Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4474 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 266/2017 proposto da:

C.M.N.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato

GIORGIO COSTANTINO, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato MASSIMO

GIAVAZZI, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché

B.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 889/2016 della CORTE D’APPELLO DI BARI,

depositata il 12/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica

dell’11/1/2022 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale della Repubblica Dott. PEPE Alessandro, il quale ha

concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti

gli altri;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato GIORGIO COSTANTINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. B.L., con atto di citazione notificato il 5/3/2001, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Foggia, C.M.N.L..

1.2. L’attore, dopo aver premesso che: – in data 21/12/2000, l’attore, in qualità di promittente venditore, ed il convenuto, in qualità di promissario acquirente, avevano stipulato un contratto preliminare avente ad oggetto la vendita, per il prezzo di Lire 650.000.000, di un’azienda agricola, costituita da un appezzamento di terreno con annesso fabbricati, concordando, in quella sede, che il C., già detentore dell’azienda in virtù di contratto di affitto stipulato il 23/2/2000, sarebbe stato immesso nel possesso contestualmente alla sottoscrizione del preliminare; – sempre in data 21/12/2000, le parti avevano firmato una scrittura integrativa del contratto preliminare nella quale avevano dato atto che il prezzo ivi indicato era simulato, avendo, in realtà, i contraenti pattuito, quale prezzo effettivo dell’azienda, la maggior somma di Lire 2.500.000.000, da corrispondere nelle mani del venditore, in assegni circolari, contestualmente alla stipula del rogito definitivo, da stipularsi entro il termine del 29/1/2001, poi prorogato al 22/2/2001; – B.F., in qualità di comproprietario dell’azienda, con atto del 29/1/2001, ha espressamente ratificato il contratto preliminare; – il C., tuttavia, con missiva del 19/2/2001, aveva comunicato di aver depositato, presso lo studio del notaio incaricato del rogito, la somma di Lire 630.000.000, quale prezzo residuo della vendita, manifestando così l’intento di concludere il contratto definitivo per il prezzo apparentemente indicato nel preliminare e di non adempiere a quanto effettivamente pattuito con la controdichiarazione scritta del 21/12/2000; ha chiesto che il tribunale, previo accertamento della simulazione del prezzo indicato nel preliminare, pronunciasse, ai sensi dell’art. 2932 c.c., sentenza costitutiva del contratto non concluso per il prezzo, pari a Lire 2.500.000.000, pattuito nella scrittura integrativa del 21/12/2000.

1.3. C.M.N.L. si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto della domanda proposta dall’attore.

1.4. Il convenuto, in particolare, ha dedotto che il documento posto dall’attore a fondamento della sua domanda era falso, disconoscendo all’uopo la scrittura integrativa prodotta in copia dalla controparte in quanto non rispondente ad alcun atto originale da lui sottoscritto, e che l’unica pattuizione realmente intervenuta tra le parti era quella contenuta nella promessa di vendita autenticata nelle firme dal notaio D.B. e che nessuna scrittura integrativa era mai stata da lui firmata.

1.5. L’attore, nella prima udienza, preso atto del disconoscimento operato dal convenuto, ha proposto istanza di verificazione del documento impugnato.

1.6. C.M.N.L., nel frattempo, con atto di citazione spedito il 10/7/2001, ha convenuto in giudizio, innanzi allo stesso tribunale, B.L. e B.F. al fine di ottenere una sentenza che, dando atto della volontà dell’acquirente di corrispondere il residuo prezzo di Lire 630.000.000, tenesse luogo del contratto non concluso, oltre alla condanna di B.L. al risarcimento dei danni arrecati.

1.7. B.L. si è costituito in giudizio opponendosi all’avversa domanda sulla base delle difese già svolte nella causa dallo stesso in precedenza attivata.

1.8. Disposta la riunione dei due giudizi, all’udienza del 13/6/2002, il difensore del B. ha evidenziato che “la propria borsa contenente i documenti in originale indicati nei precedenti verbali di udienza era stata, quel giorno stesso, trafugata in aula, giusta verbale di denuncia che allegava”.

1.9. Escussi i testi indicati dalle parti, il tribunale, con sentenza del 17/2/2009, ha, tra l’altro, accolto la domanda proposta dall’attore ed, accertata la simulazione del prezzo di vendita di cui al preliminare autenticato nelle firme dal notaio D.B. il 21-29/12/2000, ha dichiarato trasferita, in favore del convenuto, la proprietà dell’azienda condizionatamente al versamento, da parte del promissario acquirente, del residuo prezzo di Euro 1.280.813,11.

2.1. C.M.N.L., con atto di citazione notificato il 19/5/2009, ha proposto appello, chiedendo l’accoglimento della domanda avanzata in primo grado, e cioè di pronunciare sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., prendendo atto della volontà del convenuto di voler corrispondere la residua somma di Euro 325.367,85, al netto dell’acconto già versato, e di condannare gli appellati B.L. e B.F. al risarcimento dei danni arrecati per il ritardato adempimento ed al pagamento della penale prevista.

