Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4473 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 11/02/2022), n.4473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8912/2017 proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato GUIDO ALFONSI,

per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE FINANZE, AGENZIA DEL DEMANIO, E B.O.;

– intimati –

avverso la SENTENZA n. 6769/2016 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

depositata in data 11/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata

del 14/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. B.M., dopo aver intimato al Ministero delle finanze – Agenzia del Demanio di Viterbo il pagamento della somma di Euro 2.966,44, oltre interessi e spese, in forza di sentenza pronunciata nel 2004 dal tribunale di Roma, ha provveduto, con atto di pignoramento notificato il 24/1/2007, ad instaurare procedura di esecuzione forzata della quota di un mezzo di un bene immobile indiviso del quale, oltre allo stesso B. e a B.O., era contitolare l’Amministrazione finanziaria a seguito di confisca disposta dalla corte d’appello di Roma in danno dell’originario titolare L.A..

1.2. Il giudice dell’esecuzione, ritenendo che dalla vendita della quota indivisa e pignorata non poteva ricavarsi una somma pari o superiore al reale valore della stessa, ha sospeso il processo esecutivo, ordinando che si procedesse alla divisione del bene pignorato.

1.3. B.M., quindi, con atto di citazione notificato a B.O. e al Ministero delle Finanze – Agenzia del demanio, rimasti contumaci, ha introdotto il giudizio di divisione dell’immobile.

1.4. Il tribunale, con sentenza del 24/2/2011, ha rigettato la domanda di divisione.

2.1. B.M. ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale.

2.2. Si è costituita B.O. aderendo alla domanda di divisione. Il Ministero delle Finanze – Agenzia del demanio, invece, è rimasto contumace.

2.3. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

2.4. La corte, in particolare, dopo aver premesso che la divisione endoesecutiva, pur ponendosi come una parentesi nell’ambito del procedimento espropriativo, rimane da questo soggettivamente ed oggettivamente distinto, conservando la propria autonomia e disciplina malgrado il collegamento strumentale con l’esecuzione, e che, pertanto, l’appellante, ad onta di quanto ritenuto dal tribunale (secondo il quale il creditore procedente ha l’onere di dimostrare la proprietà del bene in capo all’esecutato e che la continuità delle trascrizioni costituisce un presupposto necessario dell’espropriazione forzata del bene immobile per cui, in mancanza, non può procedersi allo scioglimento della comunione in ordine al bene pignorato non essendovi certezza della comproprietà in capo al ministero), aveva correttamente sostenuto che l’effetto traslativo del bene immobile era riconducibile al solo provvedimento di confisca emanato dal giudice penale, ha evidenziato: – innanzitutto, che il tribunale aveva rigettato la domanda di divisione anche sotto l’ulteriore ed autonomo profilo concernente il mancato deposito della sentenza passata in giudicato che aveva disposto la confisca e la conseguente impossibilità, in mancanza della stessa, di verificare il titolo della confisca e l’eventuale impignorabilità del bene; – in secondo luogo, che l’appellante non aveva specificamente censurato tale statuizione limitandosi a dedurre che il deposito del provvedimento di confisca con sentenza passata in giudicato attestava la qualità di comproprietario in capo al Ministero e la sua legittimazione passiva nel giudizio di divisione secondo la prospettazione dell’attore; – l’appellante, però, aveva lamentato, con un apposito motivo di censura, la mancata considerazione da parte del tribunale di un documento essenziale ai fini del decidere, qual era la sentenza penale prodotta con attestazione di avvenuto passaggio in giudicato.

2.5. La corte, al riguardo, ritenuta l’essenzialità di tale documento quale fonte di prova dell’avvenuto trasferimento della titolarità del bene per effetto del provvedimento giudiziale, ha osservato come “il deposito della sentenza penale, non avvenuto né in udienza né in cancelleria”, poteva “desumersi solo dall’annotazione della stessa nell’indice del fascicolo di primo grado dell’attore, però carente di data e di sottoscrizione del cancelliere”: la mancanza di tale adempimento, infatti, ha osservato la corte, avendo la funzione di attestare la regolarità dell’esibizione degli atti e dei documenti previsti dall’art. 74 disp. att. c.p.c., non costituisce, in considerazione della contumacia delle parti interessate “alla rilevazione”, una mera irregolarità formale poiché tale scelta processuale impedisce di ritenere sussistente l’accettazione implicita e, quindi, la mancata contestazione dei documenti irritualmente prodotti in giudizio.

2.6. L’irritualità della produzione, pertanto, impedisce alla parte la possibilità di utilizzare il documento quale fonte di prova ed al giudice di esaminarlo per cui, a prescindere dalla data effettiva della produzione, l’inutilizzabilità del documento determina la mancanza di prova del presupposto di diritto che il tribunale, con il capo di pronuncia rimasto inoppugnato, aveva ritenuto necessaria onde potersi procedere alla separazione della quota.

