.1. Il quinto ed il sesto motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

16.2. La ricorrente, invero, non si confronta realmente con la sentenza che ha impugnato: la quale, in effetti, con statuizione non specificamente impugnata per l’omesso esame di fatti decisivi, ha ritenuto che, ai fini della determinazione del numero di appartamenti spettanti all’attore, la differenza tra la cubatura (inizialmente) realizzabile e la cubatura (concretamente) realizzata non fosse rilevante posto che la facoltà di recedere dal contratto, prevista nella scrittura del 1988 “in connessione essenziale con la variazione del “corrispettivo in alloggi” per l’ipotesi di variazione dell’indice di edificabilità stabilito nel contratto preliminare”, era “destinata a cessare, in uno con la variabilità del corrispettivo allorché al preliminare fosse stata data esecuzione, ancorché parziale…”. D’altra parte, com’e’ noto, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 2019).

17. Il ricorso, quindi, per l’infondatezza di tutti i suoi motivi, dev’essere rigettato.

18. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

19. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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