2.2. B.L. e B.F. hanno resistito all’appello, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

3.1. La corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello.

3.2. La corte, in particolare, ha esaminato, innanzitutto, il motivo con il quale l’appellante aveva censurato la decisione impugnata in quanto fondata su una prova che il tribunale non avrebbe dovuto ammettere, e cioè la testimonianza su “patto di simulazione del prezzo”: e l’ha ritenuto infondato. La corte, sul punto, ha rilevato che, in linea di principio, la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto: tuttavia, ha aggiunto la corte, la regola per cui la prova tra le parti dell’accordo simulatorio dev’essere data con atto scritto fa salva la possibilità di ricorrere alla prova testimoniale nell’ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, che comprende anche il caso, ricorrente nella specie, di perdita avvenuta ad opera di un terzo consegnatario del documento. Il primo motivo, quindi, ha concluso la corte, avendo riguardato l’ammissione di una prova testimoniale in ipotesi non consentita, risulta infondato, avendo il tribunale ammesso la prova testimoniale in applicazione dell’eccezione consentita dall’art. 2724 c.c., a norma del quale la prova testimoniale è ammessa in ogni caso quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.

3.3.1. La corte, quindi, ha provveduto ad esaminare il motivo con il quale l’appellante aveva lamentato che nessuna delle tre circostanze riportate in sentenza, e cioè l’esistenza dell’originale, il contenuto del documento e lo smarrimento incolpevole, sarebbero sussistenti, evidenziando, in particolare, che la parola “originale” nei verbali di udienza del 28/6/2001 e del 29/11/2001, era stata oggetto di “correzioni/cerchiature”: e l’ha ritenuto parimenti infondato.

3.3.2. La corte, sul punto, dopo aver rilevato la mancanza di una sentenza penale dibattimentale e, quindi, di effetti vincolanti per il giudice civile ai sensu dell’art. 654 c.p.p., e dopo aver evidenziato che il tribunale “con motivazione stringente” aveva ricostruito “la realtà dei fatti” risultanti dai verbali di udienza, che fanno prova fino a querela di falso (e cioè, tra l’altro, che: – all’udienza del 29/11/2001, l’avv. Carosielli aveva rinnovato l’istanza di verificazione, depositando “in originale la scrittura privata integrativa al contratto preliminare sottoscritto dalle parti in data 21.12.2000” e chiedendo, in caso di rinvio ad altra udienza, di essere autorizzato a ritirare gli originali dei documenti esibiti in udienza; – il difensore del convenuto non ha eccepito l’assenza dell’originale, “fondamentale ai fini della chiesta verificazione”; il giudice aveva autorizzato l’attore “al ritiro dei documenti originali oggi depositati…”; – all’udienza del 13/6/2002, l’avv. Carosielli ha subito nell’aula di udienza il furto della borsa professionale contenente il documento in originale), ha ritenuto che, alla luce delle circostanze esposte, non poteva che convenirsi con il primo giudice che “un documento in originale esisteva ed era stato prodotto agli atti di causa”, come, del resto, confermato dagli stessi difensori del C., nella cui memoria istruttoria di replica del 25/3/2003 si legge che gli stessi non avevano contestato che l’avv. Carosielli avesse esibito il negozio dissimulatorio dimostrativo di un prezzo contenuto in una scrittura privata aggiuntiva rispetto al preliminare originale ma solo che tale documento, non contestato dal punto di vista ontologico, era falso. D’altra parte, ha osservato la corte, a fronte della posizione difensiva assunta dal C., secondo cui l’originale c’era ma era falso, il B. non aveva alcun interesse ad operare una grossolana contraffazione del verbale di udienza, cerchiando la parola “originale”.

3.3.3. La corte, poi, quanto alla perdita incolpevole del documento, dopo aver ribadito il principio per cui le copie fotostatiche e fotografiche di un documento hanno, a norma dell’art. 2719 c.c., lo stesso valore probatorio degli originali quando la loro conformità con questi è attestata dal pubblico ufficiale, ovvero non è espressamente disconosciuta dalla parte contro cui sono prodotte, con la conseguenza che, in caso di disconoscimento della copia non autenticata, questa non può essere utilizzata come prova dei fatti in essa rappresentati né della esistenza stessa della scrittura riprodotta, dovendo i medesimi essere autonomamente dimostrati, dalla parte che ha prodotto in giudizio la copia disconosciuta, nei modi consentiti dalla legge e non mediante la verificazione della conformità della copia allo originale, e che, pertanto, ove la copia fotostatica o fotografica riguardi un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, la parte interessata deve necessariamente produrre in giudizio detto atto in originale o in copia autenticata al fine della prova della sua esistenza e del suo contenuto, mentre potrà servirsi della prova per testimoni o per presunzioni soltanto se abbia dedotto e previamente dimostrato la perdita incolpevole del documento originale, ha rilevato che l’appellante, senza contestare la modalità pubblica in cui era avvenuto il furto, poi denunciato dall’avv. Carosielli alla Guardia di Finanza, ha dubitato della presenza del documento in questione nella borsa del professionista. La corte, però, ha, sul punto, ritenuto che le osservazioni dell’appellante non superano il livello di “mere congetture”, non parendo condivisibile, “alla luce della attività processuale concretamente svolta”, mettere in dubbio quanto affermato dal professionista nella propria denuncia di furto circa l’esistenza nella borsa sottratta di un certo documento, specie se si considera che, così come riferito dal professionista in sede di esame quale teste nel procedimento penale, il difensore attento e ligio ai propri compiti non omette di portare con sé un documento così importante all’udienza per l’evenienza che di esso sia richiesto il deposito dalle parti o dal giudice. L’avv. Caroselli, in effetti, ha indicato, in denuncia, che la propria borsa conteneva “i documenti in originale indicati nei precedenti verbali di udienza”. In definitiva, ha concluso la corte, il tribunale, a fronte della perdita incolpevole dell’originale del documento integrativo, ha correttamente ritenuto che il contenuto dello stesso potesse essere dimostrato attraverso la prova testimoniale.

