Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4474 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 120-2019 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato presso l’avvocato LOREDANA LISO

che lo rappres. e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.; PROCURATORE

GENERALE CORTE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE; PROCURATORE DELLA

REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BARI;

– intimati –

avverso il decreto n. 15229/2017 del TRIBUNALE di BARI, depositato il

30/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con decreto del 30.11.2018 il Tribunale di Bari rigettò il ricorso proposto da S.R., cittadino del Pakistan, il quale aveva impugnato il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di diniego dell’istanza di protezione internazionale ed umanitaria, osservando che: non erano state allegate situazioni afferenti al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, poichè il racconto reso dal ricorrente riguardava vicende non riconducibili alle fattispecie di legge; il racconto non era, comunque, attendibile in ordine alla persecuzione politica che il ricorrente avrebbe subito in Pakistan; nella regione di provenienza del ricorrente (Punyab) non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, come desumibile dai report consultati (relativi agli anni 2017 e 2018); non emergeva un’effettiva lesione di diritti fondamentali del ricorrente, nè era comprovata una situazione personale di vulnerabilità.

Ricorre in cassazione S.R. con due motivi.

Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

Il Consigliere relatore ha formulato la proposta ex art. 380bis c.p.c.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo è dedotto l’omesso esame di fatti decisivi 4.in “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B)”, non avendo il Tribunale accertato i presupposti della protezione richiesta, violando l’obbligo di cooperazione istruttoria.

Con il secondo motivo è denunziata la violazione degli artt. 1 Conv. di Ginevra del 28.7.51, art. 10 Cost., del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver il Tribunale valutato compiutamente la documentazione prodotta e per aver motivato in maniera generica ed insufficiente, ovvero apparente, non assumendo informazioni quale espressione dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

Il primo motivo è inammissibile. Invero, secondo l’orientamento di questa Corte, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., n. 16925/18).

Nel caso concreto, il Tribunale ha ritenuto, con ampia motivazione, che il racconto reso dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale non fosse credibile per una serie di palesi contraddizioni ben evidenziate; ne consegue che, in applicazione del suddetto orientamento, non sussistono i presupposti per l’esercizio del potere di cooperazione istruttoria da parte dello stesso Tribunale, circa il timore di persecuzioni in patria.

Inoltre, con particolare riguardo alla fattispecie della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), va rilevato che il motivo tende al riesame dei fatti in ordine all’insussistenza dei relativi presupposti in quanto dai vari report esaminati dal Tribunale si desume che nella regione del Pakistan, da cui proviene il ricorrente, benchè sussista una certa situazione di violenza diffusa, l’Autorità Statale ha adottato efficaci misure di protezione dei civili. Nè il ricorrente ha allegato specifiche situazioni di persecuzione o violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, ovvero situazioni individuali di vulnerabilità legittimanti il permesso umanitario. Il secondo motivo, relativo al vizio di motivazione, è inammissibile sia perchè declinato con modalità non conforme alla versione ratione temporis applicabile dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia perchè non sussiste la dedotta motivazione apparente, avendo il Tribunale chiaramente argomentato su ogni questione trattata.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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