3.1. B.M., con ricorso notificato il 28/3/2017, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

3.2. B.O. e il Ministero delle finanze-Agenzia del demanio sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il mancato deposito della sentenza che aveva disposto la confisca, non era possibile verificare la qualità di comproprietario in capo al Ministero e, quindi, la sua legittimazione passiva nel giudizio di divisione, senza, tuttavia, considerare che, come dedotto nell’atto d’appello, la mancanza di legittimazione ad causam del Ministero, attinendo esclusivamente al merito, non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice ma doveva essere eccepita dalle parti.

4.2. La corte d’appello, ha aggiunto il ricorrente, ha anche omesso di considerare che il giudizio di divisione era stato introdotto, a norma dell’art. 600 c.p.c., comma 2, dall’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, il 26/5/2008, aveva disposto che procedesse alla divisione dei beni immobili pignorati da B.M. in danno del Ministero delle finanze “per la quota di 1/2 di proprietà sugli immobili ubicati in (OMISSIS)”, così come indicati nel pignoramento trascritto il 20/2/2007 e che, per tale ragione, il giudice della divisione non doveva svolgere alcuna verifica in ordine alla legittimazione passiva del Ministero in quanto già positivamente conclusa dal giudice dell’esecuzione con l’indicata ordinanza, con l’indicazione dei soggetti passivamente legittimati e dei beni da dividere, tanto più se si considerare che, a fronte della natura litisconsortile del giudizio di divisione, il medesimo giudice avrebbe dovuto egli stesso disporre l’acquisizione e il deposito, nel fascicolo della divisione, di tutta la documentazione già allegata al fascicolo dell’esecuzione, nel quale risulta ritualmente prodotta la sentenza penale in questione, al pari della consulenza tecnica e della certificazione notarile sostitutiva, le quali danno atto che il bene pignorato era pervenuto al ministero a seguito di confisca disposta dalla corte d’appello con sentenza del 27/1/1992.

4.3. D’altra parte, ha concluso il ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, risulta depositato in giudizio un estratto della sentenza con la quale la corte d’appello di Roma ha disposto la confisca ai sensi dell’art. 240 c.p., dell’immobile di proprietà di L.A..

5. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il deposito della sentenza penale di confisca risultasse soltanto dall’annotazione della stessa nell’indice del fascicolo di primo grado dell’attore ma priva di data e di sottoscrizione del cancelliere e che la mancanza di tale sottoscrizione, a fronte della contumacia della parte interessata alla rilevazione, non consentiva l’utilizzazione di tale documento, omettendo, tuttavia, di considerare che, a norma dell’art. 74 disp. att. c.p.c., in mancanza di rilievi formali da parte del cancelliere che riceve il fascicolo di parte, sussiste una presunzione di regolarità del deposito degli atti e dei documenti prodotti, compresi quelli precedenti, tra i quali il documento n. 3, comprensivo delle copie di tutti i documenti già depositati nel fascicolo dell’esecuzione, tra cui la sentenza penale di confisca.

6.1. Il primo motivo è fondato con assorbimento del secondo.

6.2. La corte d’appello, in effetti, ha confermato la sentenza con la quale il tribunale aveva rigettato la domanda di divisione in ragione del mancato deposito della sentenza che aveva a suo tempo disposto in via definitiva la confisca della quota poi pignorata, sul rilievo che il deposito di tale documento, ritenuto essenziale al fine di dimostrare l’avvenuto trasferimento della titolarità del bene, non essendo avvenuto “né in udienza né in cancelleria”, poteva “desumersi solo dall’annotazione della stessa nell’indice del fascicolo di primo grado dell’attore, però carente di data e di sottoscrizione del cancelliere”: in tal modo (implicitamente ma inequivocamente) escludendo che il giudice della divisione endoesecutiva possa trarre le prove rilevanti ai fini delle decisioni che è chiamato ad assumere dagli atti e dai documenti prodotti nel procedimento esecutivo, a partire da quella, rilevante nel caso in esame, concernente l’effettiva sussistenza del diritto di comproprietà in capo alle parti convenute in giudizio sui beni asseritamente comuni con le stesse.

6.3. Tale conclusione non e’, tuttavia, giuridicamente corretta Questa Corte, invero, ha già avuto modo di puntualizzare (cfr. Cass. n. 6072 del 2012) che il giudizio (di cognizione) di divisione endoesecutiva è divenuto ormai lo sviluppo normale di ogni procedura espropriativa avente ad oggetto una mera quota (in tal senso deponendo il nuovo testo del capoverso dell’art. 600 c.p.c., così come sostituito dal D.L. n. 35 del 2005, art. 23, lett. e), conv., con modif., nella L. n. 80 del 2005) e che il suo collegamento funzionale con il processo esecutivo, già indiscusso in precedenza, è attualmente sottolineato dalla previsione del nuovo testo dell’art. 181 disp. att. c.p.c., in base alla quale, in forza del cit. D.L. n. 35, art. 23-ter, lett. f), tale giudizio si svolge dinanzi al medesimo giudice dell’esecuzione (in funzione, ovviamente, di giudice istruttore civile) della procedura esecutiva (contestualmente sospesa in attesa della liquidazione della quota del debitore esecutato), con la configurazione di un’ipotesi di competenza funzionale e, pertanto, da qualificarsi non derogabile: il quale, in effetti, come dispone l’art. 181 disp. att. c.p.c. cit. – applicabile ai giudizi di divisione endoesecutiva a far tempo (come quello in esame) dall’1/3/2006 – “… quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso, provvede all’istruzione della causa a norma degli artt. 175 c.p.c. e segg….” e fissa, con l’ordinanza di cui all’art. 600 c.p.c., comma 2, “l’udienza davanti a sé per la comparizione delle parti”, concedendo termine alla parte più diligente fino a sessanta giorni prima per l’eventuale integrazione del contraddittorio con tutti gli interessati “mediante la notifica dell’ordinanza”.