3.3.4. La corte, infine, escluso ogni rilievo al fatto che le sottoscrizioni del preliminare erano state autenticate in tempi diversi, perché, come riferito dal notaio D.B., ascoltato come teste, “e’ una cosa che capita spesso”, ha valutato la testimonianza del geom. T., “teste oculare dell’intera operazione”, ritenuto pienamente credibile ed attendibile in primo grado. La corte, al riguardo, riascoltato il teste, ha rilevato come lo stesso, per un verso, aveva ribadito di aver avuto in passato rapporti d’affari con B.F. e di aver curato la divisione tra i fratelli B. ma di non avere “alla data attuale” alcun rapporto di qualsiasi interesse con gli stessi, e, per altro verso, aveva chiarito che, alla data del 21/12/2000, presso lo studio del notaio D.B., B.L. e C.M., alla sua presenza, avevano sottoscritto la scrittura integrativa, “il cui contenuto riguardava l’effettivo prezzo del preliminare di compravendita in lire due miliardi e mezzo”: “la scrittura – ha aggiunto la corte – veniva mostrata al teste e riconosciuta”. La corte, quindi, escluso ogni rilievo alle restanti osservazioni dell’appellante, trattandosi di “mere illazioni”, ha ribadito la “genuinità” del testimone, riscontrata direttamente a seguito di esame diretto, rilevando, sul punto, che, sebbene il T. aveva riferito che il preliminare era stato firmato da entrambe le parti alla sua presenza ed innanzi al notaio, laddove, in realtà, l’atto risulta sottoscritto dalle parti in due momenti diversi, tale circostanza era irrilevante “perché marginale (il teste potrebbe non aver prestato attenzione al numero di firme concretamente apposte dalle parti sui diversi documenti, preliminare e scritta integrativa)” e che il testimone aveva, per contro, “ricordato con certezza il contenuto della scrittura, con riferimento al reale prezzo pattuito tra le parti in causa”.

3.4. La corte, quindi, ha ritenuto l’infondatezza del motivo con il quale l’appellante aveva, in sostanza, lamentato che, avendo il patto di simulazione del prezzo contemplato un prezzo di cinque volte superiore a quello simulato, la prova verterebbe di un contratto nuovo e diverso rispetto a quello simulato ed, in più, contrario alla legge in quanto diretto a frodare il fisco e nullo per mancanza della certificazione urbanistica. La corte, al riguardo, ha ritenuto, innanzitutto, che la fattispecie in esame costituisce un caso di simulazione relativa parziale, sicché appare fuori luogo parlare di contratto nuovo o diverso, ed, in secondo luogo, che l’eventuale frode al fisco, consistente nella sottrazione ad esso di elementi imponibili assoggettabili a tassazione, non dà luogo a nullità del negozio ma solo alle sanzioni stabilite dalle leggi tributarie. Quanto, infine, alla certificazione urbanistica, la corte ha ritenuto che la sua produzione solo in sede di gravame non fosse inammissibile, potendo la stessa essere acquisita perfino d’ufficio ai sensi dell’art. 213 c.p.c..

3.5. La corte, infine, dopo aver rilevato che l’autorità penale era già stata investita dell’Intero procedimento, provvedendo a svolgere le indagini di sua competenza, ha esaminato la querela di falso dei verbali di udienza del giudizio di primo grado in data 28/6/2001 e 29/11/2000, che l’appellante aveva presentato, ai sensi dell’art. 221 c.p.c., con la comparsa di costituzione in appello di nuovi difensori del 4/3/2014, e ne ha ritenuto l’infondatezza per difetto di rilevanza dell’eventuale falsità del documento impugnato posto che, nel caso di specie, la decisione sull’esistenza e sul contenuto del documento integrativo risulta fondata sulla prova orale raccolta in giudizio.

3.6. La corte, in definitiva, ha ritenuto che l’appello proposto dovesse essere rigettato e che la sentenza impugnata dovesse essere confermata.

4.1. C.M.N.L., con ricorso notificato in data 20/12/2016, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 31/10/2016.

4.2. B.L. ha resistito con controricorso notificato in data 27/1/2017 eccependo l’inammissibilità del ricorso in quanto lo stesso e la relativa procura risultano notificati in difetto di firma digitale.

