Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4471 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. III, 24/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 24/02/2011), n.4471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – rel. Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 870/2009 proposto da:

A.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ROCCA PRIORA 21, presso lo studio del Prof. PASQUALE

PUGLIESE, rappresentato e difeso dall’avvocato MENNA ANTONIO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S., C.A., EREDI DI M.I.,

C.S., C.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 526/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

emessa il 04/07/2007, depositata il 05/11/2007 R.G.N. 1060/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso con l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 4 luglio – 6 novembre 2007, la Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la decisione del Tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona del 5 aprile 2006, che aveva rigettato la sua opposizione allo sfratto per morosità, intimato a A. F., dalla proprietaria M.I., dante causa degli appellati, C.S. e C.A..

Hanno rilevato i giudici di appello che non vi erano dubbi in ordine alla identificazione dell’immobile ed alla proprietà dello stesso in capo alla M. (confermata dal fatto che lo stesso A. aveva richiesto la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri comproprietari dell’immobile).

Doveva ritenersi raggiunta la prova della esistenza del contratto di locazione e quindi della concessione in godimento dell’immobile dietro corrispettivo, costituito inizialmente dai lavori di ristrutturazione effettuati dall’ A., come ammesso dallo stesso, il quale aveva riferito di avere eseguito personalmente alcuni lavori, mentre altri lavori erano stati eseguiti da C. S..

Da ultimo, ha sottolineato la Corte territoriale, la norma richiamata dall’appellante riguardante la competenza del giudice adito (art. 30 bis c.p.c.) era stata dichiarata parzialmente incostituzionale nel 2004, ed era dunque inapplicabile nel caso di specie.

Avverso tale decisione l’ A. ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da sedici motivi, illustrati da memoria.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente ha richiesto, in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., la acquisizione dei fascicoli di ufficio delle precedenti fasi e gradi di giudizio, sul rilievo che gli stessi sarebbero assolutamente necessari, ai fini della decisione del ricorso per cassazione.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, qualora il fascicolo d’ufficio della fase di merito non sia indispensabile ai fini della decisione, è irrilevante che lo stesso non risulti acquisito agli atti del processo, nonostante il deposito dell’istanza di relativa trasmissione, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3.

(Cass. 9 maggio 2006 n. 10665).

Nel caso di specie, l’esame dei fascicoli di ufficio dei giudizi di merito non ha alcuna rilevanza, poichè i motivi di ricorso per cassazione – con la sola eccezione di quelli di seguito indicati – si rivelano del tutto inammissibili, in quanto genericamente formulati e senza alcuna indicazione dei momenti di sintesi richiesti dalla recente giurisprudenza di questa Corte in caso di denuncia di vizi della motivazione.

E’ appena il caso di rilevare che la nuova formulazione dei motivi e dei quesiti, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., non può ritenersi consentita.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è, infatti, possibile integrare ed ampliare, con un atto successivo, le argomentazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio. Infatti, nel giudizio civile di legittimità, le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., sono destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare le tesi avversarie.

Pertanto, non è possibile specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo, e tanto meno, per dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica (Cass. S.U. 15 febbraio 2006 n. 11097).

Secondo una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, inoltre, dalla quale la parte ricorrente prescinde – e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi – il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.

Il riferito principio comporta – in particolare – tra l’altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo invece il ricorrente porre questa Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata.

In altri termini, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 2006 n. 10500, 28 ottobre 2002, n. 15177; Cass. 16 luglio 2002, n. 10276).

Pacifico quanto precede, si osserva che nella specie, ancorchè si affermi, almeno nella intestazione, di volere censurare, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, numerose norme di legge, nella parte espositiva del motivo la parte ricorrente, non solo si astiene – totalmente dall’indicare quale sia il principio di diritto applicato nella specie dai giudici del merito, ma omette, altresì, di indicare quali siano le ragioni in forza delle quali quel principio non può essere condiviso.

A mo di esempio si sottolinea che il secondo motivo di ricorso contiene la indicazione di oltre duecento articoli di varie leggi, dei quali è indicato il solo numero, con la richiesta a questa Corte di accertare “se vi è stata nella presente causa la violazione e/o falsa applicazione delle leggi citate nei motivi di ricorso”.

Analoghe considerazioni valgono per gli altri motivi di ricorso, non indicati espressamente qui di seguito.

I giudici di appello, nel caso di specie, si sono limitati ad osservare che doveva dirsi raggiunta la prova di un contratto di locazione verbalmente stipulato, avente ad oggetto un immobile chiaramente identificato nei suoi estremi catastali, di proprietà della M. (alla quale l’ A. aveva richiesto il pagamento delle migliorie apportate all’appartamento).

Il corrispettivo di tale contratto, secondo gli accordi raggiunti dalle parti, era costituito, in un primo tempo, dal costo di alcuni lavori di ristrutturazione eseguiti direttamente od in economia dall’appellante.

Successivamente l’ A. aveva continuato ad occupare l’immobile – che pur riconosceva pacificamente di proprietà altrui – senza corrispondere alcunchè, limitandosi ad eccepirne il legittimo “possesso”.

Per questo motivo il primo giudice aveva rigettato la opposizione alla sfratto intimatogli dalla M..

Come già rilevato, la decisione impugnata non è stata specificamente censurata con appropriati motivi di ricorso (secondo le disposizioni applicabili “ratione temporis”).

Alcuni motivi possono essere, tuttavia, esaminati in quanto formulati in maniera meno generica.

Quanto al primo motivo di ricorso, deve ribadirsi quanto già osservato dalla Corte territoriale e cioè che la norma di legge richiamata, relativa al foro derogatorio, è stata dichiarata parzialmente illegittima sotto il profilo costituzionale (donde la sua inapplicabilità al caso di specie).

Per quanto riguarda la mancata lettura del dispositivo in udienza della sola decisione di primo grado ex art. 437 c.p.c., (di cui al settimo motivo di ricorso) la stessa doveva essere oggetto di impugnazione in grado di appello.

In sede di memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente ha specificato che la decisione di secondo grado non recherebbe alcuna altra sottoscrizione, oltre a quella del Presidente del Collegio che l’aveva redatta.

Tuttavia, nessuna disposizione di legge prescrive la obbligatorietà di una doppia sottoscrizione (oltre che del presidente estensore, anche da parte di altro membro del collegio che abbia preso parte alla decisione; arg. ex art. 132 c.p.c., comma 5).

In ogni caso, il requisito della sottoscrizione della sentenza da parte del giudice che l’ha pronunciata, la cui mancanza comporta la nullità insanabile e rilevabile d’ufficio ex art. 161 cpv. c.p.c., va verificato con riferimento alla “sentenza”, completa di motivazione e di dispositivo, con irrilevanza, per quanto concerne le sentenze dei giudici di merito in materia di lavoro, della sussistenza o insussistenza della sottoscrizione del dispositivo letto in udienza, ritualmente inserito in un verbale di cui il segretario d’udienza abbia attestato la regolarità formale (Cass. 12 maggio 2004 n. 9035).

Donde la inammissibilità di tutte le censure formulate con il settimo motivo.

Per il quinto motivo si osserva che la deduzione – secondo la quale la decisione sarebbe effetto del dolo di una parte ai danni dell’altra, o comunque l’effetto di grave colpa del giudice – avrebbe dovuto formare oggetto di richiesta di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nn. 1 e 6, (Cass. 1 settembre 2003 n. 12742; Cass. S.U. 6 settembre 1990 n. 9213).

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese non avendo gli intimati svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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