Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4473 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/02/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 19/02/2021), n.4473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23986-2014 proposto da:

SABALU SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE MARCELLINA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23,

presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO DE GIOVANNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato AUGUSTO COLATEI;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1201/2014 della COMM.TRIB.REG. LAZIO,

depositata il 26/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2021 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La soc. Sabalu SRL proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Roma in data 28 Ottobre 2009 avverso la cartella esattoriale, notificata il 13.10.2009, relativa al pagamento della somma di Euro 1.723,17 per l’omessa corresponsione dell’ICI per l’anno 2004 relativa ad un immobile sito in (OMISSIS). Secondo la società ricorrente la predetta cartella era stata irritualmente notificata ad istanza del Comune di Marcellina in quanto fondata su un presunto avviso di accertamento ICI mai notificato alla società. Eccepiva quindi l’inesistenza giuridica del titolo esecutivo, la prescrizione o la decadenza dell’avviso di accertamento impugnato in quanto mai notificato.

Infatti, l’avviso di accertamento risultava notificato per posta e sul relativo avviso di ricevimento vi era una firma illeggibile, senza alcuna indicazione sulla qualifica del soggetto firmatario. Da ciò scaturiva la nullità della notifica. Assumeva, infine, che non vi era stato alcuna omessa corresponsione

richiesta. Si costituiva in giudizio il Comune di Marcellina che ribadiva la ritualità della notifica dell’avviso di accertamento, da cui era scaturita la cartella di pagamento.

La C.T.P. di Roma rigettava il ricorso, ritenendo corretta la notifica in esame.

In sede di impugnazione, innanzi alla CTR di Roma si costituiva il comune di Marcellina ed anche Equitalia Sud, agente della riscossione, che, tuttavia, veniva estromessa dalla CTR. Nel merito, la CTR di Roma riteneva l’appello infondato e, con sentenza 1201/20/14, lo respingeva e condannava alle spese la soc. ricorrente. Secondo i giudici del gravame, a mente della L. n. 890 del 1982, l’agente postale era tenuto a consegnare al destinatario la copia dell’atto da notificare e, ove la copia non fosse stata consegnata personalmente al destinatario, detto agente era tenuto, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 4 a specificare nella relata la persona diversa nei cui confronti la notifica era stata eseguita, l’eventuale grado di parentela esistente tra il destinatario e tale persona, l’eventuale indicazione della convivenza sia pure temporanea tra il destinatario e la persona consegnataria. Pertanto, sempre secondo la CTR, la omessa indicazione da parte dell’agente postale del compimento di tali formalità, induceva a ritenere, salvo querela di falso, che l’agente avesse consegnato la copia dell’atto da notificare personalmente al destinatario e che, questo ultimo avesse, sottoscritto l’avviso di ricevimento, a nulla rilevando l’ulteriore specificazione di tale qualifica.

Avverso la su indicata sentenza proponeva ricorso la contribuente che eccepiva:

A) Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 138,145,115 e 116 c.p.c. – art. 160 c.p.c., art. 24 Cost. – D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 – art. 140 c.p.c..

B) violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 91 e 92 c.p.c..

Il Comune di Marcellina si costituiva con controricorso.

Con il primo motivo, la ricorrente precisava che, trattandosi di notifica effettuata ad una persona giuridica, la notificazione andava eseguita ex art. 145 c.p.c. presso la sede della società, mediante consegna di copia al rappresentante o alla persona incaricata a ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui vi era la sede. Nel caso esaminato, invece, unitamente all’illeggibilità della firma, non risultava, neppure dalla relata, in quale qualità il consegnatario avesse ricevuto la notificazione oggetto di causa.

Precisava, inoltre, sotto altro profilo che non risultava non essere mai stata fornita dal resistente la prova del perfezionamento della notifica oggetto di causa, tramite il deposito della raccomandata informativa relativa all’avvenuta consegna del plico al destinatario, secondo la previsione di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 3/2010, che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui non aveva legato il perfezionamento della notifica all’invio della predetta raccomandata informativa. Sul punto il giudice di merito non aveva fatto alcuna menzione dell’invio o ricezione della raccomandata informativa in parola.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva l’illegittimità della condanna alle spese. Nel caso in cui l’amministrazione vittoriosa veniva assistita e difesa da propri funzionari, non spettava, infatti la liquidazione di diritti ed onorari di avvocato, difettando tale qualifica in capo ai funzionari, ma solo le spese vive sostenute da indicarsi in apposita nota.

Concludeva, in principalità per la declaratoria di prescrizione del credito azionato dal Comune di Marcellina relativo alll’ICI anno 2004, anche in ragione delle nullità delle notificazioni ed, in subordine, per la cassazione della sentenza impugnata.

Ad avviso di questa Corte il ricorso non è fondato.

Come rappresentato dal resistente, nel caso esaminato, si verte in ipotesi di c.d. notifica diretta, ossia di quella modalità di notificazione che non va ricompresa nelle ipotesi della L. n. 890 del 1982. Si applica viceversa la normativa relativa al servizio postale ordinario.

Va ribadito come, questa Corte, con plurime pronunce, abbia affermato, come principio consolidato, quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982; pertanto, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l’avviso di liquidazione o di accertamento senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c.. Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 9111 del 06/06/2012, Rv. 622974). (Cass.10131 del 2020, Cass. n. 28872 del 12/11/2018; n. 12083 del 13/06/2016).