4.3. B.F. è rimasto intimato.

4.4. Il ricorrente ha depositato memoria, cui ha allegato la sentenza pronunciata dalla corte d’appello di Bari in data 14/2/2011 e la sentenza di questa Corte n. 8112/2012.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Intanto, il ricorso per cassazione è senz’altro ammissibile. Ritiene la Corte che i vizi della notifica del ricorso, ove mai esistenti, sono stati sanati, con efficacia ex tunc, dalla costituzione in giudizio del destinatario, avendo l’atto raggiunto il suo scopo.

6.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417,2719 c.c., art. 2724 c.c., n. 3 e dell’art. 214 c.p.c., art. 215 c.p.c., n. 2 e art. 216 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, attraverso una prova testimoniale ammessa ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, ha accertato che, prima della ratifica con atto pubblico del 29/1/2001 da parte dell’altro comproprietario del bene promesso, e segnatamente con scrittura privata redatta nella stessa data del preliminare, e cioè il 21/12/2000, le parti originarie avevano sottoscritto una scrittura privata integrativa del contratto preliminare nella quale avevano dato atto che il prezzo ivi indicato di Lire 650.000.000 era simulato, dichiarando, in particolare, che il reale ed effettivo prezzo della compravendita dell’intera azienda era quello di Lire 2.500.000.000, da corrispondere nelle mani del venditore B.L. in assegni circolari contestualmente alla stipula del definitivo.

6.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che, in ragione delle numerose e convergenti risultanze documentali in senso contrario, la prova testimoniale della controdichiarazione, tanto in primo grado, quanto in appello, non doveva e non poteva essere ammessa.

6.3. La corte d’appello, in effetti, ha ritenuto che l’esistenza del documento del quale si è assunta la perdita incolpevole emergesse dai verbali di udienza, lì dove, in particolare, dagli stessi risultava che l’avv. Carosielli aveva esibito l’originale” della scrittura, negando, tuttavia, l’ammissibilità per irrilevanza della querela di falso che l’appellante, ai sensi dell’art. 221 c.p.c., aveva proposto relativamente agli stessi verbali di udienza nella parte in cui le cerchiature degli incisi “l’originale del” e “in originale” operata dall’avversa difesa risultano essere state in seguito “sbianchettate”, come risulta dalle copie conformi degli stessi verbali, dalle quali emerge che, al contrario, le cerchiature medesime risultano ancora presenti.

6.4. Se, infatti, l’esistenza del documento era emersa, come ha ritenuto la corte, dai verbali di udienza sul rilievo che gli stessi fanno piena prova fino a querela di falso, tali verbali non potevano essere, poi, considerati irrilevanti e la querela di falso proposta dall’appellante non poteva essere, quindi, disattesa. Se, dunque, la querela di falso è inammissibile, ha osservato il ricorrente, occorre, allora, dare per acquisito, come accertato dal giudice penale, che le espressioni “l’originale del” e “in originale”, già cerchiate, sono state “sbianchettate” e che, indipendentemente dall’accertamento della falsità dei verbali, essi sono falsi e potevano essere posti a fondamento della decisione.

6.5. Stabilito, quindi, che l’originale della controdichiarazione non è stato esibito o acquisto in giudizio, l’esistenza di tale documento risulta esclusivamente dalla prova orale, che era, invece, inammissibile. A seguito della perdita incolpevole del documento all’udienza del 13/6/2001, infatti, ha osservato il ricorrente, il tribunale, prima, e la corte d’appello, poi, hanno erroneamente ritenuto che la prova di cui all’art. 2724 c.c., n. 3, potesse comprovarne l’esistenza ed il contenuto, fornendo così la prova della simulazione, nonostante che, a fronte del suo disconoscimento da parte del convenuto e della richiesta di verificazione della scrittura da parte dell’attore, la sua efficacia probatoria fosse necessariamente subordinata all’esito del procedimento di verificazione, divenuto impossibile a seguito dello smarrimento del documento.

6.6. La corte d’appello, d’altra parte, ha accertato l’esistenza del documento derivandola dal comportamento processuale della difesa del C. omettendo, tuttavia, di considerare, oltre agli accertamenti svolti in sede penale, che il convenuto, in ogni grado del giudizio, aveva sempre contestato, come emerge dall’atto d’appello, che l’originale della controdichiarazione esistesse, che fosse vero e che tale originale fosse mai stato neppure esibito.

6.7. L’esistenza del documento, quale presupposto per l’ammissione della prova testimoniale dell’originale smarrito, risulta, pertanto, in ogni caso, smentita.

6.8. La corte d’appello, del resto, ha aggiunto il ricorrente, ha ritenuto sufficiente, al fine di considerare ammissibile la prova per testi, il fatto della perdita incolpevole del documento, senza, tuttavia, considerare che, al contrario, la perdita incolpevole del documento non implica affatto che la prova per testi sia sempre e comunque ammissibile, dovendosi, piuttosto, ritenere che la falsità del documento e dei suoi contenuti (e, a monte, la sua inesistenza, tale essendo un documento che si sostiene essere contraffatto) avrebbero dovuto costituire un argomento per negare e non già per ammettere la prova testimoniale.