6.4. Non v’e’ dubbio, quindi, che, nella nuova disciplina, in deroga rispetto alle norme generali ma in linea con quella deformalizzazione generalizzata e progressiva che costituisce la ratio della riforma, è l’ordinanza del giudice dell’esecuzione a costituire l’atto introduttivo del giudizio di cognizione in cui la divisione endoesecutiva si sostanzia: in effetti, “la divisione endoesecutiva, in quanto esito normale del processo di espropriazione di beni indivisi, è ritualmente introdotta con la pronuncia – se sono presenti tutti gli interessati – o con la notifica – in caso non siano presenti tutti gli interessati all’udienza di cui all’art. 600 c.p.c. – dell’Ordinanza del giudice dell’esecuzione che la dispone, siccome elemento conclusivo della fattispecie a formazione progressiva in cui quell’introduzione si risolve” tant’e’ che “ai fini della valida introduzione del giudizio di divisione endoesecutiva non è necessaria la separata notifica ed iscrizione a ruolo contenzioso civile di un distinto atto di citazione..” (Cass. n. 20817 del 2018).

6.5. Tale giudizio, pertanto, pur configurandosi come processo di cognizione soggettivamente ed oggettivamente distinto dal procedimento esecutivo (Cass. n. 20817 del 2018), tanto da non poterne essere considerato né una continuazione né una fase (cfr. Cass. n. 2889 del 1982; Cass. n. 44 del 1964; Cass. n. 2096 del 1961; ai fini dell’individuazione dei rimedi esperibili avverso i singoli atti di quello, cfr. Cass. n. 4499 del 2011; Cass. SU n. 18185 del 2013; Cass. n. 27346 del 2016), rimane, tuttavia, strutturalmente e funzionalmente connesso allo stesso. L’autonomia tra l’uno e l’altro (ribadita di recente da Cass. n. 22210 del 2021, per cui “il giudizio di divisione dei beni indivisi pignorati… ha natura di procedimento incidentale di cognizione nel procedimento esecutivo e, pur essendo in collegamento con l’espropriazione forzata e devoluto alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, costituisce un autonomo processo di scioglimento della comunione e non può essere considerato una fase o un subprocedimento della procedura espropriativa in cui si innesta”), pertanto, non esclude, anzi impone, in ragione della costante interazione tra il procedimento esecutivo ed il giudizio di divisione ad esso funzionale – che si manifesta, ad esempio, con il riconoscimento della legittimazione od interesse ad agire in capo al creditore procedente solo nei limiti in cui lo stesso sia e resti tale (Cass. n. 6072 del 2012, secondo cui “il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all’attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e l’interesse ad agire”) ovvero con la possibilità di notificare l’ordinanza che dispone il giudizio di divisione “al procuratore di uno dei litisconsorti che si sia già costituito nell’esecuzione forzata” (Cass. n. 20817 del 2018) -, che il giudice dell’esecuzione, in funzione di giudice istruttore, tragga dal fascicolo dell’esecuzione le prove rilevanti ai fini delle decisioni che è chiamato ad assumere, come quella relativa all’accertamento della effettiva spettanza della comproprietà della quota dell’immobile indiviso in capo al condividente cui siano stati notificati, dapprima, il pignoramento (art. 599 c.p.c., comma 2) e poi l’ordinanza del giudice dell’esecuzione introduttiva del giudizio (art. 600 c.p.c., comma 2 e art. 181 disp. att. c.p.c.).

6.6. La divisione esecutiva, in definitiva, pur non potendo essere considerata come una fase o un subprocedimento della espropriazione immobiliare in cui si innesta (Cass. n. 6072 del 2021; Cass. n. 20817 del 2018), rimane funzionalmente connessa al procedimento esecutivo per cui il relativo giudice, che si identifica non a caso con il giudice dell’esecuzione, può, anzi deve utilizzare non soltanto le prove tempestivamente e ritualmente offerte dalle parti nel relativo giudizio ma anche e soprattutto gli atti e i documenti già contenuti nel fascicolo dell’esecuzione.

7. La sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio e dev’essere, come tale, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma, che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma, che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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