Nel ricorso si deduce, altresì, la nullità della sentenza per il mancato deposito della raccomandata informativa relativa all’avvenuta consegna del plico al destinatario, secondo la previsione di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 3/2010, che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 140 c.p.c. nella parte in cui non aveva legato il perfezionamento della notifica all’invio della predetta raccomandata informativa. Si tratta di argomento del tutto inconferente alla luce di quanto puntualizzato con riferimento alla tipologia di notifica eseguita, come detto in forma “diretta”, tramite il servizio postale ordinario e non ai sensi della L. n. 890 del 1982.

Anche il secondo motivo, relativo alla condanna alle spese, è infondato.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis vigente ratione temporis (in forza delle modifiche apportate dal D.L. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), dispone, infatti che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, si applica per la liquidazione il “compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto”, prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio. (In tal senso da ultimo Cass. n. 23055/19). A tale citato orientamento questa Corte intende dare continuità, non tralasciando che, di recente, è intervenuto un diverso orientamento giurisprudenziale sul punto.

Con ordinanza n. 27444/2020, infatti, questa Corte, eliminando la statuizione di condanna alle spese processuali, pronunciata dal giudice di merito nei confronti del contribuente, preso atto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio senza il ministero del difensore, ha escluso che la parte privata potesse essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari.

La citata ordinanza, ha escluso, in radice la riconoscibilità dei compensi, per il solo fatto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio “senza il ministero di difensore” dovendo conseguentemente “escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari”. Tale argomentazione è stata supportata anche dal riferimento alla sentenza n. 8413/2016 di questa Corte.

Ora, detta ultima decisione aveva ritenuto liquidabili a favore dell’autorità amministrativa “le spese, diverse da quelle generali, che abbia concretamente affrontato in quel giudizio e purchè risultino da apposita nota”, si riferiva all’ipotesi in cui l’autorità amministrativa “sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato (il che è consentito dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 5)” ed aveva espressamente richiamato due decisioni della S.C. la n. 11389/2011 e la n. 18066/2007.

In realtà, entrambe le decisioni citate non riguardano la materia tributaria. Nella prima (n. 11389/2011) si verte in materia di opposizione a sanzione amministrativa (con cognizione del Giudice di Pace) per una opposizione ad “un verbale-avviso di accertamento” emesso dal Comune di Roma, in seguito ad una violazione del Codice della Strada.

Nel secondo caso (n. 18066/2007), si tratta di opposizione, proposta innanzi al Tribunale ordinario, avverso ordinanza ingiunzione, emessa da Azienda Sanitaria, per violazione della normativa prevista in materia di macellazione di bovini. Anche in quest’ultimo procedimento, invero, questa Corte richiamava espressamente la normativa stabilita “nel procedimento oppositivo di cui alla L. n. 689 del 1981, ove l’amministrazione opposta si sia avvalsa della facoltà di resistere in giudizio “personalmente”, costituendosi a mezzo di un proprio funzionario, come previsto dall’art. 23, comma 4″, riconoscendo come rimborsabili, “ex art. 91 c.p.c., solo gli esborsi concretamente sostenute le spese cd. “generali” o “vive”, ove documentati e richiesti”.

La normativa tributaria si fonda, tuttavia, su una diversa e più specifica disciplina.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15 ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi.

Sinteticamente, va qui precisato che ii tema della condanna alle spese è stata, nel tempo, specificamente affrontata con vari interventi legislativi:

1. il D.L. 8 agosto 1996, n. 437, coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996, n. 556, prevedeva all’art. 12 (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1, lett. b): “Nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza”.

2. Con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della L. 24 dicembre 2012, n. 228, all’art. 1, comma 32, la disposizione veniva così precisata: “Nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, al comma 2-bis le parole: “si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti” sono sostituite dalle seguenti: “si applica il decreto previsto dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto”.

3. Infine, con la disposizione attualmente vigente, di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, con decorrenza 01/01/2016, all’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2-sexies, attualmente in vigore, si prevede: ” Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 53 se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza”.

Come visto, pur con alcune varianti, attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi, il principio della ripetibilità delle spese, in caso di contenzioso con enti, assistiti da propri funzionari, è stato sempre confermato.

Per completezza, non va omesso che del tema è stata investita anche la Corte Costituzionale (ord. 8/10/2010, n. 292), che, tuttavia, non ha esaminato la questione nel merito, avendo ritenuto il quesito proposto manifestamente inammissibile per carenza di chiarezza motivazionale nell’ordinanza di rimessione.

Ora il fatto che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, rende evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato.

Sotto altro profilo, va evidenziato come la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 117 del 1999, investita, tra l’altro, del tema della disparità di trattamento tra la normativa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23 (modifiche al sistema penale) e dell’art. 91 c.p.c., in ragione dell’inoperatività dell’onere delle spese processuali a carico del soccombente, abbia ritenuto la manifesta infondatezza della questione, in ragione del riconoscimento al legislatore della più ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela.

In particolare, la Corte ha affermato che: a) l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile; che b) il regolamento delle spese processuali non incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio; che, infine, c) un modello processuale non necessariamente deve costituire un parametro per un rito diverso, essendo giustificata la non simmetrica costruzione delle norme processuali in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino in strumenti processuali ricollegati a differenti sistemi, in sè compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee. In tal senso, la Corte ha fatto esplicito riferimento al processo tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15), indicandolo come riferimento inidoneo per ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza tra le norme citate.

Da quanto argomentato, si ritiene possa ritenersi la particolarità normativa prevista in materia di spese e compensi processuali nell’ambito del processo tributario, che, come visto, è stata mantenuta costante nel tempo e che impedisce di decidere in senso difforme, in violazione di una volontà chiaramente espressa dal legislatore.

Deve, quindi, anche in questa sede, in l’aderenza al dettato normativo, riconoscere come corretta la condanna alle spese in favore dell’amministrazione.

Il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 1.100,00 oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio da remoto, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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