6.9. La prova espletata, del resto, ha aggiunto, in subordine, il ricorrente, ove mai ammissibile, non consentirebbe di ritenere dimostrate le circostanze che la corte d’appello ha accertato come vere, e cioè la firma della scrittura modificativa, poiché la perdita del documento disconosciuto, anche nella sua esistenza e veridicità, non ha consentito l’espletamento, con esito positivo, del procedimento di verificazione, cui l’art. 216 c.p.c., subordina l’utilizzo in giudizio del documento disconosciuto, sicché tale documento, che è una prova giuridicamente inesistente, non può fornire, ai sensi dell’art. 1417 c.c., la prova della simulazione.

7.1. Il motivo è infondato.

7.2. La pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le parti (art. 1417 c.c.), al divieto di prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., trattandosi di un elemento essenziale del contratto, che, per il comb. disp. dell’art. 1350 c.c., n. 1 e art. 1414 c.c., comma 2, deve necessariamente risultare per iscritto (Cass. SU n. 7246 del 2007; Cass. n. 3234 del 201.5; Cass. n. 21442 del 2010; Cass. n. 5539 del 2004), per cui, almeno in linea di principio, la prova dell’accordo simulatorio dev’essere fornita con la produzione in giudizio della scrittura contenente la controdichiarazione firmata dalle parti o comunque dalla parte contro la quale è esibita (Cass. n. 642 del 2000; Cass. n. 11658 del 2002; nel passato, Cass. n. 1690 del 1991; più di recente, Cass. 13459 del 2006; Cass. n. 12487 del 2007).

7.3. Trovano, invero, applicazione le norme previste dagli artt. 2721 c.c. e segg. (ai cui limiti, in effetti, l’art. 1417 c.c., allude: Cass. n. 5539 del 2004, in motiv.), con le relative eccezioni, a partire da quella stabilita dall’art. 2724 c.c., n. 3, sicché, in caso di perdita incolpevole del documento, la prova dell’accordo simulatorio, pur se si tratta di contratto che doveva essere stipulato in forma scritta a pena di nullità (art. 2725 c.c., comma 2), come il preliminare di compravendita di un’azienda composta da beni immobili (art. 1350 c.c., n. 1, art. 1351 c.c. e art. 2556 c.c., comma 1), può essere legittimamente fornita, a norma dell’art. 2724 c.c., n. 3, con il ricorso alla testimonianza (Cass. n. 13459 del 2006; conf., Cass. n. 1690 del 1991; Cass. n. 5792 del 1981) e, di conseguenza, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., alle presunzioni (Cass. n. 642 del 2000).

7.4. Ne’ rileva il fatto che il documento contenente la sottoscrizione, prima di essere smarrito, sia stato disconosciuto dalla parte contro cui è stato prodotto (anche se in mera copia: cfr. Cass. n. 5189 del 2002). A seguito del disconoscimento della sottoscrizione, in effetti, la scrittura, ove non ne sia stata verificata l’autenticità, e cioè la riferibilità della firma alla parte contro la quale la stessa è stata prodotta, è inutilizzabile, in mancanza della sua certa attribuibilità alla parte contro cui è prodotta, come fonte di prova delle dichiarazioni ivi contenute. Tuttavia, in caso di perdita incolpevole del documento, pur se già disconosciuto, con la conseguente impossibilità di procedere alla sua verificazione, e cioè all’attribuzione della relativa sottoscrizione alla parte contro la quale è prodotto, la dimostrazione dei fatti che si pretendeva di trarre dallo stesso (e cioè il contenuto delle dichiarazioni ivi contenute e, prima ancora, la loro riferibilità alla parte che, pur apparendone l’autore, ne aveva disconosciuto la sottoscrizione) può essere conseguita, ove sia dimostrata l’esistenza del documento e la perdita dello stesso senza colpa, con la prova per testimoni, la quale, infatti, sostituendosi completamente alla (oramai impossibile, perché smarrita) prova riveniente dal documento, e’, in tale ipotesi, (non a caso) ammissibile “in ogni caso”.

7.5. In effetti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in caso di contratto (come il preliminare di cessione di azienda composta beni immobili) per il quale sia richiesta, per legge o per volontà delle parti, la Forma scritta a pena di nullità, colui che intenda avvalersi del documento in giudizio, ove la sottoscrizione non sia stata autenticata al momento dell’apposizione (art. 2703 c.c.) né riconosciuta, ancorché tacitamente, dalla controparte (art. 2702 c.c., in fine, e art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2), che ne ha formalmente disconosciuto la sottoscrizione (art. 214 c.p.c.), ha l’onere di avviare il procedimento di verificazione, proponendo la relativa istanza (art. 216 c.p.c.) e producendo il documento, dal quale pretende di trarre la prova del contratto, ove già depositato in mera copia (Cass. n. 9202 del 2004, Cass. n. 6272 del 2014), in originale (arg. ex art. 217 c.p.c., comma 1), non potendosi avvalere, di regola, né della prova testimoniale né di quella per presunzioni (art. 2725 c.c. e art. 2729 c.c., comma 2) per dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento medesimo, salvo il caso, eccezionalmente previsto dall’art. 2725 c.c., in cui abbia previamente dedotto e dimostrato la perdita incolpevole dell’originale (cfr. Cass. n. 24306 del 2017).

7.6. Il procedimento previsto dagli artt. 214-216 c.p.c., infatti, è strettamente correlato alle norme, dettate dal codice civile, in tema di prova testimoniale e di presunzioni, le quali, in particolare, integrando la disciplina dettata dal codice di rito, prescrivono, all’art. 2725, che la prova per testimoni (o per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., comma 2) del contratto, quando la forma scritta di esso sia prevista ad substantiam o ad probationem, è ammessa solo nel caso, previsto dall’art. 2724 c.c., n. 3, di perdita incolpevole di documento. In effetti, “se, da un lato, dell’esistenza del contratto a forma scritta ad substantiam o ad probationem, quale fatto generatore di obbligazioni (e non come mero fatto storico), l’interessato può dare la prova solo attraverso la produzione del documento nel giudizio, così rendendo possibile l’esame di esso, tendenzialmente nella sua integralità, ad opera della controparte e del giudice (munito, quest’ultimo, di penetranti poteri d’ufficio), in tal modo garantendo che siano avvicinate il più possibile le conseguenze giuridiche attribuite dall’ordinamento all’esito del processo a quelle volute dalle parti mediante la predisposizione del regolamento di interessi riflesso nel documento, senza affidarsi a deposizioni testimoniali che mal potrebbero ricostruire dichiarazioni negoziali anche complesse in guisa tale da permettere un equivalente disamina, sarebbe illogico ritenere che, d’altro lato, l’interessato a fronte di un qualsivoglia testo contrattuale dallo stesso prodotto, recante una firma non riconosciuta dalla controparte, possa affidarsi alle deposizioni dei medesimi testi per far acclarare l’autografia della sottoscrizione, elemento questo giuridicamente e socialmente centrale nella scrittura privata e ulteriore rispetto alla dichiarazione, in quanto attraverso di essa – ed essa soltanto la dichiarazione si fa propria da parte del sottoscrittore, e per garantire certezza in ordine alla provenienza della quale la legge ha predisposto lo strumento dell’autenticazione da parte di un pubblico ufficiale (art. 2073 c.c.), non sostituibile da formalità diverse, salve le speciali procedure accertative per i casi di chi non sa o non può scrivere di pugno” (Cass. n. 24306 del 2017, in motiv.).

7.7. La giurisprudenza di questa Corte ha, in effetti, affermato che, ove del contratto a forma scritta ad substantiam o ad probationem non siano accertati il contenuto e l’autografia della sottoscrizione, mediante produzione in giudizio della relativa scrittura munita di autenticazione o seguita da riconoscimento anche tacito, la parte che se vuole avvalere, a fronte, quindi, del formale disconoscimento operato dalla controparte, ha l’onere di dar prova dell’esistenza, del contenuto e della sottoscrizione del contratto avviando, pur senza formule sacramentali, il relativo procedimento di verificazione e producendo a tal fine, nel conseguente giudizio incidentale, il documento in originale (Cass. n. 11739 del 1999; Cass. n. 14804 del 2014; Cass. n. 24306 del 2017).

7.8. Tuttavia, come consentito dall’art. 2724 c.c., n. 3, artt. 2725 e 2729 c.c., la parte che abbia perduto, senza sua colpa, il documento che gli avrebbe fornito la prova, può avvalersi, per dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del contratto, della prova per testimoni o per presunzioni (Cass. n. 14804 del 2014, in tema di documento prodotto in fotocopia non riconosciuta, la quale ha dichiaratamente condiviso il principio per cui “quando la parte, contro la quale sia prodotta la copia fotostatica – assimilabile a quella fotografica di cui all’art. 2719 c.c. – non autenticata da pubblico ufficiale di un documento dalla medesima almeno apparentemente sottoscritto, la disconosca come falsa… incombe alla controparte fornire nei modi ordinari la dimostrazione dei fatti risultanti dalla copia suddetta; ne consegue che detta controparte è tenuta o ad esibire l’originale – ed, in ipotesi affermativa, a chiedere la verificazione della scrittura, se l’avversario insisterà nel disconoscerla – o a fornire altre prove del suo asserto, nei limiti ordinari della loro ammissibilità e, quindi, anche prove testimoniali, ove dimostri, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2724 c.c., n. 3), di avere senza sua colpa smarrito il documento”; conf., Cass. n. 5738 del 1992; così anche Cass. n. 11739 del 1999, in motiv., per cui “la parte che abbia prodotto la copia fotostatica di una scrittura privata disconosciuta dalla controparte (che così abbia negato l’esistenza dell’originale) è tenuta a produrlo ed a chiederne la verificazione se quella abbia insistito nel disconoscimento; altrimenti, del contenuto del documento potrà fornire tutt’altre prove, nei limiti ordinari della loro ammissibilità; se del caso anche prove testimoniali, previa dimostrazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2724 c.c., n. 3, di aver senza sua colpa smarrito il documento. E ciò segnatamente, secondo il disposto dell’art. 2725 c.c., quando il suo contenuto sia costituito da un contratto che, riferibile al catalogo dell’art. 1350 c.c., debba stipularsi in forma scritta a pena di nullità”; Cass. n. 212 del 1985), le quali, peraltro, essendo consentite “in ogni caso”, rendono del tutto irrilevante, ai fini dell’applicazione delle predette norme, il fatto che il documento originale, prima di essere smarrito senza colpa dal chi era interessato a utilizzarlo come prova, era stato disconosciuto dalla parte contro la quale era stato prodotto.

7.9. In definitiva, in caso di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in copia fotostatica, la parte, che l’abbia esibita in giudizio e intenda avvalersi della prova documentale rappresentata dalla anzidetta scrittura, deve produrne l’originale al fine di ottenerne la verificazione: altrimenti, del contenuto del documento, compresa l’autografia, può fornire la prova, con i mezzi ordinari, “nei limiti della loro ammissibilità” (Cass. n. 11739 del 1999; Cass. n. 1831 del 2000; Cass. n. 24306 del 2017, in motiv.), a partire dalla prova per testi (o per presunzioni) ove il contraente, secondo quanto previsto dall’art. 2724 c.c., n. 3, abbia smarrito senza sua colpa, com’e’ accaduto nel caso in esame, il documento originale (Cass. n. 14804 del 2014).

7.10. La corte d’appello, invero, ha, in fatto, accertato, per un verso, che il documento “in originale”, in quanto a suo tempo esibito in giudizio, effettivamente esisteva (e le censure svolte sul punto dal ricorrente non tengono conto delle risultanze istruttorie che la corte ha insindacabilmente utilizzato, a partire dalle dichiarazioni rese in memoria istruttoria dal convenuto, e della conseguente irrilevanza della querela di falso presentata in ordine ai verbali di causa che quell’esibizione avevano attestato) e, per altro verso, che l’attore, affidandolo al suo legale, l’aveva perduto senza colpa: e, sulla base di tali presupposti (il cui accertamento, riservato all’apprezzamento del giudice di merito, non è stato, in questa sede, utilmente censurato per avere la corte d’appello del tutto omesso l’esame di fatti decisivi, al riguardo ostativi, risultanti dalla stessa sentenza impugnata o dagli atti del giudizio), ha correttamente ammesso, in forza dei principi in precedenza esposti, la prova testimoniale sulla pattuizione intercorsa tra le parti sul prezzo effettivamente convenuto, ed, in ragione delle relative emergenze, ha ritenuto di accertare tanto il fatto che tale documento era stato sottoscritto dal convenuto, quanto il fatto che, attraverso tale sottoscrizione, quest’ultimo si era impegnato, nei confronti del promittente venditore, a pagare il prezzo di 2.500.000.000 di Lire.

8.1. Con il secondo motivo, articolato in via dichiaratamente subordinata, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1414 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha accertato la simulazione di un contratto concluso tra tre soggetti sulla base di una controdichiarazione intercorsa tra due soli di essi.

8.2. Così facendo, infatti, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che, in mancanza del consenso di B.F., che, quale comproprietario dei beni promessi in vendita, ha ratificato solo il contratto concluso dal fratello L. con l’atto pubblico del 21/12/2000, e ha dichiarato di non aver avuto alcuna notizia della scrittura privata integrativa del contratto preliminare, la controdichiarazione è nulla, e come tale può essere dichiarata, anche d’ufficio, dalla stessa Corte di cassazione.

8.3. L’accordo dissimulato, infatti, alla luce dei fatti esposti dalla stessa sentenza impugnata, è intercorso solo tra B.L. e C.M. e non rispetta, quindi, in mancanza di potere rappresentativo in capo al promittente venditore, i requisiti di forma e di sostanza che l’art. 1414 c.c., comma 2, richiede quale requisito per la prova della simulazione tra le parti, a partire dal consenso delle parti contraenti, compreso, dunque, quello di B.F., che, invece, manca.

9. Il motivo è infondato. Questa Corte, in effetti, ha ritenuto che, in tema di contratto stipulato da falsus procurator, la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, sicché il giudice deve tener conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte (Cass. SU. n. 11377 del 2015), Tuttavia, il comportamento processuale dello pseudo rappresentato che, convenuto in giudizio, tenga un comportamento da cui risulti in maniera univoca la volontà di fare proprio il contratto concluso in suo nome e per suo conto dal falsus procurator, opera anche sul terreno del diritto sostanziale e vale quale ratifica tacita di tale contratto (Cass. n. 1751 del 2018). La ratifica di un contratto stipulato da falsus procurator, se soggetto alla forma scritta ad substantiam, non richiede, del resto, che il dominus manifesti espressamente per iscritto la volontà di far proprio quel contratto, potendo la ratifica essere anche implicita (purché sia rispettata l’esigenza della forma scritta) e risultare da un atto che, redatto per fini che sono consequenziali alla stipulazione del negozio, manifesti in modo inequivoco la volontà del dominus, incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere (Cass. n. 2617 del 2021). Nel caso in esame, come si evince dalla sentenza impugnata, B.F., e cioè il comproprietario dei beni promessi asseritamente pseudo rappresentato, ha chiesto, in appello, la conferma della sentenza con la quale il tribunale, accertata la simulazione del prezzo di vendita indicato nel preliminare, dallo stesso ratificato, ha dichiarato il trasferimento, in favore del convenuto, della proprietà dell’azienda condizionatamente al versamento, da parte del promissario acquirente, del residuo prezzo, pari ad Euro 1.280.813,11, così come pattuito nella controdichiarazione da lui non sottoscritta, che l’ha, in tal modo, inequivocamente, ratificata. E bene ha fatto, quindi, la corte d’appello a non rilevare, d’ufficio, la mancanza del relativo potere rappresentativo in capo al comproprietario che aveva sottoscritto la predetta controdichiarazione.

10. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare la conferma da parte della Corte di cassazione, con sentenza n. 382 del 2012, prodotta in appello quale allegato al verbale di udienza del 26/6/2013, della pronuncia con la quale la corte d’appello di Bari, in data 14/2/2011, aveva assolto il C. dai reati che gli erano stati contestati. Se la corte d’appello avesse esaminato i fatti decisivi accertati dal giudice penale e discussi in sede civile, così come riportati nella memoria di replica depositata l’11/11/2014, la valutazione della prova avrebbe comportato l’accoglimento dell’impugnazione.

11. Il motivo è infondato. La corte d’appello, infatti, lì dove ha (implicitamente) escluso ogni effetto di giudicato alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione, si e’, in effetti, attenuta alla norma prevista dall’art. 654 c.p.p., la quale, nei giudizi civili aventi (come quello in esame) un oggetto diverso rispetto a quelli volti al risarcimento dei danni o alle restituzioni, prevede che gli accertamenti fattuali contenuti nella sentenza penale (resa all’esito del dibattimento) abbiano efficacia di giudicato nei confronti soltanto dell’imputato e della (persona offesa che nel relativo processo penale si sia costituita quale) parte civile (Cass. n. 34224 del 2021: i limiti soggettivi di efficacia del giudicato penale sono previsti dall’art. 654 c.p.p., “a tutela di coloro che siano rimasti estranei al giudizio nel quale si è formato, non essendosi costituiti parte civile” ove, come nella specie, non ne abbiano invocato il relativo accertamento), laddove, al contrario, nel caso in esame, non risulta, in ricorso (ed e’, comunque, espressamente escluso dalla sentenza penale di assoluzione: v. p. 7), che l’attore si era costituito, nel relativo giudizio, come parte civile. La sentenza impugnata, pertanto, una volta escluso che gli accertamenti fattuali svolti in sede penale avessero effetti vincolanti nel giudizio civile dalla stessa definito, ha, in forza di tale (implicito ma corretto) presupposto, legittimamente proceduto, secondo il suo insindacabile apprezzamento, ad un (differente) accertamento, nei termini in precedenza esposti, dei fatti materiali di causa (posto che, al di fuori dei casi in cui ha efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 654 c.p.p., la sentenza penale stessa costituisce un documento dal quale il giudice può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti: Cass. n. 9070 del 1999): a partire da quello concernente l’effettiva esibizione in giudizio dell’originale del documento da parte del difensore dell’attore, negata, invece, (come emerge dalla sentenza di assoluzione della corte d’appello, p. 8) dal giudice penale.

12.1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in reflazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto provata la simulazione in forza della prova testimoniale sull’esistenza di un documento smarrito, senza, tuttavia, considerare il fatto, denunciato con l’atto d’appello, che la data indicata nella scrittura integrativa quale termine per la stipula del contratto definitivo, dichiarata come esistente, era, in realtà, palesemente falsa, con la conseguenza che, se avesse esaminato tale decisiva circostanza, avrebbe valutato come inattendibile la testimonianza del T..

12.2. Il termine per la stipula del definitivo, infatti, fissato nella promessa di vendita per il 31/1/2001, è stato prorogato al 22/2/2001 solo con l’atto pubblico di ratifica e di proroga del 29/1/2001, per cui, il giorno 21/12/2000, data di asserita formazione della scrittura privata aggiuntiva, le parti non potevano sapere che il termine per la stipula del definitivo sarebbe stato prorogato, che mai, quindi, avrebbero potuto riportare nella scrittura.

12.3. La falsità della testimonianza del T., ha concluso il ricorrente, emerge, oltre che dagli stretti legami d’affari che nel passato erano intercorsi tra lo stesso e il B. e dalle plurime versioni della scrittura integrativa, anche dal fatto che, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, il C. era presente il giorno dell’originario preliminare ed aveva concordato con il B., firmandola, la scrittura integrativa, malgrado sia incontroverso che non abbia sottoscritto il contratto al quale tale controdichiarazione asseritamente si riferiva.

13. Il motivo è infondato. L’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra, in effetti, altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 21187 del 2019; Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito” il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011). In particolare, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito: in tema di procedimento civile, infatti, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. n. 21187 del 2019). In definitiva, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni, sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito, la cui valutazione, ove motivata (come nel caso in esame) in modo non apparente né contraddittorio, non è censurabile in cassazione (cfr. Cass. n. 9356 del 2017, secondo cui in materia di ricorso per cassazione, l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità; Cass. n. 25166 del 2019, per cui il giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità).

14. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi, dev’essere, quindi, respinto.

15. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

16. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

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